Come scrivere un thriller storico. Intervista a Pierpaolo Brunoldi e Antonio Santoro
Pierpaolo Brunoldi e Antonio Santoro sono da poco in libreria con Il monastero delle nebbie, che segue La fortezza degli inquisitori, romanzi entrambi editi da Newton Compton.
La cornice temporale è la stessa: siamo nel Duecento, e siamo sempre in un contesto religioso nel quale, questa volta, un frate alchimista è alle prese con un’indagine molto pericolosa. Dovrà scoprire infatti chi è l’assassino di una suora, il cui cadavere è stato trovato nel chiostro del monastero di Las Huelgas, a Burgos, nella Castiglia del Nord. Dell’omicidio sarà incolpata una giovane ragazza, rifugiatasi nel monastero insieme al figlio. Toccherà al nostro alchimista, il francescano Bonaventura da Iseo, farà chiarezza.
In occasione dell’uscita del romanzo, i due autori hanno risposto a qualche nostra domanda.
In occasione della pubblicazione del vostro precedente romanzo, La fortezza degli inquisitori, qualche critico ha parlato di I pilastri della terra e Il nome della rosa come due vostre fonti di ispirazione. Vi riconoscete in questa lettura? E quali sono eventualmente le altre?
Antonio Santoro – Sì, certo. I pilastri della terra di Ken Follett e Il nome della rosa di Eco sono stati e sono tuttora un punto di riferimento per noi. Follett è un vero maestro del genere. Ha la capacità di costruire romanzi dove la finzione incrocia la Storia disegnando personaggi avvincenti e memorabili, e adoperando un linguaggio che parla ai contemporanei con grande forza e immediatezza. Gugliemo da Baskerville di Eco con la sua sagacia, l’ironia e l’acume investigativo ci ha sicuramente influenzato nel tratteggiare Bonaventura da Iseo. Il nostro personaggio è, infatti, storicamente esistito, tuttavia la sua biografia lacunosa ci ha permesso di farne un investigatore ante litteram. In tal senso anche il potente intuito e la ferrea logica deduttiva di Auguste Dupin dei racconti di Poe, il primo vero investigatore della storia della letteratura, hanno contribuito a plasmare il nostro protagonista. Follett, Eco e Poe sono tre autori tra loro diversissimi, eppure ognuno di essi è stato ed è una miniera da cui estrarre gemme preziose.
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In entrambi i romanzi siamo nel 1200, quasi nello stesso periodo, in Italia e in Francia. Da dove nasce la vostra attenzione verso questo secolo?
Pierpaolo Brunoldi – È un secolo di cambiamenti epocali, la cui portata andrà definendosi sempre di più, fino a risultare determinante per il successo e la sconfitta di intere nazioni. Basti pensare che è in quegli anni che Ruggero Bacone accenna in un suo manoscritto alla polvere nera, ovvero la polvere da sparo, che sarà una delle scoperte più sconvolgenti per gli equilibri del mondo. Oppure all'introduzione del sistema di numerazione arabo, a opera del grande matematico e viaggiatore Leonardo Fibonacci. In generale poi, tali cambiamenti interessano anche larghi strati di popolazione, che si solleva dalla condizione di servitù, per raggiungere livelli di vita più elevati, tramite il commercio, le arti e l'artigianato. A questa classe sociale appartiene in origine anche Francesco d'Assisi, un uomo che ha percorso la storia mantenendo inalterato il suo fascino rivoluzionario. Non ultimo aggiungerei anche il mistero della ricostruzione storica degli eventi e delle ambientazioni. Gran parte di ciò che venne fondato in quel secolo oggi si può solo intuire visitando le cripte delle grandi cattedrali, oppure osservando parti più antiche, occultate insieme a quelle più moderne, come nel caso di Las Huelgas. Questo per noi è motivo di grande suggestione anche per quanto concerne la ricerca di ciò che non si mostra così facilmente ai nostri occhi.
Che peso occupa il lavoro di documentazione preliminare alla scrittura vera e propria? E in che modo la ricerca storiografica viene filtrata nel romanzo?
Pierpaolo Brunoldi – È un lavoro certosino e fondamentale, non tanto, o non solo per dare una giusta connotazione agli eventi, ma soprattutto per costruire nel nostro immaginario la realtà in cui agiranno i personaggi dei romanzi. Non partiamo con la scrittura fino a quando non ci siamo fatti un'idea sufficientemente precisa degli ambienti, dei caratteri e dei fatti salienti che potrebbero aver influenzato la vita di quel periodo. Sempre nel caso del monastero di Las Huelgas, abbiamo dovuto ricostruire, sulla base degli studi più recenti, l'aspetto e le stanze come dovevano essere nel 1217. Questo perché ognuno di noi potesse avere la consapevolezza degli spostamenti all'interno dello scenario dove si muovono assassini, vittime e investigatore. Abbiamo anche ricostruito graficamente l'edificio originale, rimaneggiato nei secoli, la cui pianta fa parte del corredo grafico del romanzo. Dopo aver fatto tutto questo lavoro, bisogna dimenticarsi del novantanove per cento delle nozioni acquisite. Come dice il grande Elmore Leonard, nelle sue regole per scrivere un buon thriller: «non dare troppi dettagli descrivendo posti e cose, a meno che tu non sia Margaret Atwood e sia in grado di dipingere con le parole. Non vuoi descrizioni che portino l’azione – il flusso della storia – a un punto morto».
