Come resistere alla terra che si muove?
La terra si muove, uscito questa primavera per Marcos y Marcos, è il libro d’esordio di Roberto Livi, pesarese di nascita, classe 1967 e che, probabilmente non a caso, sceglie proprio la sua terra, Pesaro e la campagna circostante, come luogo dove ambientare la sua storia.
L’inizio di questo romanzo è potente, basta una frase e l’attenzione è catturata:
«Ero così abituato al mio comportamento da brava persona, che arrivato a un certo punto della vita ho cominciato a pensare di essere davvero una brava persona.»
La terra si muove racconta una porzione di vita di un uomo non illustre che un giorno, sulle pareti di casa sua, nota delle crepe. Il terreno su cui la casa è stata costruita da suo padre ora sta franando e, di conseguenza, l’edificio sta crollando: va venduta il prima possibile. In aggiunta, sua madre è ormai diventata troppo anziana per continuare a vivere in campagna. Allora si trasferiscono a Pesaro, una città che ha come solo pregio il fatto che «qui non succede mai niente». Se in campagna la vita era difficile, a Pesaro le cose non vanno mica meglio. Le giornate s’inseguono uguali tra loro, oscillando tra noia e monotonia. La scelta più difficile da fare sembra essere quale tragitto compiere al mattino e non per scegliere quale panorama ammirare, anzi, l’obiettivo è selezionare il male minore.
Ed è proprio questa ripetitività disarmante e al contempo sincera a proporsi come l’unica àncora nella terra in movimentodi Livi. L’autore però, nonostante questo grigiore, non trasmette una visione pessimista o negativa sulle cose. Nel suo modo di descrivere il mondo c’è disincanto, c’è una sorta di rassegnazione a uno stato di cose che necessita e chiama a sé un po’ ironia e, a tratti, un certo atteggiamento beffardo.
Il mondo è un posto “precario”, la terra di Livi, qui intesa in senso figurativo e non solo in chiave scientifica, non è ferma, solida e fissa bensì si muove… e allora, è meglio andarle dietro e assecondare i suoi movimenti!
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In La terra si muove Roberto Livi racconta la quotidianità, l’uomo comune, la vita minima con i suoi gesti quotidiani, con i tragitti da scegliere, con i passatempi che salvano dalla noia. E con il suo piglio ora irriverente, ora tenero, e spesso disincantato, e il suo rapporto forte con il territorio in cui lui vive e in cui il romanzo si ambienta, Livi fa sì che si avverta forte e chiaro il sapore delle storie di Paolo Nori.
Al pari di Nori, anche nella terra in movimento di Livi il modo di raccontare sembra spesso superare quel che si racconta. Si ritrova, infatti, un similare gusto per quello che si potrebbe definire un casuale oculato che da un lato sorprende e trova – forse – impreparato chi leggendo bada alla trama e cerca di capire che cosa si stia raccontando ma che, intanto, fa l’occhiolino al lettore che invece di pensare alla meta si gode il viaggio, altrimenti detto: l’esperienza della lettura.
Questo parallelo scatta senz’altro nello stile, pur riscontrando una maggiore linearità in Livi che in Nori, ma anche perché, così come fa il ben noto autore e traduttore di Casalecchio di Reno, anche lo scrittore marchigiano costruisce la sua storia a partire da un fatto minimo che diventa l’arco per una storia che va molto più lontano.
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Tuttavia, pur essendo La terra di muove un libro “alla Nori”, Roberto Livi si distingue per il carattere singolare, autentico dei suoi tanti personaggi. Loro emergono netti da una trama piuttosto banale, risultando a mio parere l’elemento di maggiore pregio dell’intero romanzo. Sono tutti uomini e donne rigorosamente marchigiani che sono così umani, così veri che sembrano fingersi personaggi del romanzo. Nella piattezza del quotidiano la madre, Cristina, Aldo, Primo, Fiorenzo fanno un passo avanti e ascoltandoli o leggendo di loro si ha piuttosto l’impressione che urlino o con le parole o con la loro semplice presenza. Sono esagerati, iperbolici nella loro umanità, in alcuni tratti quasi caricature di se stessi, uniti essenzialmente dalla vita non illustre che li accomuna.
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