Cosa vuol dire perdere la madre a dodici anni?
Una ragazzina, Xing Li, compie dodici anni, insieme a sua madre e al suo fratello sedicenne, Lai Ker. E fin qui sarebbe tutto normale se, proprio il giorno di quel compleanno, non accadesse qualcosa di doloroso. La madre esce di casa per comprare le candeline per la torta di Xing Li, si ferma in un ristorante dove lavora un amico di famiglia, il forno esplode e la madre muore.
Le esistenze di Xing Li e Lai Ker cambieranno radicalmente e La vita secondo Banana di PP Wong (edito da Baldini & Castoldi, nella traduzione di Raffaella Patriarca), in libreria da oggi, racconta proprio questo cambiamento, le difficoltà incontrate e il senso di colpa con cui Xing Li deve fare i conti.
Qui di seguito, vi proponiamo in anteprima il primo intenso capitolo di La vita secondo Banana, per gentile concessione dell’editore.
UNO
Morte di un cuoco
«Devi essere contenta che la gatta sia in un posto migliore. Se fossimo nel Guangdong, adesso si troverebbe nella pancia di un contadino.»
«Come sei razzista.»
«Non posso essere razzista verso la mia stessa razza. Mamma ha detto che è impossibile.»
«Non ricordo che mamma abbia mai detto una cosa simile.»
«E invece sì.»
Non sono certa che mio fratello Lai Ker abbia ragione, comunque mamma non è più qui. È in cielo con papà e con la mia vecchia gatta Miao Miao. La nonna mi ha obbligato a portarla alla Lega per la protezione degli animali: ha vent’anni e so che cosa succede agli animali anziani. Nonna ha detto che doveva andare perché era «sporca», «puzzolente» e un «ricettacolo di milioni e milioni di germi». Ha anche detto che non potevo tenere la mia sveglia di Bart Simpson con l’ammaccatura in fronte. Lai Ker ha il permesso di portare la sua Xbox, ma solo dopo averla pulita con le salviettine igienizzanti. Però non può portare le piante dalle foglie giganti che coltiva in camera sua e che vende agli amici, perché i due giardinieri della nonna hanno già molto da fare.
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Non abbiamo sempre abitato con la nonna. Per dodici anni ho vissuto in un confortevole trio: mamma, io e Lai Ker. Eravamo i Kwan di Kilburn Road, al 187C, la famiglia sino-britannica che ascoltava musica pop a tutto volume e parlava con accento sino-cockney. Lai Ker era il più cockney, mamma la più cinese e io stavo nel mezzo. Incontravamo la nonna, zia Mei e lo strano zio Ho una volta all’anno, perché mamma diceva che la nonna era una donna super impegnata e non aveva tempo per noi. Tutte le volte che ci vedevamo, la nonna non rivolgeva la parola a mamma se non per lamentarsi di qualcosa.
«Perché non metti più salsa di soia sul pesce? Sa di ascella.»
«Tua cucina così sporca, topi ballano qui tutti i giorni.»
«Tuo appartamento è troppo piccolo. Va bene solo per nanetti.»
Mamma si limitava a ignorarla e a comportarsi come se lei non ci fosse. Chiesi a mamma perché non ribattesse mai, e lei mi rispose che quando le persone litigano significa che ci tengono l’una all’altra.
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Mamma ha sempre cercato di insegnarmi ciò che è giusto o sbagliato. Mi ha spiegato un sacco di cose, tipo che non devo mai lasciare del riso nel piatto, che se lo facessi, mi spunterebbero sulle guance dei grossi brufoli per ogni chicco avanzato. Inoltre, che non bisogna mai togliere la protezione di plastica dallo schermo del televisore e dei cellulari e anche dal divano perché così durano più a lungo. Adesso però non saprò più ciò che mamma pensa, perché lei non c’è più. Se n’è andata per sempre e io non posso farci niente.
Mamma è morta il giorno del mio dodicesimo compleanno.
Pioveva molto, ma non era la solita pioggerella londinese esitante che non sa decidersi se cadere a dirotto oppure no.
