Cristiana Morganti in "Jessica and me": danza-teatro o teatro-danza?
Le luci si spengono nel teatro studio del Parco della Musica a Roma. È di scena Cristiana Morganti, che prende parte alla nona edizione del festival della nuova danza Equilibrio (a Roma dal 7 febbraio al 2 aprile 2015). E proprio il conto alla rovescia del “chi è di scena” scandisce lo spettacolo Jessica and me che Cristiana ha creato partendo da un’idea di Pina Bausch del 2003 (Cristiana è un membro della storica compagnia Tanztheater Wuppertal da oltre vent’anni), poi sviluppata e personalizzata per potenziare il legame che la storica coreografa riusciva a creare con il suo pubblico.
Se uno dei grandi meriti del teatro-danza di Pina Bausch fu di presentare i suoi danzatori come “persone che danzano”, dotate sì di tecnica, ma soprattutto in grado di riempire ogni loro gesto di un significato che potesse essere compreso e assorbito dal pubblico che avevano di fronte, Cristiana Morganti amplia ulteriormente il campo di azione del danzatore, che si “permette” di condividere con il pubblico il suo vissuto e ciò che accadeva dietro le quinte della più innovativa compagnia di danza del XX secolo.
In Jessica and me Cristiana usa soprattutto l’ironia, a partire dall’autoironia, chiacchierando con il pubblico come se fossero seduti davanti a una tazza di caffè, quello lungo che si beve in Germania, a un primo assaggio diverso da quello cui siamo abituati, ma in grado di scaldarci per un tempo molto più lungo del solito espresso. E Cristiana il suo pubblico lo scalda senza sforzo apparente, riuscendo ad alternare parole e movimento, come se fossero i due piatti della bilancia del ricordo che ha voluto condividere. Dai suoi prima passi nel mondo della danza a cinque anni, ai reggiseni “schiaccia seno” necessari a contenere un fisico poco adatto al balletto classico, fino all’incontro con Pina Bausch e alla sua compagnia di danzatori meravigliosamente imperfetti.
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Si potrebbe pensare che in questo spettacolo c’è troppa parola e poca danza, così come siamo abituati a immaginarla. Eppure, mentre racconta, Cristiana non si lascia sfuggire l’occasione di dare un assaggio della sua abilità nel trasformare piccoli, insignificanti gesti in una sequenza di emozioni visuali velocissime e pulsanti che catturano gli occhi del pubblico.
Fra “Cristiane” giganti che si muovono dietro quella “vera” a velocità asincrona, vestiti che diventano schermi cinematografici in fiamme e scarpe giganti che servono a ricordarci che non sta a noi scegliere il percorso che ci aspetta e gli strumenti che avremo a disposizione, questo spettacolo ha il pregio di essere fruibile da un pubblico a digiuno di danza così come da un appassionato, ricordando a tutti che il ballo non è una forma d’arte d’élite, ma un mezzo espressivo molto potente, in cui l’immedesimazione del pubblico con le “persone che danzano” non è soltanto possibile, ma necessaria. E se per questo bisogna contaminare il ballo con il teatro, la parola e la risata, ben venga. Come ha ricordato Cristiana Morganti in un’intervista alla Biennale di Venezia del 2012: «per Pina non esisteva il teatro-danza, ma la danza-teatro», il teatro era quindi un mezzo per far avvicinare il pubblico alla danza, che restava l’unico vero fulcro dell’attività del Tanztheater Wuppertal.
Mentre gli ultimi applausi si consumano e Cristiana Morganti scompare dal palcoscenico, molti fra il pubblico aprono il programma del festival, vogliosi di provare ancora l’emozione di essere parte di uno spettacolo di danza-teatro. E questo a Pina sarebbe piaciuto.
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