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“Corto viaggio sentimentale” di Italo Svevo, l’inettitudine matura

“Corto viaggio sentimentale” di Italo Svevo, l’inettitudine maturaItalo Svevo, si sa, è un professionista nell’indagine della coscienza umana: forse è stata la sua origine triestina, la nascita nell’avamposto italiano della psicoanalisi, ad avergli permesso di esaminare i comportamenti umani con occhio critico e amorale, ma è indiscussa la portata rivoluzionaria del suo lavoro all’interno della produzione narrativa del primo Novecento in Italia. La coscienza di Zeno, pubblicato nel 1923, è il punto d’arrivo di una ricerca avviata più di trent’anni prima con la pubblicazione di Una vita (1891), cui seguì poco dopo Senilità (1898): questi sono romanzi di impronta naturalistica per la disposizione ordinata delle scene narrative, per le descrizioni d’ambiente e per la caratterizzazione dei personaggi, ma a una lettura più attenta si può certo notare qualche discrepanza rispetto ai romanzi naturalistici propriamente detti, perché la frustrazione e l’inettitudine dei protagonisti delle vicende non rimangono estranei alla narrazione; anzi questa risente molto della carica emotiva dei protagonisti, tanto da generare un’atmosfera asfissiante che non rispetta affatto la concezione positivistica della letteratura come documento umano. È solo dopo vent’anni di silenzio letterario, vissuti sostanzialmente dedicandosi all’attività commerciale di famiglia, che Svevo ricalca la scena letteraria, mettendo a nudo la coscienza frammentata, contraddittoria e sempre concupiscente di un piccolo borghese qualunque, Zeno Cosini, senza alcun filtro naturalistico. Finalmente in questa sede trova pieno compimento la sensibilità analitica dell’autore, che grazie all’avvedutezza del giovane Montale, fautore del Caso Svevo, può godere fino alla sua morte improvvisa nel 1928 di un grande successo letterario a livello nazionale e internazionale. In particolare, è nei lavori successivi alla Coscienza che Svevo cerca di condurre la sua materia verso direzioni anche succedenti l’apocalisse bramata da Zeno: basta pensare al Vecchione, ideato come romanzo continuativo della Coscienza ma rimasto incompiuto insieme a buona parte della narrativa degli ultimi anni, in cui si inserisce il racconto analizzato di seguito.

 

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Corto viaggio sentimentale, pubblicato nella sua ultima edizione dalla Newton Compton nel 2014 a cura di Mario Lunetta, narra in terza persona il viaggio in treno intrapreso dal protagonista Giacomo Aghios, un uomo vicino ai sessanta, che parte dalla stazione di Milano ed è diretto a Trieste per ultimare delle commissioni a nome della moglie. La vicenda è tutta incentrata sulla percezione che il signor Aghios ha degli eventi che si svolgono durante il tragitto: conoscenze, colloqui e particolari del viaggio vengono esplicitati dalla voce narrante, che si configura come voce della coscienza, in uno stile allucinato, digressivo e a tratti caotico per la continua descrizione degli avvenimenti secondo la percezione del protagonista nevrotico. Il lavoro si compone di sette capitoli, che prendono il nome dei luoghi in cui si svolge l’azione (Stazione di Milano e Venezia,oppure Milano-Verona per indicare quanto accade durante la tratta tra le due città), ma s’interrompe bruscamente dopo alcuni capoversi dell’ultimo capitolo Gorizia-Trieste con una parola spezzata nel mezzo, Tries, subito dopo che il signor Aghios scopre di essere stato vittima di un increscioso furto.

“Corto viaggio sentimentale” di Italo Svevo, l’inettitudine matura

L’incipit del racconto contiene tutti i caratteri che si manifestano nel corso dell’opera: «con dolce violenza» è l’attacco che sintetizza la natura contraddittoria del protagonista, che troviamo oppresso dalla famiglia, considerata una prigione per la rigidità di sua moglie e la devitalizzante saccenteria del figlio ventenne, il quale è concepito quasi come un nemico perché più acculturato di lui; lui che «aveva letto qualche opera filosofica» in vita sua. Il viaggio di “lavoro” si tramuta, così, in viaggio di libertà: il signor Aghios freme dalla voglia di allontanarsi dalla moglie, per questo in stazione corre in cerca del suo treno abbandonandosi a qualsiasi pensiero che lo distoglie dalla presenza della coniuge a pochi passi da lui, ma, nel frattempo, non intende esibirle tale desiderio per paura di darle un dispiacere; in questo modo, risolve di mettere da parte l’egoismo giungendo a patti con la donna, che saluta calorosamente con un bacio prima di salire sul mezzo di trasporto.

