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Critica sul senso del limite e “I tabù del mondo” di Massimo Recalcati

Critica sul senso del limite e “I tabù del mondo” di Massimo RecalcatiL’origine del pensiero, per Freud, inteso come atto del pensare, deriva da un passaggio che si realizza dalla presenza all’assenza dell’oggetto esperito. Per esempio, il bambino che fa l’esperienza della mancanza del seno della madre accede «all’astrazione simbolica del pensiero». L’evento della parola, della sua forza evocativa (così come della poesia), è la condizione che il linguaggio detta per la nascita del pensiero e che genera la magia della scrittura e della lettura come sua conseguenza. Oggi, si chiede Massimo Recalcati nel suo ultimo libro I tabù del mondo (Einaudi, 2017), pensare è diventato un tabù?

La proliferazione di oggetti tecnologici ha imposto un drastico accorciamento delle distanze, contribuendo (in peggio) a evitare l’esperienza dell’assenza, necessaria e inevitabile alla produzione della parola e del pensiero. Proprio su questo tema, Antonio Scurati, in un piccolo saggio dal titolo La letteratura dell’inesperienza. Scrivere romanzi al tempo della televisione (Bompiani, 2006), si chiedeva come fosse possibile fare letteratura in assenza di esperienza: due poli che si trovano «come le due metà non combacianti di una tessera spezzata e non più ricomponibile». Questo passaggio sembra essersi ostruito, senza lasciare spazio alcuno alla possibilità della poesia come «evocazione dell’assenza», concretizzando radicalmente la profezia pasoliniana di una nuova «mutazione antropologica», in cui gli oggetti (le merci feticizzate) diventano essenziali alla vita umana, trasformata in una sorta di «protesi rovesciata» degli oggetti di consumo stessi. Riprendendo le tesi marxiane, la merce assume una natura sovrasensibile, come oggetti di mercato il cui valore di scambio prescinde dal loro valore d’uso e, stando a Pasolini, producendo un inedito per il culto feticistico delle merci: l’idolatria delle marche. Il passaggio epocale, che segna il superamento dalle società religiose a quelle dominate dalla pubblicità e dal consumismo, è sintetizzato dall’utilizzo di uno dei dieci Comandamenti come slogan per una marca di jeans degli anni ‘70: «Non avrai altri jeans all’infuori di me» (Analisi linguistica di uno slogan, in Scritti corsari, Garzanti, 1975).

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Il pensiero del Pasolini corsaro, a cui il libro di Recalcati è dedicato, fa da sfondo alla raccolta di articoli apparsi su «La Repubblica»per la rubrica settimanale Tutti i tabù del mondo, e qua riuniti per la prima volta. Il risultato è un testo sul senso del limite e sul suo trascendimento, inteso come naturale ambizione della «perversione ordinaria del desiderio umano». Il declino di ogni tabù, nel nostro tempo ipermoderno «cinico e pragmatico», risponde all’imperativo categorico della «libertà ad ogni costo», il quale preclude ogni possibilità di accettazione del vincolo della Legge.

Le altre figure che si stagliano sullo sfondo dell’opera di Recalcati sono il già citato Freud e lo psichiatra Jacques Lacan, al quale si deve l’icastica espressione della quale lo psicanalista si serve per contrassegnare l’epoca in cui viviamo: «Egocrazia» o «Iocrazia». L’Io ridotto a idolo feticistico, con l’ossessione per la propria forma e il culto della propria immagine che ne consegue, diviene l’unica causa (narcisistica) dell’Occidente. In contrapposizione al terrorista, «l’ultimo superstite dell’ideologia», il quale sceglie di morire nel nome dell’Ideale, Recalcati afferma che per lo spirito ipermoderno l’unico Universale per il quale immolarsi è quello della globalizzazione capitalista. Il lavoro dell’uomo, che costituisce come ci ricorda Marx nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, l’«essenza» dell’uomo in quanto tale, viene indebitamente sottratto, con il prodotto del suo lavoro, dal capitalista: «la via “lunga” del lavoro è stata sostituita da quella “breve” dell’allucinazione finanziaria, del profitto facile». Il profitto è separato dalla forza-lavoro, per generarsi solamente dal denaro, producendo un rovesciamento nichilistico dei valori.

L’occasione per riflettere su tematiche epocali quali la Legge (o etica) degli uomini e la Legge di Dio, la colpa, l’amore, la morte, l’origine della civiltà, la politica e la follia è data dalla lettura di alcuni dei principali miti che contraddistinguono la storia della letteratura occidentale. Il sorriso di Antigone è il pretesto per riflettere, a partire dalla tragedia sofoclea, sulla problematica della Legge del desiderio contrapposta alla Legge della città: l’eroina greca sceglie di onorare la morte del fratello Polinice, rimasto ucciso in combattimento ma schieratosi contro Creonte, re di Tebe, conferendo dignità di sepoltura al suo corpo straziato e contravvenendo alle leggi della città. Antigone rappresenta l’oltrepassamento di ogni concezione utilitaristica dell’esistenza, ella infatti «si spinge sino a spezzare il tabù della morte». Come Empedocle, che decide di lanciarsi dentro l’Etna, Antigone rivendica «l’umanità della vita al di là della sua semplice presenza». La forza della sua decisione è agli antipodi di un’altra figura archetipica, in questo caso del dubbio, come Amleto. La sua ruminazione dubbiosa è la conferma di un’impotenza depressiva che, al contrario di Edipo, sa senza agire. Amleto infatti non vendica la morte del padre che gli è apparso, rivelandogli di essere stato ucciso dal fratello Claudio e divenuto re al suo posto, mentre Edipo agisce senza sapere, ed è proprio in questo passaggio che si pone per Lacan il dilemma della possibilità di convergere l’azione e il sapere.