Entrambi avete una formazione in recitazione e drammaturgia / sceneggiatura, in che modo questo influisce sulla vostra scrittura?
Antonio Santoro – Un nostro docente di sceneggiatura amava ripeterci le tre regole auree della narrazione: personaggi, personaggi, personaggi!
Un personaggio vivo, pulsante, contraddittorio e sfaccettato è sempre al centro delle storie che scriviamo. Tutto parte da un protagonista affascinante all’interno di una vicenda in grado di regalare emozioni. Ogni buon sceneggiatore o drammaturgo sa bene che “il viaggio dell’eroe” nel mondo sconosciuto della storia è l’essenza di qualsiasi racconto che meriti di essere ascoltato. É sempre così, si narra di un personaggio e del suo percorso per scoprire qualcosa in più degli altri, di noi stessi e del mondo che ci circonda. Se poi dobbiamo pensare a dei tratti distintivi dei nostri romanzi direi che la grande cura dei dialoghi, la minuziosa costruzione dei personaggi, il senso del ritmo e il forte impianto visivo derivano proprio dalle nostre esperienze come attori, drammaturghi e sceneggiatori.
Come organizzate il lavoro a due? Pianificate prima chi si occuperà di cosa, oppure procedete con maggiore libertà?
Antonio Brunoldi – Partiamo da un soggetto di massima. Quindi realizziamo una scaletta della storia, e solo dopo passiamo alla vera e propria stesura del romanzo. Solitamente scriviamo un capitolo a testa alternandoci, e poi ognuno rivede quello che l’altro ha scritto in prima battuta, anche se non si tratta di una regola precisa. Ciò che di sicuro guida il nostro lavoro è la continua ricerca di un amalgama per far sì che la storia suoni come una sola voce. Nelle diverse stesure i passaggi dall’uno all’altro sono molteplici fin quando non raggiungiamo un livello di definizione di cui essere soddisfatti. Tuttavia il nostro modo di costruire la narrazione non osserva uno schema rigido, lo definirei piuttosto come un viaggio per mare di cui si conoscono bene l’imbarco e l’approdo, ma la rotta durante la navigazione può subire numerose deviazioni, purché ci conducano sempre a nuove scoperte in grado di emozionarci e di stupirci almeno quanto dovrebbe accadere per il lettore.
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Quali sono secondo voi le ragioni che spingono sempre più lettori verso romanzi storici con venature gialle o thriller? È solo una questione di gusti o possono esserci altre ragioni più profonde?
Pierpaolo Brunoldi – Gli italiani vivono immersi nella storia. Siamo in un'area geografica al centro di innumerevoli interessi di ordine economico, strategico e religioso. Abbiamo avuto l’Impero Romano e abbiamo il successore di Pietro che guida la cristianità in uno stato nello stato. Non esiste paese, frazione, borgo che non presenti traccia di questo passato. È nel nostro DNA. A questo devi aggiungere il fascino dei secoli bui. Il fascino che segna la fine di un impero che ha dominato il mondo e la nuova età dell'oro del Rinascimento. Sono mille anni di Storia. Sebbene si debbano fare gli opportuni distinguo, esistono mecenati estremamente violenti che si sono macchiati di orribili delitti anche nei periodi storici successivi, in generale vi è la percezione che il Medioevo sia un periodo in cui la prevaricazione, la lotta per l'egemonia imperiale o papale, la brama di potere, abbiano raggiunto livelli difficilmente eguagliabili. Intere popolazioni, come quelle dei catari, subirono massacri cruenti. Predicatori in odore di eresia vennero sacrificati su roghi accesi in tutta Europa. La mano terribile dell'inquisizione metteva in moto una macchina di sospetti, delazioni, terrore. Né i papi, né gli imperatori si ponevano scrupoli nell'esercitare il potere con ogni mezzo. Questo substrato, che a nostro avviso ha lasciato nell'immaginario dei lettori un terreno fertile, è alla base dell'interesse sempre vivo nei confronti del genere.
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Nella terza e quarta foto sono ritratti rispettivamente Pierpaolo Brunoldi e Antonio Santoro.
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