La relazione che il signor Aghios intrattiene con sua moglie è esplicativa di numerosi atteggiamenti: è qui in atto, infatti, lalotta tra il principio di piacere, cioè il desiderio di vivere secondo il proprio volere assoggettando a sé la realtà, e il principio di realtà, che comprende i fenomeni e le entità reali con cui il soggetto deve fare i conti in ogni situazione. Il soggetto decide di comportarsi come più conviene al proprio carattere davanti a questi fenomeni, e il signor Aghios, pur anelando a soluzioni che mettono in primo piano i propri bisogni, finisce costantemente per corrompere se stesso assecondando i piaceri dell’altro; ne consegue un cortocircuito interiore che genera una recidiva insoddisfazione verso la propria condizione e l’aspirazione a vette ideali e irraggiungibili. «Non si poteva dire ch’egli amasse qualcuno, ma egli amava intensamente tutta la vita, gli uomini, le bestie e le piante, tutta roba anonima e perciò tanto amabile»: la principale voglia del signor Aghios è di non essere compromesso da ciò in cui s’imbatte, e ciò è evidente nell’incontro con l’inglesina sul treno, che egli brama sessualmente ma si augura che lei non comprenda ciò che lui le direbbe qualora si conoscessero. Ciononostante, la situazione di un lungo viaggio lo sottopone all’esigenza di confrontarsi con altri viaggiatori e, pur perdendosi spesso nei meandri dei ricordi evocati da associazioni improvvise, l’uomo appare portatore di una saggezza che nessuno sembra avere: infatti, egli è in grado di comprendere e inquadrare chi ha davanti a sé, come nel caso del mercante Borlini, un uomo borioso ed esibizionista di cui compatisce il figlio Paolucci per essere nato in una famiglia che mai avrebbe inteso – anzi avrebbe presto condannato – la sua inclinazione fantastica.

“Corto viaggio sentimentale” di Italo Svevo, l’inettitudine matura

La svolta narrativa avviene nel momento in cui il tedioso ma bonario Borlini scende dal treno e il signor Aghios si ritrova nello scompartimento con un giovane, Giacomo Bacis: caratterizzato da comportamenti insoliti, dominati dalla tendenza al sonno e al nascondimento, il ragazzo rimane molto sorpreso dalla conoscenza del viaggiatore milanese e insieme decidono di attendere nella Laguna della città e successivamente in un ristorante la coincidenza del treno che sarebbe passato di lì a qualche ora per Venezia. Durante l’attesa, i due hanno modo di entrare in intimità, finché il Bacis rivela al suo nuovo amico la propria disavventura sentimentale, che richiede di saldare un debito di dieci (o quindici?) mila lire per dirsi conclusa. Il signor Aghios si lascia commuovere dalla storia del giovane ma, pur rivelando al ragazzo di avere con sé la somma a lui necessaria, lo invita ad attivarsi dimostrandogli ugualmente la disponibilità ad aiutarlo. Dunque, una volta risaliti sul treno diretto finalmente a Trieste, il signor Aghios si abbandona a un sogno che rielabora la vita vissuta grazie alle parole, ai pensieri e alle percezioni della giornata, ridestandosi dopo alcune ore di viaggio senza il Bacis al suo fianco: inizialmente confuso, l’uomo realizza di essere stato derubato proprio dal ragazzo ed è preso da una rabbia sconclusionata perché impotente. A proposito di questo episodio, si parla di svolta perché è evidente come Giacomo Bacis sia l’alter ego attivo del signor Aghios:insoddisfatti dalla sorte che hanno scelto per obbligo morale convolando a nozze solo per interesse, entrambi si lasciano vivere in un’inerzia malinconica e nell’odio dell’altro, ma, mentre i disegni di ribellione del vecchio Aghios rimangono confinati nella pura idealità probabilmente per la suddetta saggezza, il principio di piacere del ragazzo appare meno mitigato dalla prudenza ed esso si rivela in tutta la sua «sincerità carnale», la stessa sincerità che è alla base della sua disavventura amorosa. «Si poteva pensare a questo mondo quello che si voleva» riporta la voce narrante riguardo agli atteggiamenti del signor Aghios, «ma non bisognava rivelare quel pensiero tanto bello e giusto finché restava celato nel proprio animo e tanto ingiurioso quando sbucava alla luce del sole». Ma il dato sorprendente consiste nella minuzia di un evento secondario, che nella conclusione della vicenda assume un valore notevole: anche il Borlini aveva rivelato al signor Aghios di avere custodito nel taschino una grande somma di denaro, e, mentre questi si era appisolato, il protagonista aveva anch’egli ideato un furto quasi sotto gli occhi di colui che si sarebbe in seguito rivelato il ladro reale della vicenda.

 

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Che sia il giovane Bacis un’allegoria del principio di piacere del signor Aghios, visto il limpido cedimento alla logica egoistica che lo anima sin dall’inizio della vicenda? Nella narrativa sveviana non è mai possibile avere una risposta totalizzante e indicativa della sua opera: ciò si deve non certo al capriccio di un autore sui generis per la sua epoca e soprattutto per il panorama letterario italiano, ma rappresenta una grande conquista del romanzo primonovecentesco, che aveva preso le distanze da una narrativa avvincente, solida, unitaria eppure così poco mimetica di una realtà ormai distorta dall’individualismo borghese, dalle disgrazie della Prima guerra mondiale e dal rientro delle tendenze eversive sotto le dittature, verso cui non è più possibile mantenere atteggiamenti di fiducia e ottimismo.


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