Computer Game Therapy, videogame come medicina
Sono spesso additati come una delle cause del degrado culturale delle nuove generazioni.
Genitori preoccupati che il futuro dei propri figli venga traviato, insegnanti che li accusano per il calo di resa scolastica.
Stiamo parlando dei videogame, ovviamente. Etichettati come violenti e inutili, sono considerati come preclusi socialmente a un qualunqe scopo.
Eppure così attraenti, con funzioni aggregative (anche a distanza) e con un potere finanziario ancora non ben percepito dalla massa. Basti pensare che il valore di un gioco dalle dinamiche abbastanza vecchie come Candy Crush Saga venga stimato intorno ai 500 milioni di dollari, e questo dovrebbe farci riflettere.
Uno spunto per levarci da questo impaccio, anche generazionale, sull'utilità non solo come forma d'intrattenimento ma anche per qualcosa di più, ce la offre Antonio Consorti.
Consorti è un logopedista che prende spunto dagli studi di Haward Garner sulla presenza di intelligenze multiple in uno stesso individuo. Uno degli assiomi più celebri di questo studioso e della sua ipotesi è che «non c'è apprendimento se non c'è divertimento».
Questo stimola Consorti a creare un nuovo tipo di interazione con pazienti disabili, quello videoludico, non più come fine, ma come strumento.
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Non si gioca per imparare, ma si impara giocando. L'associazione fondata da lui stesso si chiama VI.RE.DIS (Virtual Reality for Disability) e si occupa di sperimentare in gruppi eterogenei, sia per livello cognitivo sia per capacità motorie, questo nuovo trattamento in modo da stimolare processi mentali e portare alcune capacità residue su altri livelli.
È una prospettiva del tutto nuova nei confronti di qualcosa che è sempre stato eclissato da episodi negativi che, e. onestamente, non sono affrontati con la serietà dovuta e ci si appella a motivazioni facili, superficiali e populiste.
I progetti di questa associazione sono molteplici e stanno sperimentando questi interventi anche nelle scuole e con le persone anziane. In particolar,e quest'ultima categoria così lontana da questo tipo di esperienza, potrebbe scoprire dei vantaggi sia fisici sia mentali, se questa teoria dovesse essere confermata e accettata anche da un più ampio bacino accademico.
Forse un giorno neanche troppo lontano gli anziani del Paese si ritroveranno in polverosi baretti a giocare con internet tutti insieme brandendo fucili virtuali e uccidendo antagonisti pixellati in un tripudio di socializzazione. E chissà i giovani di quel giorno con che cosa si staranno “traviando”?
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