A Londra di solito la pioggia ti infastidisce a sufficienza da farti usare l’ombrello, ma non è così fitta da poterci sguazzare dentro e divertirti, e di certo non ci si può giocare a «non farti beccare da un fulmine». Il giorno del mio compleanno c’era quel tipo di pioggia che ti dà l’impressione che il tetto possa crollare. Era divertente, rumorosa e faceva un po’ paura.
Seduta vicino a una stufa a cherosene, avevo cominciato ad aprire i pacchetti avvolti in una splendida carta regalo con i disegni di Rudolph la renna dal naso rosso. Da mamma ricevetti un videogioco e una stecca di Toblerone già morsicata da Lai Ker. Ero al settimo cielo quando, d’un tratto, mamma tirò fuori una piccola torta al cioccolato. Compravamo deliziosi e costosi dolci al cioccolato solo per il compleanno. Mamma lanciò un’occhiata all’orologio e borbottò come la giornata fosse passata in fretta. La nonna, zia Mei e lo strano zio Ho sarebbero arrivati di lì a poco. Fu presa dal panico perché non avevamo delle candele. Mamma voleva sempre che fosse tutto super perfetto quando venivano loro. E quando si lasciava prendere dal panico, si metteva a correre per la casa bofonchiando e agitando le braccia come quei pazzi cantanti dell’opera cinese. Lai Ker l’aveva soprannominata «Melodramamma».
Mamma afferrò velocemente il suo vecchio ombrello fiorato e corse fuori nella pioggia. Erano le quattro e ventitré del pomeriggio. Ricordo l’ora perché continuava a ripetere che la nonna sarebbe arrivata di lì a sette minuti e che non era mai in ritardo. «Accidenti! Sono le quattro e ventitré. La nonna sta per arrivare. Sono già le quattro e ventitré! Mi servono delle candele.»
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Mamma uscì nel temporale per andare a cercare quelle dannate candele. Sulla strada verso l’edicola, passò davanti al ristorante cinese di Xiong Mao. Mamma spesso s’intrufolava nelle cucine del ristorante per scroccare del cibo gratis ad Andy Cheung, il suo amico cuoco. Lai Ker dava ripetizioni di matematica al figlio di dieci anni di Andy e il cibo gratis era il suo modo per restituire il favore. I cinesi lo chiamano Guanxi, che praticamente significa: «Tu mi gratti la schiena e io ti gratto la tua».
Mamma avrebbe seguito il suo solito rituale con Andy Cheung, che sarebbe iniziato con il suo consueto grande imbarazzo per le ENORMI porzioni regalatele da Andy. Dato che era il mio compleanno, sono sicura che sarebbero state ancora più abbondanti del normale. Quell’uomo era davvero di una cortesia straordinaria. Come sempre, mamma gli avrebbe chiesto di fare delle porzioni più piccole, ma Andy avrebbe spinto verso di lei le vaschette e mamma le avrebbe rispinte indietro, sostenendo che le porzioni erano troppo grandi.
Avanti, indietro, avanti, indietro.
Il rituale sarebbe continuato per circa tre minuti finché Andy avrebbe aperto la borsa di mamma infilandoci dentro a forza il cibo, per poi spingerla gentilmente verso l’uscita. Andava sempre così con Andy Cheung. Non so quanto fosse durata quell’ultima volta, ma non fu per quello che mamma morì. Lai Ker dice di sì, ma io so la verità, mamma non è morta per quello stupido rituale.
Mamma è morta perché era il mio compleanno.
Se non fosse stato il mio compleanno, mamma non sarebbe uscita a cercare le candele. Non sarebbe passata davanti al ristorante di Andy Cheung e non si sarebbe fermata a prendere qualcosa di buono per me. Non avrebbe dovuto ripetere quello sciocco cerimoniale con Andy Cheung proprio accanto al forno da quattro soldi che i proprietari del ristorante si rifiutavano di far riparare. E così sarebbe stata lontana dalla cucina di Andy Cheung quando il forno esplose. E la sua foto non sarebbe apparsa sulla prima pagina della cronaca locale. E io non avrei trascorso il mio dodicesimo compleanno all’obitorio.
Mamma è morta per colpa del mio compleanno. Mamma è morta per colpa mia.
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