Credo quindi sono. “Vivere con gli dèi” di Neil MacGregor
«Nell’arte, il significato e la bellezza sono cose su cui bisogna trovare un terreno comune. La gente costruisce delle narrazioni a partire dalle mie opere – o da quelle di chiunque altro – ed è un vero e proprio investimento. La religione è strettamente legata ai bisogni emotivi delle società, e l’arte si fonda su un investimento emotivo nell’opera e non su tutto quello che all'opera ruota intorno. Su ogni immagine che osserviamo tutti noi proiettiamo la nostra storia e le nostre esperienze. Così religione e arte sono in realtà delle trattative. Alcuni vogliono sapere esattamente cosa dovrebbero provare. Vogliono essere condotti per mano da una narrazione, in modo che la storia manipoli le loro emozioni e loro si sentano nel giusto. Altri si accontentano di avere una reazione spontanea, amorfa – una reazione sensoriale. Per me l’arte è la costruzione di un significato. È cercare di offrire un qualche fragile appiglio momentaneo, in mezzo al caos della vita.»
Queste parole, pronunciate dall’artista Greyson Perry e riportate dall’autore verso la metà del libro, riassumono l’esperienza di lettura che si ha di Vivere con gli dèi di Neil MacGregor, uscito presso Adelphi il 21 novembre scorso nella traduzione di Francesco Francis.
Questo libro è un testo composito e, in fondo, di difficile classificazione. Se inizialmente si presenta come un saggio sulla spiritualità umana e sulle varie religioni, attraverso la presentazione di testi e reperti storici e artistici (non solo quadri o statue, ma anche oggettistica varia), nel corso delle pagine, seguendo lo svilupparsi delle riflessioni dell’autore, si capisce che il discorso che questi vuole fare non è una semplice descrizione del rapporto fra uomini e dei attraverso l’analisi degli aspetti più esotici delle varie culture e tradizioni. Appare infatti chiaro sin dall’inizio che dietro il racconto vi è una forte riflessione antropologica, una tesi ben precisa da dimostrare: mettere in luce come la religiosità e la religione sia e sia stata, per tutto il corso dell’umanità, con vari livelli di intensità, un elemento centrale per la definizione dell’identità dei vari gruppi etnici e sociali.
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D’altronde già nell’introduzione ciò è chiaramente illustrato:
«In Vivere con gli dèi non ci occuperemo della spiritualità individuale, della vita nei ritiri monastici, di ciò in cui credono i singoli individui o delle astratte verità teologiche delle fedi religiose – cose inconoscibili salvo per i devoti. Ci occuperemo invece di ciò che intere società credono e fanno. È un modo di affrontare la religione – come pratica e non come dottrina – che potrà sembrare singolare a chi è cresciuto con la convinzione che la fede si basi su testi divinamente ispirati e portatori di verità assolute, dai quali la religione trae la sua autorità.»
Questo è il fine ultimo della narrazione dunque, a cui guarda costantemente l’autore. Così, ad esempio, quando tratta delle religioni più antiche o dei vari artefatti e monumenti risalenti ai primi anni della nostra storia, quali l’uomo-leone di Uhlm – una statuetta preistorica ritrovata in un sito nell’attuale Germania che illustra un uomo con la testa di un leone – o la tomba di Newgrange – un antico luogo sacro inglese dedicato al culto dei morti – quello che vuole mettere in mostra è come la religione sia stata un’attività centrale già per le prime comunità di uomini sulla terra tanto che in queste, in un’epoca in cui la lotta per la sopravvivenza era accesa e serviva l’aiuto di tutti per sopravvivere, uno (nel primo caso) o più membri (nel secondo) venivano esonerati dalle attività produttive per dedicarsi solamente a coltivare il rapporto con gli Dei. Se questo non fosse stato di primaria importanza – conclude l’autore – questi reperti non sarebbero mai esistiti, perché le energie della comunità si sarebbero spostate verso altre attività.
Allo stesso modo, ad esempio, l’autore illustra come molte pratiche religiose abbiano avuto il compito preciso di definire una comunità e di separarla dalle altre, oppure di unire popoli prima differenti. Questo secondo caso è quello degli antichi romani, che univano nel proprio pantheon le divinità delle popolazioni sottomesse in modo da integrarle. «Dopotutto, se crediamo negli stessi Dei, vuol dire che siamo una cosa sola» – pensavano i romani, cementando il loro dominio sulle nuove popolazioni in maniera così indissolubile. È la stessa logica – ci mostra l’autore – usata dai Babilonesi nella mezzaluna fertile, i quali periodicamente portavano in processione le statue dei vari dei in tutte le città dell’impero. Un modo come un altro per ricordare che finché crediamo tutti nello stesso Dio siamo una stessa popolazione e di conseguenza una sola nazione.
Il discorso si sviluppa poi nei capitoli finali affrontando tematiche molto interessanti e attuali, come cosa succede alle identità di alcune società quando queste decidono di tagliare il loro millenario legame con gli Dei (o con Dio) – analizzando la Francia post-rivoluzionaria e la Russia comunista – o come questo legame identitario si rifletta nella nostra società del XXI secolo, in cui ogni gruppo è sempre più connesso con gli altri.
Questo saggio sull’importanza sociale della religione è accompagnato, come già accennato,dall’analisi di molti oggetti religiosi, quasi tutti presenti nella collezione del British Museum. Oggetti dunque che Neil MacGregor conosce bene, essendo stato il direttore del principale museo inglese per oltre una decina d’anni, sino al 2015. Il libro è dunque costellato di illustrazioni di opere d’arte che nel testo vengono descritte intervallando e arricchendo l’esposizione dei concetti sulle varie religioni.
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Quadri della natività, statue della Madonna, diverse Torah e strumenti con cui leggerla, coltelli usati per uccisioni rituali azteche o tavolette in alfabeto cuneiforme sono solo alcuni delle decine di oggetti artistici e non di cui l’autore si serve per illustrare il suo pensiero, assieme alle innumerevoli interviste con esperti delle varie religioni e culture. Tutto ciò per la creazione di quella che non si può non definire un’enciclopedia del religioso, degli Dei e del nostro rapporto con essi.
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