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Contro il fanatismo, la lettera aperta di Amos Oz

Contro il fanatismo, la lettera aperta di Amos OzCari fanatici, edito da Feltrinelli (traduzione di Elena Loewenthal) e definito dallo stesso autore come il suo “testamento politico”, contiene le riflessioni di uno dei più celebri scrittori del panorama letterario israeliano e internazionale, Amos Oz, un intellettuale che da anni si batte per tutelare i diritti anche della popolazione araba d’Israele e per risolvere il conflitto israelo/palestinese con «la spartizione del Paese in due nazioni per due popoli, sulla base dei confini del 1967 e nello spirito dell’accordo di Ginevra». Come era già accaduto con Contro il fanatismo, pubblicato tredici anni fa e di cui Cari fanatici viene considerato l’ideale continuazione, Oz, che nel gennaio 2016 ha ricevuto dall’Università Statale di Milano la laurea honoris causa, vi ha raccolto tre saggi brevi – oltre a Cari fanatici che dà il titolo alla raccolta, Tante luci e non una sola luce e Sogni da cui Israele farebbe bene a sbarazzarsi il prima possibileuniti dal filo rosso dei pericoli insiti in ogni tipo di fanatismo e dalla volontà di analizzare l’essenza e le contraddizioni dell’ebraismo.

Dopo aver dichiarato, nella prefazione, di volersi rivolgere soprattutto a chi la pensa diversamente da lui, Oz nella prima riflessione cita il proprio libro Una pantera in cantina, una storia autobiografica in cui racconta come, grazie all’amicizia con un poliziotto inglese, abbia scoperto «con immenso stupore che al mondo ci sono cose che si possono vedere in un modo ma anche in un altro, completamente diverso».

Dopo aver affermato che gli orrori del totalitarismo assassino del XX secolo hanno vaccinato a lungo il mondo contro gli estremismi e i fanatismi ma che tale benefico influsso è ormai terminato, Oz sviluppa il suo saggio intorno a due temi centrali: i principali tratti caratterizzanti il fanatismo e gli anticorpi che le società dovrebbero elaborare per combatterlo. Il fanatismo è un «gene cattivo» intrinseco alla natura dell’uomo, i cui principali sintomi sono il dogmatismo manicheo, la paura del diverso che talvolta si traduce in «politica di odio identitario», il «conformismo cieco» e, soprattutto, la volontà di rendere gli altri simili a sé, per il loro bene.  I fanatici vedono infatti i diversi da sé come uomini smarriti da redimere o, quando questo non sia possibile, da annientare al fine di purificare il mondo.

 

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Per Oz il fanatismo si può combattere contrapponendo all’idea che ne è alla base un’altra diversamente convincente, ma anche con la curiosità, la fantasia, il senso di umorismo e l’autoironia. Perché il vaccino contro il fanatismo prevede l’elaborazione di un minimo di pensiero critico, accanto alla «disponibilità ad affrontare talora situazioni aperte» che non necessariamente sfociano in una quadratura del cerchio, e alla percezione del rapporto con il diverso da sé come un incontro che non esclude lo scontro ma in cui ognuno è obbligato a confrontarsi con il mondo interiore dell’altro, venendone in un modo o nell’altro cambiato.

Contro il fanatismo, la lettera aperta di Amos Oz

In Tante luci e non una sola luce Oz analizza l’ebraismo, che ritiene connotato dal filo conduttore del dubbio e della divergenza di opinioni, ma soprattutto da una linea di continuità che passa “attraverso i libri”; libri da leggere insieme, in famiglia esortandosi vicendevolmente a interpretarli in modo nuovo, al fine di tenere viva“la fiamma creativa”. Una civiltà per l’autore intimamente connessa alla Democrazia, anche perché Israeleè nato proprio dalla difficile unione tra l’ebraismo della tradizione e la moderna civiltà, libertaria e pluralista.

Ma Oz, esponente di spicco di “un movimento politico laico e moderno” qual è, secondo la sua stessa definizione, la sinistra sionista,non vede solo le positività della civiltà ebraica. Dopo aver definito la nuova letteratura ebraica “l’energia più creativa d’Israele” confuta alcuni principi del diritto rabbinico – molto evoluto in diversi campi ma fermo “all’età della pietra” in ambito politico – a cominciare dal celebre “spalanca la bocca e io la riempirò”, che esclude ogni possibilità di autentico dialogo con chi la pensa diversamente. Contesta quindi alcune convinzioni dell’ebraismo tradizionale – per Oz così irrigidito in “vecchi stereotipi” da sottrarsi “a un autentico confronto teologico” con la shoah – che impedirebbero agli sforzi in direzione della pace di avere successo, prima tra tutte la percezione del conflitto permanente tra Israele e il resto del mondo come fondamentale pilastro identitario. L’autore inoltre denuncia il non facile clima sociale dell’attuale Israele, caratterizzato sia dal disagio di moltissimi giovani che si sentono oppressi da un ebraismo visto come “pressa che minaccia la loro vita privata” sia dalla diffusa percezione sociale di una “gerarchia” interna agli ebrei d’Israele, che vede al vertice rabbini e coloni estremisti e all’ultimo posto “la feccia” dei “sinistrorsi” che, come l’autore, sono sempre pronti a difendere la pace e i diritti civili di tutti (e spesso considerati “ traditori” sebbene Oz si limiti ad affermare che sono anch’essi “legittimi eredi del patrimonio culturale d’Israele”).

