Con gli occhiali della letteratura: “Passaggio in Sicilia” di Massimo Onofri
Ai tempi del Gran Tour F. M. Hessemer scriveva nelle sue Lettere dalla Sicilia: «La Sicilia è il puntino sulla i dell’Italia, […] il resto d’Italia mi par soltanto un gambo posto a sorregger un simil fiore». E sembra non smentirlo Massimo Onofri, viterbese d’origine, docente di Letteratura Italiana all’Università di Sassari, collaboratore de «L’indice dei Libri del Mese», «Il Sole-24 Ore» e «Nuovi argomenti», se dopo il fortunato Passaggio in Sardegna (Giunti, 2015) ha inteso proseguire il suo itinerario turistico-letterario in un’altra isola con questo Passaggio in Sicilia (sempre Giunti, 2016). Come a dire: la vocazione al viaggio come esperienza sapienziale, come ricerca spirituale e intellettuale non è stato solo l’appannaggio dei giovani rampolli dell’aristocrazia europea ottocentesca – che diedero inizio al motus e ai viaggi di massa – ma anche un approdo (non conclusivo, forse, ma di certo compiaciuto di «essere uscito dal guado», come chiosa lui stesso) di unaccademico con alle spalle un trentennio di attività.
Passaggio in Sicilia è un testo che pone qualche difficoltà al responsabile del marketing editoriale, in quanto non si fa incasellare facilmente in un certo genere o filone letterario. Viene naturale annoverarlo tra i libri di viaggio, per ovvie ragioni, ma la materia eterogenea di cui è composto tende a liquefarsi e colare in mille rivoli, difficile arginarla. Ha il respiro classico di Stendhal, di un viaggio in Sicilia come lo fecero Goethe, Winckelmann o l’abate di Saint-Non, o potrebbe essere, in alcune pagine, un’eccellente guide du Routard, con l’inciso critico e sincero “del turista per caso” assoldato per l’occasione. Ma Onofri non sarà mai un viaggiatore da last minute, e tanto più in Sicilia, per la quale ha rivelato in passato e rivela oggi una competenza umana e professionale fuori del comune. Onofri è un osservatore acuto e fortemente critico delle pieghe del reale, là dove la realtà viene senza posa rovesciata e filtrata sul setaccio di una cultura polivalente e raffinata che occhieggia in varie direzioni: dalla canzonetta popolare alle sublimi vette della poesia, della letteratura e filosofia della grande tradizione europea.
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Un esempio su tutti è la decisione, curiosa ma non troppo, di non inserire nel suo itinerario le zone di mafia. Lui, che pubblicò per Bompiani, nel 1996, quel Tutti a cena da don Mariano. Letteratura e mafia nella Sicilia della nuova Italia. Lo esprime con sottigliezza, ma della mafia conosce tanto, forse tutto. La sua mappa mentale si è nutrita a lungo di saggi, di romanzi, di film e di mémoires: che senso avrebbe indugiare in luoghi già visitati in molteplici esperienze di lettura e scrittura? Eccola lì, la mafia, quintessenza di una sicilianità molto nota ma spesso apologetica: «Il fatto è che la cultura sicilianista ha sempre mirato a distinguere la mafia come associazione criminale da un comportamento latamente “mafioso”, giudicato tutt’altro che negativo, se coincidente con un codice d’onore che si richiama all’omertà, secondo un’idea di Sicilia restituita in vista delle sorti magnifiche e progressive del popolo isolano». Così nell’inchiesta di Franchetti e Sonnino, La Sicilia nel 1876, è Giuseppe Pitrè, in Usi e costumi del popolo siciliano (1889) a coniare la formula più eloquente e significativa: «La mafia è la coscienza del proprio essere, l’esagerato concetto della propria forza individuale, […] donde l’insofferenza della superiorità e, peggio ancora, della prepotenza altrui».
