Crederci sempre porta al successo. Intervista a Vincent van Gogh
Risulta difficile entrare nel profondo della vita degli artisti, conoscere alla perfezione ciò che ha portato alla realizzazione di un dipinto, di una scultura. Si scrivono fiumi e fiumi di saggi per cercare di comprendere il significato di un'opera, spesso trovandone le corrette ragioni, altre volte ipotizzando pensieri.
Se solo loro, i veri protagonisti, potessero ancora essere in vita, cosa direbbero? Ebbene sì, anche questa volta noi di Sul Romanzo abbiamo avuto un incontro ravvicinato con uno di loro. Entrati in un bistrot ad Arles durante una nostra breve vacanza abbiamo incontrato lui, Vincent van Gogh.
Ci siamo avvicinati mentre in solitudine, come suo solito, sorseggiava un cognac e abbiamo approfittato per porgli alcune domande che, crediamo, tutti noi avremmo un giorno voluto rivolgergli.
Signor Vincent, lei ha lottato duramente per realizzare opere ammirate in tutto il mondo. Secondo lei, ci è riuscito?
Non lo so. Forse no. Non posso farci niente se i miei quadri non si vendono. Ma verrà il giorno in cui si vedrà che valgono più del prezzo del colore e della vita, anche se molto misera, che ci ho rimesso. Non volevo più avere debiti. Credo verrà il giorno in cui si venderanno le mie opere. I miei quadri non avevano valore. Cosa vuole che le dica?
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Il suo dipinto Vaso con quindici girasoli fu venduto nel 1987 per 39,7 milioni di dollari; Contadina in un campo di grano nel 1997 fu acquistato per 47,5 milioni di dollari. Nel 2013 Notte stellata è stata il dipinto più cliccato dagli utenti di Google Art Project, oltre a essere stato riprodotto con materiali plasticiin un parco da una compagnia taiwanese. Le è stato dedicato un lungometraggio. Devo continuare per metterla a conoscenza del successo che ha avuto?
Pazzesco. Che sarebbe la vita senza il coraggio di tentare qualcosa? Ci sono riuscito. E chi dovrei ringraziare?
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Secondo lei: pensi a quali persone le rimasero sempre accanto...
Mio fratello Theo...
Si, purtroppo però lui morì poco dopo lei. Fu in verità la moglie, Johanna van Gogh-Bonger, che rese pubbliche le lettere che lei si scambiò con Theo e non solo, perché voleva preservare la sua memoria. Cosa la portò a crederci sempre nonostante le sue condizioni di salute?
Cara Jo.
Bisogna aver sempre presente la meta da raggiungere e pensare che la vittoria ottenuta dopo un'intera vita di laboriosa fatica vale più di un facile successo. Chiunque viva sinceramente e affronti senza piegarsi dolori e delusioni è assai più degno di chi ha sempre avuto il vento favorevole, non conoscendo altro che una relativa prosperità. Pensi quanta gente c'è che vive senza avere la minima idea di cosa siano gli stenti, continuando a pensare che tutto andrà bene sempre, come se non ci fossero persone che muiono di fame, rovinate del tutto.
Suo fratello la aiutò molto anche dal punto di vista finanziario...
Quando ricevevo dei soldi da mio fratello Theo, il mio più grande desiderio non era il cibo, anche se avevo digiunato, perché il desiderio di dipingere era più grande. Tutto ciò di cui vivevo era la prima colazione, la sera una tazza di caffè e del pane in una latteria o una pagnotta di pane di segale che tenevo nel baule. Se vogliamo vivere e lavorare, dobbiamo essere prudenti e curarci. Acqua fredda, aria, cibo semplice e buono, essere ben coperti, dormire bene e non avere seccature.
Quali sono le sue passioni, oltre a dipingere?
