Cosa c’è dietro un romanzo? Ce lo svela Thomas C. Forster
Non è rado imbattersi in pagine web o forum in lingua anglosassone che trattino argomenti di critica letteraria, ospitanti recensioni su testi di “addetti ai lavori” e sentirli qualificare con l’aggettivo academic. «It seems so academic!»è il giudizio sul lavoro di quel tale ricercatore, o studioso o scrittore (spesso il libro è una traduzione dall’originale italiano, o in molti casi francese e tedesco), “etichetta” che viene affibbiata a una pubblicazione che finisce per circolare ed esser dibattuta in un gruppo più o meno ristretto di specialisti in discipline letterarie, filosofiche e quant’altro, con argomentazioni e apparati dal taglio e dallo stile infarcito di tecnicismi, con una ricca bibliografia, appesantiti da varie note a piè di pagina e apparati critici. Non è questo il caso di Dietro il romanzo, del professor Thomas C. Foster, classico americano da oltre 2 milioni di copie, uscito qualche mese fa in Italia per i tipi di Vallardi, con la traduzione di Andrea Berardini.
Forster è il professore di letteratura che tutti vorremmo avere, con quel taglio divulgativo (una sorta di Piero Angela versato alla letteratura) che sa sbrogliare e semplificare anche le teorie più ardite dello strutturalismo – per dirne una – o i canoni letterari più ostici e sperimentali. Nelle pagine di questo libro conversa amabilmente con i suoi studenti, come se ci trovassimo nelle aule di un college; il professore anticipa le domande dei suoi uditori e fornisce le risposte, ci scherza sopra, gli esce anche la battuta di spirito che ce lo rende un piacione ma la formula funziona, proprio per lo stile accattivante e avvincente, per il suo intraprendere un percorso di lettura critico e investigativo, per certi aspetti molto ludico che sortisce l’effetto di rendere piacevole e gratificante al lettore la sua esperienza di lettura presente e, si confida, anche quelle future.
Il metodo di Forster è il metodo in cui molti autori americani sono stati maestri, quello della “scuola del fare”, del valore attribuito alla pratica e all’esperienza. In apertura l’autore ribadisce quanto sia necessario spiegarsi con chiarezza, di come il suo compito sia quello di aiutare i lettori a trovare i punti di forza nel proprio metodo di lettura, così da permetter loro di proseguire con le proprie gambe. E afferma che ci riescono. Esistono tutta una serie di convenzioni, una chiave (o più d’una) per leggere la letteratura. Come fare per riconoscerle? Nello stesso modo in cui si arriva a suonare alla Scala, dice Forster. Con l’esercizio. Quando un lettore ingenuo si confronta con un testo narrativo si fa rapire in prima istanza dalle situazioni, dalla trama incalzante, dal carisma di un personaggio. Lettori di questo genere reagiscono al testo principalmente a livello emotivo.
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Il lettore più competente aggiunge alla sua esperienza istintivo-emotiva (anche i professori piangono!) almeno tre elementi in più: la memoria (il proprio schedario mentale, le letture fatte, i film e le opere teatrali visti, la musica ascoltata), i simboli e la struttura. Il lettore professionista si pone delle domande: «Questa è una metafora? È un’analogia? Cosa significa quest’oggetto?». Le strutture sono in secondo piano rispetto ai dettagli che le rivelano e sta all’abilità del lettore individuarle, come quei bravi meccanici che riparavano le auto prima dell’avvento della diagnostica computerizzata: se succede questo o quest’altro allora bisogna controllare un certo pezzo.
L’analisi condotta dal professor Forster è piuttosto ampia, e fa riferimento a centinaia di esempi letterari, classici e non, anche desunti dalla musica pop e rock, dal cinema e dal fumetto. Il repertorio è stato ritagliato sulla formazione del docente, ch’è imperniata per lo più sulla letteratura in lingua inglese, perciò non aspettatevi d’incontrare Dante, bensì Shakespeare o Milton. Scordatevi Gadda, ma si parlerà diffusamente di Eliot, Joyce e Woolf, passando di sguincio anche per Calvino.
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Ogni viaggio costituirà perciò, nella maggioranza dei casi, una ricerca interiore ed esteriore; ogni volta che un personaggio mangia e beve insieme a qualcun altro, si tratta di comunione e scopriremo che parlare di vampirismo ha a che fare col sesso. Sto generalizzando, è evidente, ma Forster cita molti brani e li condisce di sagaci disamine che reggono e convincono, e non sono mai del tutto ovvie e sovente praticate. Giova pure il ricordare che non esistono opere letterarie del tutto originali, e una volta compreso questo adagio si può andare in cerca di vecchie conoscenze, chiedendo: «Dov’è che l’ho già vista?».
Il perno del trattato del professor Forster può ricondursi al pensiero– condivisibile o meno, ma senza dubbio intuito quando non delineato da chi si è occupato nelle varie epoche di letteratura e dintorni – che esiste solo una storia. «Sempre e soltanto una. È in continuo svolgimento ed è ovunque, tutt’attorno a noi, e ogni altra storia che abbiate letto, ascoltato o visto non è che una parte di essa. Le mille e una notte. Amatissima. Jack e la pianta di fagioli. L’epopea di Gilgamesh. Histoire d’O. I Simpson».
