Con la cultura (non) si mangia
Qualche tempo fa, in occasione dell'uscita del suo bellissimo Storia delle terre e dei luoghi leggendari, Umberto Eco si era scagliato contro la denigrazione della cultura nel nostro Paese. Allora aveva sottolineato come non fosse, in realtà, la cultura ad essere un ambito poco redditizio, quanto piuttosto la mentalità delle istituzioni italiane incapaci di sfruttare le potenzialità del patrimonio. Auto-definendosi un «ottimista tragico», Eco aveva evidenziato che in Italia «con la cultura non si mangia», a differenza di altri Paesi (come la Francia), che da questo punto di vista risultavano essere molto più evoluti.
Il problema dello stanziamento di soldi pubblici per il mantenimento del nostro capitale storico e artistico è senz'altro un argomento che merita attenzione, soprattutto perché tali ricchezze costituiscono il punto di forza della nostra penisola. La necessità di incrementare l'attività nel settore terziario deve anche tenere conto di dati che provengono da tutta Europa: in Italia sono 585mila gli occupati in attività culturali, tuttavia gli stanziamenti per i beni culturali sono nettamente inferiori rispetto all’1% circa della Francia e l’1,20% dell’Inghilterra. Questo nonostante a gennaio 2013 la FAI avesse promosso le «Primarie della cultura», attraverso le quali intendeva dare spazio al tema e lanciare un allarme circa lo stato di degrado in cui versavano (e versano) molte opere artistiche e architettoniche.
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Lo slogan «con la cultura non si mangia» è diventato un grido di protesta ormai quotidiano nel Belpaese, inaccettabile in uno Stato che vanta il più grande patrimonio artistico del mondo (l'Italia è prima per quanto riguarda i siti Unesco, con 45 siti su 911). Oltre agli stanziamenti di denaro, c'è da valutare pure l'effettiva condizione delle risorse (vittime di decenni d'incuria) e lo scarso numero di addetti ai lavori nel settore. Consapevoli che «un Paese senza cultura è un Paese senza futuro».
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