Ho la passione per i libri e sento il bisogno continuo di istruirmi, proprio come ho bisogno di mangiare il pane. Ho studiato la Bibbia, la Révolution francaise di Michelet, Hugo, Dickens, Eschilo. Sono dell'idea che anche nell'ambiente più raffinato e nell'agiatezza bisogna conservare qualcosa del carattere di Robinson Crusoe o di un anacoreta, altrimenti si diventa superficiali e si lascia spegnere il fuoco dell'anima. Chiunque scelga la povertà e l’ami possiede un gran tesoro... è bene rimanere sensibili e umili e miti di cuore. Colui che è assorbito da queste cose manca a certe forme e convenienze sociali.
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In che senso?
Una delle ragioni per cui sono fuori posto è perché avevo idee diverse da quei signori che davano lavoro ai tipi che la pensavano come loro. E poi non mi piaceva stare in compagnia e spesso trovavo difficile e penoso mescolarmi alla gente e parlare. Ma sa qual era la causa? Semplicemente i miei nervi. Ero terribilmente sensibile fisicamente e moralmente.
Da cosa potrebbe essere derivato tutto secondo lei?
Lo chieda a qualsiasi dottore ed egli capirà come le notti passate per strada al freddo, l'ansia di procurarmi il pane, lo sforzo continuo perché ero senza lavoro, l'allontanamento dagli amici e dalla famiglia hanno causato almeno i tre quarti delle stranezze del mio carattere.
E di coseguenza le persone la evitavano?
Certo. Io ritengo che la ragione vera per cui mi si rifiutava era questa: quando si è senza denaro, uno naturalmente non conta. Al giorno d'oggi il denaro corrisponde a quanto una volta era il diritto del più forte.
Perciò lei si trovava molto bene con gli umili e in particolar modo con i contadini?
Lavorando con le mani, ero a mio agio con la classe operaia e cercai di prendere radice lì sempre più. Sentivo che il mio lavoro stava nel cuore del popolo, in tal modo dovevo tenermi vicino alla terra, per poter afferrare la vita nella sua profondità.
Quanto fui felice quando il dottore mi prese per un operaio: «Immagino che lei sia un fabbro», mi disse. Quando ero più giovane avevo l'aspetto di un intellettuale, ora sembro un chiattaiolo o un fabbro. E cambiare la propria costituzione in modo da avere la pelle dura non è cosa facile.
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Il suo amore per il mondo contadino è racchiuso qui, giusto?
Ho voluto sottolineare come questa gente che mangia patate al lume della lampada, ha zappato la terra con le stesse mani che ora protende nel piatto, e quindi parlo di lavoro manuale e di come essi si siano onestamente guadagnati il cibo. Ho voluto rendere l'idea di un modo di vivere che è del tutto diverso dal nostro di gente civile. Chi preferisce vedere i contadini con il vestito della domenica faccia pure come vuole. Personalmente sono convinto che i risultati migliori si ottengano dipingendoli in tutta la loro rozzezza. Se un quadro di contadini sa di pancetta, fumo, vapori che si levano dalle patate bollenti, va bene, non è malsano; se una stalla sa di concime, va bene, è giusto che tale sia l'odore di stalla. Dipingere la vita dei contadini è una cosa seria. Penso spesso che i contadini formino un mondo a parte, che da certi punti di vista è migliore del mondo civile.
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Lo credo anche io. Lei mi è sempre parso una persona determinata. Ma come lo si diventa?
Quanto più presto si cerca di diventare padroni di una determinata professione, adottando un modo relativamente indipendente di pensare e agire, tanto maggiore diverrà la fermezza del carattere. Dobbiamo gettarci nel profondo se vogliamo pescare qualcosa, e anche se a volte dobbiamo lottare per l'intera notte senza prendere nulla, è bene non arrenderci, ma gettare di nuovo le reti al mattino. E ricordarci sempre da dove siamo partiti: nous sommes aujourd'hui ce que nous étions hier.
Parole importanti da memorizzare, signor Van Gogh, soprattutto per la mia generazione di trentenni che a volte ci sembra di non riuscirci...
