Con “Exit West” di Mohsin Hamid un viaggio nella mente dei migranti
La copertina dell’edizione Einaudi del nuovo romanzo di Mohsin Hamid (Exit West, traduzione di Norman Gobetti) è la foto di una porta di legno inghiottita da dune di sabbia. Fa pensare a una vecchia porta, con il bianco della vernice che lascia spazio al truciolato e ai segni di innumerevoli mani che l’hanno afferrata con tutta la forza che avevano pur di fuggire. Un gate per un’altra realtà, per un luogo in cui della porta rimangono solo i cardini nudi, perché finalmente si è al sicuro.
È questo l’obiettivo dei due protagonisti della storia di Hamid: sentirsi al sicuro. Nadia e Saeed vivono in una città mediorientale in cui è in atto una guerra. Si incontrano e si innamorano perché dell’amore hanno bisogno per convivere con l’orrore che in una manciata di pagine l’autore gli rovescia addosso: violenze, massacri, paura di vivere abbastanza per essere parte di essi. La morte diventa un vulcano che erutta stragi e dolore a ogni angolo di strada, come se volesse convincerci che è naturale solo perché accade ogni giorno, come se l’uomo avesse la capacità di discernere fra morte e morte, stabilendo quale sia la più “naturale”.
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Poi la speranza. Il romanzo ci racconta di porte segrete sparse per il mondo che permettono a chi le oltrepassa di materializzarsi in un altro luogo, lontano, dove poter ricominciare, come se l’orrore potesse generarsi da sé e non dalle scelte che ogni uomo difende. E così Nadia e Saeed pagano il loro salato biglietto e attraversano la porta, prima si ritrovano a Londra, in uno dei tanti sobborghi germogliati attorno alla vecchia città per contenere milioni di profughi e poi a San Francisco, nell’ennesimo campo di contenimento. Da cittadini diventano migranti, rifugiati «alla deriva in un mondo in cui si poteva andare dovunque e non trovare niente». Ma Nadia e Saeed qualcosa la trovano: se stessi. Si scoprono però molto diversi da ciò che pensavano di essere e il loro amore, che forse non era mai esistito, si lascia consumare dalla fame di cambiamento per Nadia e dalla malinconia del passato per Saeed.
Acclamato dalla critica anglosassone (Zadie Smith l’ha definito un romanzo «straordinario») per la capacità di far entrare il lettore nelle sensazioni di una coppia qualsiasi di migranti che si trova a dover attraversare una porta da cui non c’è ritorno, almeno dal punto di vista emotivo, Exit West colpisce soprattutto per il tentativo dell’autore di giocare su due livelli, trasformando di continuo la storia di Nadia e Saeed da centrale a secondaria per poi farla tornare in primo piano, pur di creare degli squarci da cui il lettore possa spiare altre storie che si stanno compiendo in quello stesso momento. Storie che avrebbero potuto prendere il posto di quella di Nadia e Saeed e questo non avrebbe fatto perdere forza alla narrazione. Il lettore si troverà quindi ad annusare sensazioni e privazioni di due uomini fra Amsterdam e il Brasile, che riescono a comunicare pur non parlando la lingua dell’altro. Lo fanno con lunghe pause, «come due antichi alberi non si accorgono dei minuti o delle ore che trascorrono senza vento». Ma potrà anche perdersi fra le memorie di una anziana signora di Palo Alto che non riuscirà mai ad attraversare una delle porte perché le basta viaggiare nei suoi ricordi: «Siamo tutti migranti attraverso il tempo».
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Mohsin Hamid è riuscito con Exit West, come con il suo precedente Il fondamentalista riluttante (sempre pubblicato da Einaudi nel 2007 e finalista del Man Booker Prize), a toccare e direi stritolare un nervo scoperto, forse il nervo scoperto, dell’Occidente e di fatto di tutto il pianeta, portando il lettore a porsi della domande e soprattutto a cercare delle risposte e questo, nel panorama letterario contemporaneo, non è poco. Dispiace per la voglia dell’autore di dare troppo spesso spiegazioni e approfondimenti sulla sua visione e su quella dei suoi due protagonisti, che è naturale e giusto che ci siano, ma che il lettore preferirebbe scoprire da solo, magari attraverso un’azione, una parola o un silenzio, piuttosto che con una dettagliata spiegazione di ciò che ogni personaggio sta pensando. Il ritmo ne risente e il lettore rimane un po’ deluso da un romanzo che comunque merita di essere letto e discusso.
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