Le storie, perciò, nascono da altre storie, le poesie da altre poesie. E non è necessario che si attengano a un certo genere. Sostiene Forster che il dialogo tra testi vecchi e nuovi è sempre in corso, a un certo livello, e questo dialogo viene chiamato dai critici intertestualità. Non è importante notare tutte le corrispondenze, viene precisato, e del resto se una storia è pessima il basarsi su Amleto non la salverà. Un lettore principiante è più svantaggiato, ma più libri si leggono più si riesce, pure con l’aiuto di testi come questo, a scorgere i link che allacciano tante opere nel corso della storia letteraria. Se sei anglofono, quando sei in dubbio è Shakespeare, e il professore si diverte a fornire una rassegna di autori che non solo citano pedissequamente il Bardo ma anche trame e situazioni derivate in maniera diretta dalle sue opere e trasposti in chiave moderna e contemporanea. Gli stessi autori fanno affidamento sulla conoscenza dei loro lettori riguardo alle opere originali dalle quali hanno tratto dei testi “derivativi” (se è appropriato e non sminuente chiamarli così) per permettersi di veicolare più messaggi di quanti ne affermerebbero direttamente.
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E se non è Shakespeare potete star certi che si tratta della Bibbia. «È quasi impossibile leggere Donne, Malory, Hawthorne o Rossetti senza imbattersi in citazioni, trame, personaggi, intere vicende tratte dalla Bibbia. Basta pensare che ogni scrittore, prima della metà del Novecento, aveva una solida educazione religiosa». Anche per il lettore profano o digiuno di studi specialistici in quella o quell’altra disciplina, spiega Forster, può essere utile adottare il metodo che lui chiama “test di risonanza”: se, in breve, si ha l’impressione che in un romanzo avvenga qualcosa che sembra vada oltre le dimensioni immediate della storia o della poesia, se risuona con qualcosa all’esterno, può essere utile per il lettore porsi alla ricerca di allusioni a testi più antichi e noti. Anche fare raffronti con quel vasto patrimonio che sono le fiabe e le storie dell’infanzia può giovare e quanti parallelismi troveremo: Hänsel e Gretel, Alice nel paese delle meraviglie, Cenerentola, eccetera.
Un’osservazione interessante che Forster sviluppa è questa: sembrerebbe che il lettore vada in cerca di storie stranianti, ma che rivelino anche un certo grado di familiarità. Vogliamo che il romanzo che stiamo leggendo non sia uguale a nulla di quanto abbiamo letto in precedenza ma, allo stesso tempo, desideriamo che assomigli a qualcosa che abbiamo letto, in modo da poter usare la nostra esperienza per comprenderlo. Così pure il patrimonio dei miti è un vivaio dove trovare temi e motivi, e per il lettore la possibilità di entrare “in risonanza” con quegli aspetti stranianti e familiari insieme. In quanti leggeremmo una commedia con tre carcerati in fuga come un’eco dei viaggi di Odisseo? Eppure è proprio quello che ci offrono i fratelli Joel e Ethan Coen nel loro film Fratello, dove sei? (2000), il cui tema dominante è il nostos, il ritorno a casa. «Era una notte buia e tempestosa»; questo celebre incipit che assegniamo candidamente a Snoopy, con un sorriso tra le labbra, venne vergato nientemeno che da Edward Bulwer-Lytton, noto scrittore popolare vittoriano, e sembra ammonirci sul fatto che la pioggia in un romanzo non è mai soltanto pioggia. Ricordate, piuttosto, di non stare mai troppo vicini all’eroe, ammonisce il professore in uno dei capitoli più godibili del suo saggio. Il destino dell’eroe travolge chi gli sta accanto. Basti pensare a quel che accade a Patroclo per via della devota amicizia che lo lega all’iroso Achille. Le opere letterarie non sono delle democrazie e nell’analisi dei personaggi viene tirato in campo un altro Forster, il più insigne Edward Morgan, che nel suo libro Aspetti del romanzo divide i personaggi in tondi e piatti, dove i tondi sono i personaggi tridimensionali che hanno la possibilità di evolversi e crescere, a scapito dei piatti, personaggi più statici e indifferenziati, ai quali manca un pieno sviluppo e vengono utilizzati dall’autore per lo più come espedienti narrativi.
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In quasi 400 pagine, Dietro il romanzo offre un ricco campionario letterario dove tutto è in relazione con tutto, compendio utilissimo in un workshop di scrittura creativa – con tanto di esercizio pratico in appendice su un racconto, citato per intero, di Katherine Mansfield – e al lettore che vuole intraprendere un percorso di consapevolezza delle sue esperienze di lettura, perfezionando la sua abilità di istituire certe corrispondenze. Non da ultimo è un testo che scorre agilmente e si legge con piacere, il che non è poco. A me è parso più che sincero, e la sincerità paga. Non può che starti simpatico un accademico che scrive: «Sì, sì, conosco benissimo la protesta di Wordsworth a proposito di come noi critici “uccidiamo per sezionare”. Ma è una sciocchezza. Non conosco nessuno che ami e apprezzi la letteratura quanto gli esperti davvero capaci di esaminare gli elementi che la compongono. Perché secondo voi ci siamo specializzati proprio in questo campo? Perché amavamo leggere queste cose».
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