Quel che ci rende simpatico e attraente Onofri è, prima di tutto, la sua incessante curiosità che lo spinge su percorsi alternativi a quelli che siamo soliti pensare quando ci riferiamo all’ambiente dell’università, in cui opera con prevalenza. Poi quella sua capacità di mettersi in gioco in continuazione, di prestare il fianco o metterci la faccia anche quando si lancia in pericolose concioni estetiche, in piccoli saggi di letteratura comparata, nel riscontrare analogie tra uno stucco del Serpotta e la “sonata alla turca” di Mozart, oppure quando ci spiega come il genio “strabocchevole” del musicista salisburghese, di ritorno dai fasti praghesi del Figaro, gustando un’arancia, ha una sorta di rêverie e ricorda il suo viaggio di tredicenne nell’isola, quando aveva assistito, tra cielo e mare, a uno spettacolo di commedianti siciliani che si lanciavano di barca in barca i frutti dorati; in un salotto aristocratico, nel corso di una festa di fidanzamento, suona in anteprima la scena finale del Don Giovanni e desta inquietudine nei convitati, evocando il sentimento di una morte precoce e incombente. O quando, ahinoi, l’autore confeziona un peana per Sgarbi, tessendo le sue doti di sindaco dadaista di Salemi. Fatichiamo a collegare questo Onofri all’autore dell’inappuntabile Recensire. Istruzioni per l’uso (Donzelli, 2008). O forse no, mi correggo, perché c’è un po’ di Oscar Wilde in Massimo Onofri, in quel gusto per la contraddizione e il paradosso che divengono emblemi del dandysmo. Questo è Onofri, insomma, e lo testimoniano pure le sue attività sui social network, il suo offrirsi al ludibrio dell’esposizione mediatica senza reticenze o timori, certo e appagato di quel che di lodevole ha realizzato per le patrie lettere.
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E, a proposito di patrie lettere, come non definire anche questo suo libro che, sul solco del precedente, insuffla ossigeno nell’odierno, asfittico panorama editoriale italiano (farcito di masterchef, di calciatori e di fabivolo) un libro di letteratura “a tutto tondo”? La nuova ventata d’aria è quasi gattopardesca – aggettivo, nello specifico, nientedimeno che calzante – perché affondando nella tradizione più illustre rimpasta il canone consunto a quello contemporaneo (o alla sua assenza), affinché nulla cambi, in sostanza. Però se a farlo è Onofri, cambia tutto, perché l’astuzia dell’uomo e dell’autore sta nel rivitalizzare le braci sopite della memoria dei lettori (anche di quelli più scafati) con grande mestiere e il campionario di un lettore onnivoro e insaziabile. Allora, sì, potrebbe trattarsi di un libro d’avventura, per le situazioni quasi picaresche in compagnia di Sonia e Manuela, amiche e allieve dell’università di Sassari, per la bellezza della figlia Nicoletta, mezzo sangue, etrusca e sicana, «che, adolescente, va incontro alla vita con commovente inconsapevolezza», ma anche per la rete di contatti (allacciati e rinsaldati, negli anni, a seguito di reiterate spedizioni) che attraversa l’isola, da Palermo al paesino più arroccato sulle Madonie. E come non farsi sedurre dall’eloquio dell’informatissimo prof che ti conduce in un viaggio ctonio nella cripta dei cappuccini, con tanto di appendice sull’arte dell’imbalsamazione; che si sofferma, solenne, sull’affresco col Trionfo della Morte, o si smarrisce nella «prepotenza biologica e cieca» di tanta natura morta ammassata nella Vucciria di Guttuso? Per non dire del Ritratto d’ignoto di Antonello da Messina, conservato nel museo Mandralisca di Cefalù. Qui il racconto si auto-declina in detective story, ed è Leonardo Sciascia a svelarci l’arcano di questo codice da Vinci in salsa sicula: è un archetipo del somigliare, «un correlativo oggettivo della somiglianza». Per non citare, en passant, qualche succoso aneddoto, accennando al rapporto non proprio idilliaco con Camilleri, di cui Onofri è stato recensore spietato.
Non è una lettura agevole, Passaggio in Sicilia. Un’opera lunga quasi 400 pagine e così stratificata incede per strappi, per rallentamenti prolungati, per eleganti e controllate digressioni, per improvvisi scossoni e fluide volate, servite da una scrittura ornata ed efflorescente. Conoscere a fondo, anche nei suoi aspetti storici, antropologici e gastronomici (imperdibili, per stile e sincera predilezione, i passaggi dedicati alle cassate, ai cannoli, alle caponate, ai broscioloni, ai vermentini e agli zibibbi) la Sicilia e la sua gente è il privilegio di un lettore che dispone di una guida d’eccezione, e conviene annotarsi le tappe di ogni visita e le trattorie. Incessante il dialogo con gli autori a lungo frequentati, dentro e fuori dei libri: l’amato Sciascia (il suo Storia di Sciascia [Laterza, 1994-2004]), Gesualdo Bufalino, Giuseppe Antonio Borgese, Vincenzo Consolo, Lucio Piccolo, Vitaliano Brancati, Ignazio Buttitta, Michele Perriera, Luigi Capuana, Giovanni Verga, Luigi Pirandello e un nugolo di scrittori e critici di origine sicula e non. Che, non dimentichiamolo, Massimo Onofri dispone di quella «forza di chi vive passioni vicarie e cartacee» e il suo Passaggio in Sicilia è, in sostanza, un viaggio «per chi ama vedere i luoghi con gli occhiali della letteratura».
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