Come sarà l’Europa del XXV secolo?
Con il romanzo Futu.re, pubblicato da edizioni Multiplayer nella traduzione di E. Casali, Dmitry Glukhovsky dipinge un'Europa in cui non muore più nessuno. Perlomeno, non di vecchiaia. Il tema è la sovrappopolazione, che inevitabilmente mi ricorda ben tre delle novelle di Tuf scritte da George Martin.
È il venticinquesimo secolo. La popolazione è stipata in torri colossali. Gli uomini vivono un'esistenza mediocre in appartamenti da otto metri cubi, corrono su treni ultrarapidi, sgranocchiano cavallette fritte e passano il tempo libero pavoneggiando alle terme i corpi sempre giovani. In un mondo che ha sconfitto la morte, il peggior crimine è mettere al mondo delle bocche da sfamare: Ian è un membro degli Immortali, il corpo speciale che applica le leggi sulle nascite. È un lavoro spietato, e gli Immortali sono stati allevati apposta per essere spietati, fra privazioni e violenza.
A mettere in moto la trama è una proposta di avanzamento di carriera. Quanto costerà davvero a Ian assecondare l'eminente politico Erich Schreier? Incastrare Jesús Rocamora, leader del Movimento per la Vita che chiede a suon di bombe la revoca del controllo delle nascite, è necessario per assicurare un futuro all'umanità o si nascondono insidie nella raccomandazione di mettere gentilmente fuori gioco eventuali testimoni?
Il passato di Ian è un orfanotrofio disumano che non può abbandonare i suoi ricordi, in cui si chiamava Settecentodiciassette. Le stanze dei "colloqui", le botte da orbi, i soprusi impartiti dai ragazzi più grandi, la detenzione nella "cripta" di cui nessuno parla: solo a chi passa i test e dimostra di essere una macchina priva di sentimenti è concesso uscire nel mondo e diventare un Immortale.
Nell'ambientazione di Futu.re, le squadre degli Immortali sono uno dei prezzi che l'Europa paga per aver concesso a tutti i cittadini di non morire mai. Un altro prezzo, Glukhovsky ce lo mostra pian piano: la calca fitta, folle interminabili ovunque si metta piede, gente decerebrata che fa e chiede cose stupide per motivi futili. E poi, il centro di riciclo dei rifiuti, perché in un mondo senza morte non possiamo permetterci discariche; il bivacco nella fabbrica di carne, che non alleva animali ma un chilometrico muscolo in coltura; la sparatoria nell'allevamento di cavallette, interamente automatizzato come gli altri due stabilimenti; il centro industriale che si chiama 4451, implicandone almeno altri 4450 per darci una misura degli eccessi della nostra specie.
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Quella di Ian è un'odissea attraverso un'Europa aliena. Viaggia in compagnia di una giovane che non ha osato sacrificare, in fuga dai suoi stessi confratelli. Con lei scopre quanto è facile cercare ricordi d'infanzia o luoghi che non dovrebbero esistere, come le colline che Ian usa come screensaver per le pareti; con lei si ritrova in una Barcellona che, con la sua gente, è l'antipodo di quello che è sempre stato il mondo di Ian. Famiglie numerose, anziani, bambini scalmanati, guerra fra le comunità. Barcellona fa ancora da porto ed è esclusa dalla rete idrica e sanitaria e dalla benedizione della vita eterna.
A rendere soffocante il mondo di Futu.re è un senso di claustrofobia. Più ancora che le fughe spericolate dalla polizia, dai soldati e dagli altri Immortali, più che le incursioni spietate a spaccare zigomi e braccia, c'è una sorta di maledizione che pende su quest'umanità che si è spinta a essere così numerosa.
Il vero dilemma del libro emerge pian piano. Cosa c'è di sbagliato? Sono le nascite, davvero? Sono gli africani e orientali che sperano di immigrare attraverso Barcellona, e avere il benessere europeo con i loro figli? O il vero problema è non togliere mai il disturbo?
Dopo aver letto Futu.re, potremmo avere un brivido lungo la schiena sapendo che una nuova malattia è stata debellata, che si è allungata la speranza di vita, che la fame ha mietuto meno vittime nel mondo.
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