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“Con dolce curiosità”, tributo ad Andrea Zanzotto, a cura di Matteo Chiavarone

Con dolce curiosità, Andrea Zanzotto, Matteo ChiavaroneCapire un poeta non è affar facile. La poesia non domanda la comprensione (non si tratta di filosofeggiare) e neppure l’interpretazione (non è disciplina scolastica che sottintende un’esegesi). La poesia sembra implicare, nella sua lettura, un totale moto d’abbandono e, azzarderei l’accostamento ardito, somiglia forse di più a un atto mistico, che non al meccanismo di un processo narrativo — tipico invece della prosa. L’atto poetico va al di là della parola. La poesia appare come un puro sentire le immagini e le tacite vibrazioni del poeta.

La poesia di Andrea Zanzotto conferma questo assunto in nuce. Difficilmente è lirica che s’intellettualizza. Raramente trova una definizione di genere o una categorizzazione all’interno di una tradizione data. Zanzotto s’interessò di surrealismo e d’ermetismo, ma poi non fu nessuno dei due. È allora per il tramite della curiosità che si apre il tributo che Matteo Chiavarone ha proposto per le Edizioni della Sera (2012) e che raccoglie una decina di saggi che ruotano attorno al poeta di Pieve di Soligo, curiosità che si erge a cifra stilistica della lirica stessa: «Colli cresciuti qui dintorno/ E voi, spazi accaldati:/ il segreto di Dolle che ieri/ assorbì tante piccole genti / stanche delle proprie ricchezze/ non era che il mulino» (Con dolce curiosità, poesia tratta da Dietro il paesaggio, 1951).

Scomparso il 18 ottobre 2011, Zanzotto poteva dirsi l’ultimo di una generazione di poeti che hanno fatto la storia della letteratura del secolo scorso. Il tributo a lui offerto non poteva, pertanto, limitarsi all’episodio di un singolo uomo; considera, invece, la poesia come evento universalizzante di un centenario e il poeta in quanto testimone di un cambiamento (letterario), di una rivoluzione (interiore), di linguaggi (lirici) e di nuove generazioni (il secondo cinquantennio del XX secolo). Se Philippe Di Meo sottolinea l’impossibilità di limitare la lettura del poeta accostandolo ad una sola corrente poetica («né tradizionalista (?), né avanguardista (?), il poeta ha saputo elaborare una sintesi dei linguaggi poetici occidentali», p. 23), Ugo Fracassa percorre la terza raccolta del poeta, Vocativo (1957), per il tramite di una riflessione che abbraccia le teorie della grammatologia e della fonetica, tra evocazione icastica della parola lirica e l’istinto al discorso musicale della poesia zanzottiana. Andrea Viviani invece, prende spunto dal nome stesso del poeta, in assonanza con filastrocca «assonante e assennata, ammantata di pervicace anti-nonsense», p. 77. La lirica del poeta è scandagliata — da una prospettiva linguistica — nel “non detto”, nelle allusioni, nelle subordinazioni e negli arcaismi di una «lingua che passerà», p. 94.

C’è, poi, chi Zanzotto l’ha incontrato, prima ancora di leggerlo. Le testimonianze di Paolo di Paolo e di Massimiliano Coccia rivelano l’uomo-Zanzotto, colui che nello spaziare della sua poesia non ha mai osato abbandonare il suo paese e tanto meno la sua abitazione. Psicosi, fobie e paesaggio s’intercalano nel vissuto poetico e si ergono (specialmente l’ultimo), a nota stilistica ineluttabile della lirica del poeta. Sul paesaggio si sofferma lo scritto di Matteo Chiavarone, tra innocenza infantile — «verginità primordiale» e falsità adulta — «finzione del mondo», p. 115. Sempre il paesaggio domina la lettura di Andrea Spatola, mentre Maria Cristina Manocchi ripercorre le esperienze biografiche del poeta, mettendo in rilievo il legame con la pittura del padre, la situazione familiare precaria a causa dell’impegno anti-fascista, la religione e il rapporto con gli intellettuali del suo tempo, soprattutto con Pasolini. Giorgio Linguaglossa analizza la produzione zanzottiana per sottolinearne lo sperimentalismo e la tendenza all’astrazione, propria soprattutto di La beltà (1968), mentre Paolo Rigo ripercorre gli aspetti linguistici e retorici delle IX Ecloghe (1962).

Il tributo a Zanzotto si chiude con un’appendice che raccoglie un’intervista del 1993 di Vera Lúcia de Oliveira al poeta, tra dialetto, abitudini e sperimentalismo, e un ultimo omaggio offerto al poeta da Carlo Carraro, rettore dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, che, nel 1982, attribuiva la laurea honoris causa in Lettere a Zanzotto. Il volume concentra l’esperienza poetica che traversa un secolo e si presenta denso di spunti di riflessione. Ineluttabile e necessaria, la lettura di Zanzotto — fortunatamente non racchiusa in nessuna metodologia interpretativa — può leggersi con la curiosità propria del suo poeta.

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