Come si scrive un racconto fantasy? Un laboratorio per spiegarlo
Apre oggi i battenti Romics, il Festival Internazionale del Fumetto, Animazione, Cinema e Games, che riempirà le giornate romane fino al prossimo 2 ottobre. Oltre ai tradizionali appuntamenti con il fumetto d’autore e le anteprime cinematografiche e dei videogiochi, l’edizione 2016 presenta un’importante novità: il tentativo di avvicinare il pubblico di lettori di fumetti e fruitori di videogiochi, solitamente rappresentato da giovani utenti, alla passione per la letteratura e lo storytelling. Come?
Grazie al Laboratorio sul Racconto fantasy organizzato da Romics in collaborazione con il Centro per il libro e la lettura del Ministero dei beni e delle attività culturali del turismo e le case editrici Giunti e Newton Compton. Al laboratorio potranno partecipare giovani tra i 15 e i 21 anni, inviando un loro racconto via email a info@romics.com per poi partecipare a una sessione di editing con Alessandra Penna (editor di Newton Compton) e Fiammetta Giorgi (editor di Giunti editore) e a una di reading in cui gli incipit sarà letti e oggetto di una discussione pubblica.
Abbiamo colto l’occasione per porre alcune domande ad Alessandra Penna e Fiammetta Giorgi per capire da vicino gli obiettivi del Laboratorio e le possibilità di combinare attenzione alla scrittura e promozione della lettura.
Perché l’idea di promuovere la lettura attraverso lo storytelling?
Alessandra Penna: Su questo punto ho un’idea abbastanza precisa: ovvero che non esista storytelling senza lettura. Ogni narratore, tanto più se giovane, non potrà avvicinarsi all’arte del raccontare storie senza quegli strumenti che solo l’essersi cibato di letture può avergli fornito. È dalle letture – prima ancora che dalle scuole di scrittura – che si apprendono le regole dello scriver bene, che si forgia uno stile, che si impara a creare personaggi caratterizzati, interessanti, capaci di destare in chi legge stupore e capaci di raccontare, in un modo che è unico, qualcosa da cui il lettore possa sentirsi trascinato. Dimenticando di essere lettore e diventando parte di quella storia. Il confronto tra chi scrive può essere senz’altro un modo per capire da dove nasca il proprio desiderio di scrivere, come e di cosa si sia nutrito e magari per scoprire che ci sono fonti a cui attingere per migliorarlo.
In che misura il coinvolgimento di giovani tra i 15 e i 21 anni in questo tipo di attività potrà rivelarsi utile per la promozione della lettura presso questa fascia di popolazione?
Fiammetta Giorgi: Il pubblico dei giovani è di solito quello più curioso e reattivo, spesso disponibile a esporre il proprio pensiero con apprezzamenti e critiche vivaci e desideroso di un contatto diretto con autori ed editori. Ogni forma di dialogo e di relazione, sia esso incentrato sulla lettura o sulla scrittura, credo possa rendere vitale, gradevole e stimolante il contatto con la narrativa.
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Perché la scelta del fantasy come genere di riferimento per i racconti?
Fiammetta Giorgi: Attualmente sono responsabile editoriale della collana Waves, di Giunti, che pubblica narrativa per giovani adulti, spaziando dai romanzi realistici a ogni sfumatura della letteratura di genere, dal fantasy, al paranormal romance, alla fantascienza cyberpunk. Abbiamo perfino pubblicato una raccolta di poesie di Marwan, un cantautore spagnolo molto interessante.
Il filo conduttore che li lega è che sto cercando autori capaci di offrire un’esperienza di lettura molto intensa, vivida, grazie all’originalità della trama, a una qualità di scrittura spesso cinematografica, immaginifica e soprattutto alla forza dei personaggi presentati.
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La scelta di concentrarci sul fantasy per essere onesta non è mia, ho solo accolto un invito che mi è stato rivolto, ma l’ho accettato volentieri perché è tuttora uno dei generi letterari più apprezzati dai lettori italiani e si presta quindi bene ad aprire una discussione sulla lettura e sulla scrittura.
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Le ipotesi che provano a spiegare le ragioni del successo del fantasy sono molteplici. Secondo lei, cosa spinge i lettori verso questo genere e perché molti scrittori vi si cimentano, anche se con alterne fortune? È solo una questione di moda?
Fiammetta Giorgi: Bisogna premettere che in Italia la definizione “fantasy” viene usata in un’accezione esageratamente ampia per indicare qualsiasi genere di narrativa che contenga elementi fantastici. Ho avuto per esempio la fortuna di pubblicare anni fa la trilogia di Hunger Games che appartiene alla categoria della fantascienza distopica, eppure in Italia viene spesso definita letteratura fantasy. Detto questo, la categoria del fantasy rimane molto interessante e ricca di proposte. La magia del successo premia in genere gli autori che riescono ad attingere agli stereotipi e ai canoni del genere rivitalizzandoli e facendoli propri grazie all’introduzione di elementi di forte originalità e a volte miscelandoli con elementi appartenenti a generi diversi. Il romanzo che ha fatto parlare di più nella collana Waves è per esempio Rebel. Il deserto in fiamme di Alwyn Hamilton che pur essendo un fantasy presenta elementi di un western molto moderno, alla Kill Bill, in un’ambientazione straordinariamente affascinante, un deserto durissimo e meraviglioso pieno di riferimenti alle Mille una notte, alla cultura iraniana e persiana.
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Quali informazioni utili i giovani partecipanti potranno ricavare dalla partecipazione e dal confronto con altri aspiranti scrittori e con due editor?
Alessandra Penna: Innanzitutto un editor è un punto di vista esterno con un’esperienza consolidata, che può quindi giudicare un testo con occhi più obiettivi di chi lo ha scritto. Può fornire a chi aspira a scrivere dei consigli utili sul proprio racconto: consigli sulla struttura, i personaggi, lo stile, il registro usato, l’incipit… Insomma, tutto ciò che attiene alla valutazione della qualità di quel che si scrive. E poi può fornire delle indicazioni sull’appeal commerciale di quel che si scrive. Dal momento che questo fattore non è secondario quando si pubblica un romanzo/racconto. Credo si tratti di un confronto con degli addetti ai lavori da cui non può che scaturire qualcosa di buono. Da entrambe le parti.
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Cosa significa per un editor lavorare con giovani aspiranti scrittori? Quali stimoli ne riceve e quali rischi si possono correre?
Alessandra Penna: Lavorare con un autore, giovane o meno, è sempre fonte di scoperta e arricchimento per chi fa il mestiere dell’editor. Senza dubbio un autore al suo esordio commette tutta una serie di errori tipici di chi è all’inizio di un’avventura. Errori in genere emendabili, se la sostanza della narrazione è buona, e che possono essere di natura stilistica ma, per lo più, hanno a che fare con la trama. Se è vero che un testo di un esordiente ha bisogno di un editing più elaborato e profondo, è anche vero che un autore agli esordi è desideroso di imparare e – questa almeno è la mia esperienza – fa tesoro di ogni consiglio che riceve. Non è attaccato a quello che scrive in modo morboso ma è pronto a modificarlo di fronte a motivazioni precise e circostanziate. È più duttile, in qualche modo. E impara. Riuscire a trasmettere qualcosa che poi rimarrà alla prova successiva è sempre fonte di grande soddisfazione per un editor (qualcosa che - col rischio di essere romantica – definirei la “gioia che deriva da questo lavoro”).
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