Per un uomo che lavora, l'età di 30 anni è l'inizio di un periodo di maggiore stabilità e in quanto tali ci si sente giovani e pieni di energia. Ma al tempo stesso un capitolo della propria vita è chiuso; rende tristi il pensiero che alcune cose non torneranno più. Be', molte cose iniziano in realtà a trent'anni...
E lei ne sa qualcosa, giusto? Dal momento che ha iniziato a dipingere a ventisette anni...
Esattamente. Mi sono buttato anima e corpo nel mio lavoro. L'uomo non ha amico più fedele del suo dovere. Finché si lavora a servizio del dovere non si diventa facilmente dei falliti.
Il suo destino però ha voluto che alcune persone di Arles, paese in cui visse gli ultimi suoi anni, firmassero una petizione...
Mi sono chiesto cosa fossi agli occhi della gente... una nullità, un uomo eccentrico o sgradevole, qualcuno che non ha posizione sociale né potrà averne mai una. Un certo numero di persone di Arles nel 1889 avevano indirizzato al sindaco una petizione, più di ottanta firme, che mi definiva persona non adatta a vivere in libertà. Il commissario di polizia aveva dato ordine di internarmi nuovamente. Ero sotto chiavi e chiavistelli e guardiani di cella, senza che fosse provata la mia colpa. Lì, salvo la mia libertà compromessa, non mi trovavo male. Che vuoi, soffrire senza lamentarsi è l'unica lezione che importa imparare nella vita. Io stesso temevo che in libertà non sarei stato padrone di me, se provocato o insultato. Se fossi stato cattolico avrei avuto la risorsa di farmi monaco. Il dottore che era lì era incline a considerare i miei attacchi di natura epilettica. Il mangiare sapeva di muffa. La paura della follia mi stava passando. Il 16 maggio 1890 il dottore annotò sul suo registro guarito.
E quella notte del 23 dicembre 1888 in cui si tagliò l'orecchio? Lo sa che solo dopo 130 anni abbiamo scoperto la verità?
Non si tagliò solo il lobo, ma l'intero orecchio per donarlo poi a una donna, figlia di un contadino e che lavorava come cameriera in un bordello a Parigi, Gabrielle Berlatier.
Qui.
Nel mio quadro Caffè di notte ho cercato di esprimere l'idea che il caffè è un posto dove ci si può rovinare, diventar pazzi, commettere dei crimini. Inoltre ho cercato di esprimere la potenza tenebrosa quasi di un mattatoio, con dei contrasti tra il rosa tenero e il rosso sangue e feccia di vino, tra il verdino Luigi XV e il Veronese, con i verdi gialli e i verdi blu intensi, tutto ciò in una atmosfera di una fornace infernale di zolfo pallido.
La cosa mi inquieta non poco. Si racconta che Pissarro l'avrebbe volentieri ospitata a casa sua, ma che dovette rinunciare perché la moglie temeva l'influenza negativa sui figli. Infatti dichiarò: «O sarebbe impazzito o ci avrebbe superato tutti. Non sapevo però che avrebbe fatto entrambe le cose».
Ho sempre avuto ammirazione verso Pissarro. Mio fratello Theo aveva cercato di vendere alcune sue opere. Ero consapevole delle mie condizioni, ma ho sempre cercato la luce e la libertà perché non bisogna meditare troppo sui mali della vita. Ovviamente ciò che uno ha dentro traspare anche fuori. Mi chiedevo spesso: come posso essere utille, in cosa? C'è qualcosa dentro di me, e in cosa consiste? Volevo fare dei disegni che andassero nel cuore della gente e ora vorrei solo che mi accettassero per quel che sono.
Per noi era un sogno poter intervistare Vincent van Gogh e per questo lo ringraziamo tenendoci sempre nel ricordo ciò che ci disse:
Che cosa sarebbe la vita se non avessimo il coraggio di fare tentativi?
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