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“Come vivevano i felici” di Massimiliano Governi

Massimiliano Governi, Come vivevano i feliciUn uomo è in un deposito in cui ci sono diverse auto di lusso sequestrate che stanno per essere messe all’asta e vede una Ferrari color blu puffo: di colpo si trova proiettato a quando aveva dieci anni ed era con il padre in una concessionaria, dove il ricco genitore gli aveva riempito le tasche di banconote da centomila lire chiedendogli di scegliere l’auto che preferisse e la sua scelta era caduta su quella Ferrari color blu puffo. È una delle scene più intense e toccanti del bel romanzo di Massimiliano Governi Come vivevano i felici (Giunti, 2013), riscrittura d’ambientazione italiana della vicenda di Bernard Madoff, vista con gli occhi del figlio Mark, che a un anno dall’arresto del padre si impicca con il guinzaglio del cane, dopo che lui e il fratello, psicolabile finito in una clinica psichiatrica, hanno denunciato il padre, condannato a 150 anni per la truffa, e che la moglie ha cambiato il cognome ai figli stanca delle continue minacce.

La storia di una truffa finanziaria, il celebre “schema Ponzi” secondo cui con i soldi degli investitori si pagano ingenti interessi in una catena di sant’Antonio destinata a saltare, e dei meccanismi di una società d’investimenti ai tempi della globalizzazione, la Rambo investimenti, ma anche e soprattutto la storia di una famiglia e dei complessi meccanismi che coinvolgono padre, moglie e figli. Padri e figli, soprattutto: il romanzo si apre con il suicidio del protagonista davanti al figlio e si chiude con il padre che apprende della sua morte, dopo aver ritratto diverse scene del loro rapporto. Uno dei figli scrive su un quadernetto scolastico un tema sui fenici titolandolo “Come vivevano i felici”, un errore, una piccola sbavatura, che nasconde tutto il senso di una vita, di una famiglia apparentemente felice, molto felice, in cui però l’infelicità, la precarietà dagli esiti drammatici, si annida implacabile e scava dal di dentro come un tarlo fino al crollo finale.

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Massimiliano GoverniUn efficace montaggio alternato di brevi istantanee che coprono un arco temporale che va dal 1983 al 2012, dallo stile asciutto, essenziale, che racconta la tragedia finale cercandone a ritroso le avvisaglie dietro la vita dorata fatta di limousine e champagne, American Express platino e ville al mare dove un fratello portava le ragazze spiato dall’altro attraverso telecamere, in un’atmosfera da American Psycho, scavando nei giorni felici che felici non erano. Governi padroneggia con maestria, senza moralismi né patetismi, ma con chirurgica precisione, un materiale che ci racconta dell’Occidente dei nostri giorni, come poche volte gli scrittori italiani si azzardano a fare, ripiegati su soliloqui intimisti dal discutibile lirismo, narrando una storia privata che si fa emblema universale dell’avidità, del desiderio, della sfrenata ricerca del lusso, dell’accumulazione della ricchezza senza lavoro, produzione di denaro a mezzo di denaro, una truffa, non troppo lontana dall’economia finanziarizzata del nostro tempo, cresciuta in quella bolla destinata ad esplodere con la grande crisi in cui siamo ancora immersi, la finzione in cui un uomo ha fatto vivere i suoi figli fino a dovergli confessare che «ogni uomo ha un segreto, lo alimenta dentro di sé come fosse una bestia feroce che lo sta divorando, un cancro». Soldi, transazioni, cifre, dietro cui si nascondono vite, famiglie, bambini cresciuti appagati sul versante materiale ma affettivamente deprivati, la fragilità dell’esistenza umana che nessuna Ferrari blu potrà mai colmare.

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