Corrado Stajano – “La cultura italiana del Novecento” e l’era del post
Corrado Stajano, scrittore e giornalista, commenta, nell’introduzione alla raccolta di saggi La cultura italiana del Novecento, alcune affermazioni di protagonisti del XX secolo. In primis, egli afferma che, in esse, vi è un «po’ tutto quanto accaduto» nel Novecento: dalle due guerre mondiali ai campi di sterminio, dalla bomba atomica ai mutamenti della carta geografica d’Europa, fino al progresso tecnologico e alla conseguente crisi delle certezze e sconfitta delle utopie. Secondariamente, egli continua sostenendo che tutto, in breve tempo, è cambiato nel profondo: si è passati, per esempio, «dalla campana della chiesa» che scandiva le ore e il tempo «alla sirena della fabbrica».
Stajano insiste su questo cambiamento radicale occorso all’interno della società e, per certi versi, anche nell’uomo stesso tanto che giunge ad affermare che, in seguito alla caduta del muro di Berlino, si è entrati nell’era del “post”, una sorta di “ricominciamento globale”. Lo scrittore conclude che gli uomini sono stati rapiti da uno “stravagante smarrimento” in quanto, di fronte alle innumerevoli vie proposte dalla libertà dal terrore, pesano i problemi di una società globalizzata in cui si agitano “nazionalismi e localismi, pericoli di guerre religiose […], ondate migratorie” e molto altro ancora; da ciò l’uomo si sente sconcertato in un “mondo vergine” nel quale errabonda, insicuro sul proprio futuro.
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Analizzando alcuni punti-chiave dell’argomentazione di Stajano, è importante porre l’attenzione sulla sua affermazione riguardo al fatto che, in pochi anni, si sia passati dalla campana della chiesa alle sirene delle fabbriche come scandi-tempo. Lo scrittore, infatti, attraverso quest’asserzione vuole sottolineare il radicale cambiamento occorso nella società nei decenni successivi alla Seconda guerra mondiale: con il “boom” economico, le industrie hanno catalizzato lavoratori dalle campagne e questa spinta all’industrializzazione ha determinato un conseguente slancio dell’urbanizzazione, con città che si sono espanse in breve tempo a ritmi impressionanti. Laddove, nel periodo precedente alla guerra, il principale luogo di aggregazione, unione e di riferimento era la chiesa di campagna, al contrario, nel periodo post-bellico, il nuovo luogo di ritrovo è divenuto la fabbrica, l’azienda che chiama gli operai con le proprie sirene e scandisce loro i tempi di lavoro e, perciò, di vita.
Continuando l’analisi, si può notare come l’autore, che scrive nel 1996, affermi che, ormai, «siamo nell’era del post»; il giornalista asserisce che si è entrati nell’era del post poiché l’uomo vive «una sorta di ricominciamento globale» in seguito alla frantumazione ideologico-sociale accaduta negli anni Ottanta. Il “secolo breve”, così come è stato definito dallo storico Hobsbawm, è stato, si potrebbe dire, “tutto”: dalla sicurezza e fiducia nel progresso, la cosiddetta “belle époque”, del periodo precedente alla Grande Guerra, all’equilibrio e al rigore nel terrore dei totalitarismi tra le due guerre; dagli orrori dello sterminio nazista alla necessità di rinascita e ricostruzione in un difficile post-Seconda Guerra Mondiale. La fuoriuscita da questo “tutto” ha creato un senso di vertigine e “stravagante smarrimento” nell’uomo moderno che si è trasformato in individuo “post-moderno”: la caduta delle certezze, degli assoluti metafisici ed etici e la crisi dei valori hanno generato un’epoca “post”, che si svincola dal passato senza aver trovato un’identità indipendente per affermarsi nel futuro.
Lo “stravagante smarrimento” prima citato è un’eloquente espressione per rendere la vacuità identitaria dell’uomo globalizzato e post-moderno: egli si trova naufrago su un’isola perduta, solo tra mille maschere e, quindi, citando Pirandello, “uno, nessuno e centomila”. L’analisi esplicitata da Stajano riguardo allo “uomo nuovo” della civiltà post-moderna, che descrive una pesante eredità lasciata alle generazioni venture, è confacente alla realtà quotidiana e, anzi, essa si è acuita nel tempo. L’epoca in cui l’uomo oggigiorno vive è figlia del Novecento “decostruttivista”: le rivoluzioni tecnico-scientifiche occorse negli ultimi decenni hanno sancito un amore incondizionato e indefinito nei confronti della scienza che ha sanzionato la nascita del “post-umanismo” in cui la letteratura, la filosofia e le materie umanistiche hanno perso il ruolo egemone avuto per secoli.
Il “post-humanism” sopracitato trova i suoi prodromi nella crisi delle certezze di inizio Novecento ma si concretizza completamente con il “decostruttivismo” francese degli anni Sessanta del secolo scorso: la filosofia decostruttivista di Derrida ha condizionato la società novecentesca portandola a una crisi totale e onnilaterale del sé individuale e sociale. Lo “stravagante smarrimento” di cui parla Stajano si è acuito ed è diventato un senso di vertigine così profondo che ha creato un sentimento di annullamento dell’uomo di fronte a ogni problema storico-sociale: egli fatica a trovare soluzioni per problematiche che attanagliano la società moderna poiché sente che quest’ultima non dovrebbe più presentare criticità tipiche del secolo scorso e, per paura di ripetere gli errori del passato, l’uomo post-moderno spaura, si annichilisce e cerca compromessi che rivelano l’inadeguatezza degli individui nel mondo post-moderno privo di certezze e figlio di un secolo “totale” che ha esaurito il “tutto”.
Il XXI secolo è l’epoca delle contraddizioni: è l’era della globalizzazione ma anche dei campanilismi e localismi; del politically correct e della comunicazione ostile; delle aspirazioni filantropiche e pacifiste ma anche delle ondate migratorie e delle ferocie razziste in cui interi popoli vengono usati da nazioni per mettere pressione e ricattarne altre; infine, nel nuovo millennio lo spirito di unità coesiste con le volontà secessionistiche delle unità nazionali. I problemi che attraversavano e attanagliavano l’Europa vent’anni fa sono gli stessi che irretiscono la comunità europea oggi, impedendole un pieno e chiaro sviluppo e progresso verso una società veramente priva di scontri, di ideologie estreme e problemi latenti, impedendole di mostrare un’evoluzione di “prima facie” e costringendola a vivere, invece, una involuzione profonda.
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Ecco come l’introduzione a questa significante raccolta di saggi ci ha permesso di enucleare una serie di riflessioni sul “post”: Stajano si è dunque rivelato profondo analizzatore della società, capace di intercettare le nuove linee di sviluppo della stessa e soltanto dopo aver superato quest’epoca, quando saremo giunti all’alba di una nuova era, con la giusta distanza rispetto al passato, potremo asserire se la “post-evoluzione” sia stata positiva o negativa.
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