Da ultimo, nella seconda riflessione contenuta in Cari fanatici, viene ripresa l’analisi della “fiamma interiore dell’ebraismo” il cui “cuore” viene individuato nell’aspirazione alla giustizia – che ha radici antichissime e da cui derivano l’imperativo morale a “pretendere dai forti la riparazione dell’offesa subita dai deboli” e la soggezione alla legge di chiunque,compreso “il Sovrano di tutto il mondo” – e in quella alla santità della vita, coi suoi corollari “non causare sofferenza e “non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”. Principi che ricordano al lettore l’etica della reciprocità e della solidarietà cara, oltre che ai seguaci di tutte le grandi religioni monoteiste, a ogni uomo “di buona volontà”.

Nel terzo saggio Oz leva quindi ancora una volta la voce contro il governo israeliano che “continua nei territori occupati a distruggere l’autorità palestinese”. Intanto “milioni di Palestinesi nei Territori vivono una vita di umiliazione costante, tutti sono privati di libertà e diritti… e, non di rado… persino la loro stessa vita ha scarso valore”.

Contro il fanatismo, la lettera aperta di Amos Oz

Confuta quindi varie convinzioni dei coloni e della destra tra cui il diritto degli Ebrei su tutta la terra d’Israele, compresa la Spianata delle Moschee, (in realtà “nessuno riconosce che Nablus e Ramallah ci appartengono”) e la pretesa irreversibilità dell’occupazione dei Territori (ritenuta dalla sinistra sionista un ostacolo alla pace). Soprattutto chi come Oz“si rifiuta di continuare a dominare un altro popolo” ma continua a credere che il popolo ebraico israeliano abbia diritto a essere “maggioranza a casa propria”, contesta che l’unica alternativa alla creazione di uno Stato a maggioranza araba dal Mediterraneo al Giordano sia l’instaurazione di un “regime ebraico oltranzista”, ritenendo invece che l’unica via praticabile sia “la spartizione di Israele in due appartamenti”, come indirettamente riconosciuto anche dalle Nazioni Unite con la Risoluzione 67/19 dell’Assemblea generale.

Il libro si chiude con una dichiarazione d’amore dell’autore per la sua patria, di cui afferma di temere le scelte politiche, il fanatismo e la violenza crescenti, ma ciononostante “felice di essere cittadino”: “Non ci si annoia qui. …Quel che ho visto è molto meno ma anche molto più di quel che i miei genitori e i loro genitori sognavano per me.”

In un’epoca come l’attuale in cui, quasi ovunque, estremismi fanatici e populismi sembrano i soli capaci di dare risposte ai bisogni collettivi, c’è più che mai bisogno di voci forti e coraggiose come quella di Amos Oz, che si spende da anni in favore della moderazione e della pace.

Oltre infatti a essere stato uno dei firmatari della petizione inviata nel 2014 ai Parlamenti europei affinché riconoscessero la Palestina come Stato, in una lettera firmata insieme ai colleghi/amici Grossman e Yehoshua, fatta pervenire a colui che all’epoca era Presidente dell’Anp, Mahmud Abbas, già nel 2006 Oz scriveva: “un messaggio di amicizia e di speranza a lei e al suo popolo. […] Gli israeliani non potranno godere di tranquillità e di sicurezza fintanto che i palestinesi non lo potranno. Ci appelliamo alla dirigenza israeliana e a quella palestinese… per giungere a una soluzione che sia accettabile per la maggior parte degli israeliani e dei palestinesi oltre che per la comunità internazionale… Cerchiamo di fare tutto il possibile perché la disperazione, il sangue e la sofferenza non siano che un ricordo del passato”.

Si potrebbe chiosare dicendo che per Oz il vero rimedio contro il fanatismo e la perpetuazione della mattanza israelo-palestinese è il senso di realtà che nasce dall’intelligenza. Quello che dovrebbe far dire a ogni ebreo e a ogni arabo d’Israele: non mi piace il pensiero di arrivare a un compromesso con chi ha fatto tanto male al mio popolo, non sono neppure sicuro di voler o poter perdonare, ma ciononostante lo accetto, perché “compromesso” non significa rinunciare ai propri valori e alla propria identità, ma sostituire a uno scontro violento solo distruttivo un confronto/scontro dialettico e costruttivo.

 

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Ma Cari fanatici va oltre. Aiuta a togliere terreno, per usare le parole dello storico Daniele Menozzi, alla “strumentalizzazione politica dell’antisemitismo” da parte sia del Governo israeliano sia di vari Stati arabi e, con stile sobrio e d’una esemplare limpidezza, aiuta il lettore a sostituire all’“insegnamento del disprezzo” la presa di coscienza della condivisione di fondamentali valori etici e dunque dell’appartenenza di tutti, al di là della diversità di fede e di weltanschauung, a una comune umanità. Oz ci ricorda come l’introiezione collettiva, da un lato del predetto senso di realtà, dall’altro diquesta elementare consapevolezza, basterebbe a riaffermare, contro la subcultura del terrore e della morte portata avanti da tanti Cari fanatici in Medio Oriente e nel resto del mondo, la cultura della vita.


Per la prima foto, copyright: Rob Bye.

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