Come s’impara una lingua? Cinque risposte che non ti aspetti
Come s’impara una lingua e quali sono i processi mentali che si attivano durante l’apprendimento? È vero che passati i tre anni è difficile imparare le lingue straniere? Esistono lingue più facili e lingue più difficili da imparare? Queste, e molte altre ancora, le domande sull’apprendimento e sul funzionamento del linguaggio in generale, e proprio a queste cercheremo di dare una risposta che voglia essere valida e accessibile a tutti.
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1. Esiste una lingua più difficile delle altre?
Molti pensano che imparare più o meno bene una lingua dipenda dal suo livello di difficoltà assoluto; ma non è corretto, poiché non esistono lingue più facili e più difficili da imparare, bensì lingue più vicine o lontane da quella di partenza o da quelle che sono state apprese in precedenza: la lingua italiana, per esempio, sarà molto difficile per un sinofono, che non solo dovrà apprendere un alfabeto, ma dovrà pure abituarsi alla ricchezza morfo-sintattica del nostro idioma; per un apprendente tedesco, invece, le difficoltà morfologiche saranno sicuramente minori, vista la complessità strutturale della sua lingua madre (o L1). E che dire di un ispanofono? Non sarà forse difficile per lui imparare a usare gli ausiliari giusti, visto che nella lingua spagnola i tempi composti necessitavano soltanto del verbo avere. Certo, è chiaro che uno studente spagnolo non avrà molti problemi con la lingua italiana, essendo quest’ultima molto simile alla sua lingua materna; ma è bene ricordare che ogni processo di apprendimento ha le sue zone critiche, dovute a motivi eterogenei, di natura linguistica, ma non solo: è stato studiato, per esempio, che gli studenti orientali e i nord europei tendono ad essere meno partecipi alle attività ludiche rispetto al resto degli apprendenti, e questo non è una questione di secondo ordine.
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2. Giocare è davvero importante per apprendere una lingua?
Esistono molti studi sull’attività ludica finalizzata all’apprendimento linguistico, e la risposta al quesito non può che essere positiva, anche se imparare una lingua non è un fatto meccanico: ognuno ha un suo stile di apprendimento e un suo approccio alla novità, vista sotto i suoi vari aspetti, e la glottodidattica, per esempio, è concorde nel ritenere che l’approccio ludico non sia sempre adatto agli adulti, portati, per esperienza acquisita e per un certo tipo di immagine che vogliono dare al gruppo in classe, a volersi esporre fino a un certo punto. Ciò non vuol dire che per loro sia impossibile pensare a una qualsivoglia attività ludica: basta conoscerli nel tempo, abbassare i loro filtri affettivi (stati d’ansia e di angoscia, paura di sbagliare e così via), per proporre attività valide e orientate alla comunicazione. Il gioco è importantissimo, inoltre, poiché si basa sulla cosiddetta rule of forgetting: in altri termini, l’adulto, o il bambino, in quel momento, dimenticando che gioca per imparare, riesce meglio nel processo di apprendimento.
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3. A proposito di bambini e adulti, è vero che una lingua non può essere più imparata a una certa età?
Imparare una lingua è un fatto soggettivo ma anche neurologico: quando apprendiamo, si creano delle connessioni fra i neuroni che favoriscono la velocizzazione delle informazioni acquisite e ci permettono, dunque, di parlare con naturalezza e disinvoltura (senza dover imparare di nuovo). Succede, però, che, nel corso della crescita, la creazione di queste connessioni non avviene più velocemente come da bambini, e quindi le altre connessioni neuronali impiegheranno più tempo per instaurarsi rispetto al passato. Ciò non vuol dire che un adulto o un adolescente non potranno apprendere una lingua: significa, però, che, anzitutto, avrà maggiori difficoltà, soprattutto se studente senior, e che non potrà mai raggiungere i livelli di un madrelingua (situazione invece possibile da piccoli). Esistono, infatti, dei periodi critici che impediscono all’apprendente di imparare una lingua ai livelli di una L1: dopo i tre anni, per esempio, sarà quasi impossibile riprodurre lo stesso accento dei parlanti nativi (anche per via dell’influenza sempre maggiore dell’accento e dell’intonazione della lingua di partenza).
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4. Ma quindi un adulto dovrà per forza rinunciare ad apprendere una lingua?
La risposta è ovviamente negativa, sia perché un adulto ha dei punti di forza a suo favore sia perché apprendere una lingua mantiene attivo il cervello, e dunque si ripercuote positivamente anche sul benessere psicologico dello studente. Il Quadro Comune Europeo di riferimento per l’apprendimento delle lingue parla proprio di plurilinguismo e interdipendenza fra le lingue, riferendosi all’influenza positiva che l’apprendimento di una sola lingua ha su tutta la capacità linguistico-comunicativa dell’apprendente. Dicevamo dei punti di forza dell’adulto: questi ha senz’altro maggiore esperienza e più punti di contatto con la realtà, ha visto e vissuto il mondo da più prospettive e tutto il suo vissuto si ripercuote positivamente sul bagaglio esperienziale e referenziale necessario per imparare una lingua; un adulto, proprio per questo motivo, ha maggiore capacità di astrazione, e dunque è più facilitato nella sistematizzazione delle nozioni acquisite, oltre ad avere maggiore autonomia nell’apprendimento e generalmente più interesse.
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5. Ma come impariamo esattamente una lingua e come si comporta precisamente il nostro cervello?
Il nostro cervello è diviso in due emisferi, entrambi responsabili dell’apprendimento linguistico: teorie neurolinguistiche hanno dimostrato che all’emisfero destro sono correlati l’intuito e la visione globale di un problema, mentre a quello sinistro la logica e l’analisi. Apprendere una lingua significa stimolare entrambi gli emisferi, ma nel modo giusto, e infatti le Unità di Lavoro elaborate dai docenti più aggiornati sono tutte basate sul passaggio da globalità a sintesi nell’approccio a un testo: siamo portati, insomma, prima ad avere una visione d’insieme, e poi ad analizzarlo in tutte le sue sfaccettature, e tutte le attività didattiche devono per forza tener conto di questo approccio, dunque della bimodalità e monodirezionalità del cervello, per produrre effetti positivi sull’acquisizione linguistica.
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È vero, insomma, che vivere una lingua è il presupposto essenziale per impararla; ma è anche vero che s’impara una lingua anche conoscendo sé stessi e la propria psiche. Qualche altra curiosità? Leggete anche quest’altro approfondimento sulle lingue del mondo e sul linguaggio in generale.
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