Oltre ad Antigone, Recalcati si sofferma sulla figura di Medea, descritta nell’omonima tragedia da Euripide. Ella uccide per vendetta i suoi figli, dopo essere venuta a conoscenza del tradimento commesso da Giasone, il quale decide di abbandonarla per unirsi a Glauce, la principessa di Corinto figlia del re Creonte. Nell’analisi dello psicanalista lacaniano, Medea capovolge traumaticamente la rappresentazione patriarcale della madre, in radicale contrasto con l’idea di civilizzazione della donna attraverso la maternità. La donna rivendica la sua autorità di fronte alla madre, per cui la maternità non è più sufficiente ad appagare il desiderio di una donna e compensare, in questo caso, la ferita subita (il tradimento di Giasone), per cui «nessuna donna può mai essere assorbita del tutto nella madre».

Critica sul senso del limite e “I tabù del mondo” di Massimo Recalcati

L’ideologia patriarcale è lo sfondo principale dei pazienti affetti da «priapismo», accezione con la quale non si intende come nella clinica medica «la presenza di lunghe erezioni dissociate dall’eccitamento sessuale», ma, nella vita psichica, di un complesso che coincide con un attaccamento all’immagine della propria potenza virile, alla costante ricerca del convalidamento della propria forza invincibile, con l’inevitabile assenza di apertura verso l’Altro. Partendo da questa prospettiva, il tabù della verginità è indagato all’interno dell’ideologia patriarcale, in cui si cerca di esorcizzare il carattere «indomabile della donna» attraverso l’illibatezza del suo corpo, come nel caso del geloso, il quale «vorrebbe possedere il tempo, la storia, la memoria, tutta la vita dell’oggetto amato […] essere stato il primo significa essere stato e restare l’unico […] mantenere l’amata in uno stato di “soggezione”». L’amore si caratterizza per essere esattamente il contrario, ovvero come apertura verso l’Altro, donazione assoluta all’assoluta libertà dell’Altro, come nella formula lacaniana, per cui: «L’amore è sempre eterosessuale», nel senso che «è sempre e solo amore per l’Altro, per l’eteros, a prescindere dal genere.

È in questo contesto che matura il tabù della fedeltà, intesa come «poesia ed ebbrezza», in un tempo incapace di vivere l’erotica del legame contrapponendo «perversamente» l’erotica al legame. La fedeltà, la sua esperienza, vissuta come massima realizzazione di libertà e non come opposizione a essa, è come la lettura dei classici per Italo Calvino: un libro diventa classico quando non esaurisce mai la sua forza, durando per sempre ed eccedendo ogni interpretazione. Per usare un’immagine contenuta in un altro libro di Recalcati, L’ora di lezione. Per un’erotica dell’insegnamento (Einaudi, 2014), il corpo dell’amante diventa un libro: «il corpo sessuale non è solo strumento per il mio godimento, ma diventa qualcosa da poter leggere: libro erotico, libro fatto di carne, libro pulsionale». L’Altro è inteso anche nell’accezione del tabù dello straniero, rivendicazione della necessità del meticciato, della transizione e della contaminazione, contro l’irrigidimento del confine che sfocia in un’ipertrofia identitaria: lo straniero come «eccedenza della vita che non sappiamo dominare». Come nel mito della Stultifera navis, emblema della follia ritratta nel dipinto del pittore fiammingo Hieronymus Bosch, l’Altro, in questo caso “il folle”, viene escluso (come il lebbroso nel Medioevo) dalla città; l’allontanamento del “diverso” perché delirante, ovvero, nel suo senso etimologico: perché escono dal “solco” della «lira», fuori dalla Ragione. La follia perseguitata si rivela nel suo contrario, infatti è la follia della spinta autoaffermativa, in difesa della purezza (come messo in luce da Franco Basaglia) e di ogni politica di esclusione, a manifestarsi nella sua autentica pazzia. Contro ogni politica di emarginazione è necessario il ritorno alla politica intesa come «governo del disordine», per citare una definizione di Luigi Manconi, dal libro Corpo e anima (minimum fax, 2016).

La vita della polis implica necessariamente il disordine della vita, di conseguenza, contro l’affermazione del populismo, il quale si manifesta come «odio per la sfumatura», per gli intellettuali e il pensiero critico, è urgente la politica come mediazione pratica dei conflitti nella sua complessità originaria, oltre le distinzioni dicotomiche e manichee che contrappongono da una parte il Popolo (il Bene) e i Partiti (il Male) dall’altra, come analizzato in maniera magistrale dal libro di Leonardo BianchiLa Gente. Viaggio nell’Italia del risentimento (minimum fax, 2017).

 

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Contro ogni tendenza egemonica, riuscirà la pittura (oggi, anch’essa, un tabù nel mondo dell’arte contemporanea) a dare «voce al silenzio»? Per costruire un ponte sul «mistero delle cose», verso l’Assoluto (legame che intrattiene ogni opera d’arte), viene rivendicata con forza la necessità che la pittura raffiguri «quello che sfugge al visibile». L’Assoluto, nella storia dell’arte, è stato rappresentato nelle sue forme più varie: il Cristo, la Natura, l’Infinito ecc. L’immanenza dell’opera d’arte si vede da qui, ovvero, dalla sua immanenza volta verso una trascendenza e, in questa prospettiva, il significato più profondo della critica sul senso del limite che lo psicanalista vuole provare a rappresentare, risiede proprio nella funzione che la pittura, la lettura (leggere, oggi, è diventato un tabù?) e pensare rivestono in opposizione allo spirito del tempo.


Per la prima foto, copyright: Wu Jianxiong.

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