Come promuovere i libri sui social. L’esperimento Instagram di Petunia Ollister
Usare i social per promuovere i libri o la lettura in generale sembra ormai essere diventata una scelta consolidata nel tentativo di avvicinare anche un pubblico di non lettori o di lettori deboli che si ritrovano così a contatto con un mondo, quello della letteratura, che potrebbe arrivare ad affascinarli e irretirli.
Ne abbiamo parlato con Petunia Ollister, pseudonimo di Stefania Soma, attiva ormai da molto tempo su Instagram con una molto seguita campagna social di promozione di libri con l’hashtag #bookbreakfast.
Cominciamo con una domanda a bruciapelo: cosa stanno facendo di concreto i social per promuovere la lettura e la letteratura?
Partendo dall’assunto che i social sono semplici vettori di un messaggio, un mezzo potentissimo se usato in modo intelligente, dovremmo chiederci cosa stanno facendo l’industria culturale e le istituzioni per rendere interessanti i contenuti di cui questi vettori sono portatori. La mia impressione è, eccezion fatta per pochissimi casi illuminati, molto poco. Prima di parlare di promozione della letteratura, sarebbe opportuno che si pensasse alla pubblicazione di contenuti mirati, soprattutto tra le fasce più giovani.
Nonostante i molti esperimenti e qualche esperienza di successo, non mancano le voci critiche che vedono nell’eccessiva “socializzazione” della lettura il rischio di una perdita di valore. Riscontra anche lei dei pericoli in questa tendenza, oppure ci sono delle potenzialità che, se adeguatamente sfruttate, potrebbero portare ulteriore valore aggiunto?
Nel mio piccolo mi rendo conto che il problema non è la socializzazione della lettura, ma l’iperconnessione che sottrae tempo al leggere. Ancora non posso uscire di casa senza un libro, ma spesso non lo apro perché mi ritrovo a leggere cosa scrivono gli altri – ma anche a lavorare – in qualsiasi momento morto. Al solito, il problema non sono i social o i dispositivi, il problema è l’uso che ne viene fatto.
Credo che i social invece siano un acceleratore potenzialmente potentissimo per la promozione della lettura, grazie a questa stessa pervasività. Tutti siamo sui social sempre. Quindi parlando di libri, lettura e – perché no – letteratura, capiterà di far entrare sporadicamente i concetti anche nelle timeline di quelli che in libreria non ci entrerebbero mai, magari solo per “timidezza culturale”. In questi anni mi sono infatti resa conto che chi non ha consuetudine fin da ragazzo con il libro, fatica in età adulta al contatto, per una sorta d’inibizione, come se si sentisse intimidito dall’oggetto, dall’atto del leggere e dalla comunità di lettori.
I social, ma il web in generale, offrono l’illusione di un grande livello di democratizzazione, per cui tutti possono fare tutto, basta la connessione internet. Ma, oltre all’amore per la lettura, quali caratteristiche e competenze sono richieste a chi vuole usare i social per promuovere i libri?
Mi raccordo con la coda della domanda precedente. In questo frangente si sta assistendo al proliferare dell’immagine dell’oggetto libro sui social, lo si sta desacralizzando, rendendolo più quotidiano. Come già detto, i lettori sono talmente pochi che non ci vedo nulla di male. Si cominci a leggere, qualsiasi cosa, di qualunque genere. Dal gesto poi si potrà iniziare a fare un lavoro serio sulla promozione del livello delle letture.
Il mio è un percorso abbastanza peculiare – studiosa di Storia dell’editoria e conservatrice di archivi e biblioteche storiche – di cui se mi mettessi a parlare in dettaglio rischierei di far fuggire a gambe levate la maggior parte delle persone che mi ascoltano. Ho iniziato con i social per non rimanere tagliata fuori da una parte della realtà, comunicando – in modo amatoriale ma efficace, dicono – argomenti diversi, spaziando dall’enogastronomia alla comunicazione politica. Poi l’idea di parlare di libri e lettura nel tentativo di renderli qualcosa di quotidiano. Un tentativo volutamente poco pretenzioso.
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Le competenze sono quelle che si richiedono per l’uso dei social in generale: creare contenuti specifici per ogni piattaforma (quello che funziona su Instagram non è detto che funzioni su Facebook, ad esempio gli hashtag), testi non troppo lunghi – il dono della sintesi è fondamentale –, immagini efficaci e pertinenti.
Lei è molto attiva soprattutto su Instagram, dove spopola con #bookbreakfast, con il quale ogni mattina, a colazione, lancia una foto in cui compare la cover del libro in un setting sempre diverso (anche se il fil rouge resta quello della colazione). Come sceglie il setting? Prevale la grafica della cover o incide anche il contenuto?
Nei #bookbreakfast prevale l’estetica della grafica di copertina, il pendant cromatico dei toni per scegliere sfondo, tazze e piatti. Ma molto spesso ci sono dei richiami ai contenuti, a volte evidenti altri quasi impercettibili. Ho un’ossessione per l’armonia grafica e tipografica, per le distanze millimetriche, la ripresa a piombo dell’immagine, la prospettiva perfettamente centrata. Ho incanalato nelle mie foto la mia tendenza all’ossessione compulsiva, con buona pace di chi deve stare a stretto contatto con me nella realtà quotidiana.
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Com’è stata accolta all’inizio la sua iniziativa dai lettori/follower e dagli uffici stampa degli editori? E com’è cambiato il loro modo di rapportarsi a lei e a #bookbreakfast?
L’idea è piaciuta subito e molto. In Italia la comunicazione social sul libro è ancora agli albori rispetto al mondo anglosassone. Il mio progetto è sembrato subito qualcosa di nuovo, semplice ed efficace. L’idea è elementare: un libro ritratto a piombo in un contesto quotidiano come quello del tavolo della colazione. Un caffè e qualcosa da mangiare completano il set. Quotidiano, facile, accattivante.
I lettori sono sempre stati molto calorosi nell’esprimermi il loro apprezzamento, gli editori e i loro uffici stampa molto ricettivi alle mie richieste – sempre miratissime: so quel che mi piace e che ho voglia di avere sulle mie pagine social, esattamente con la stessa consapevolezza che ho nello scegliere i libri che tengo in casa. Ho una grande stima per chi fa l’ufficio stampa, soprattutto in ambito editoriale, mi piace ascoltare quelle persone che mi anticipano libri che mi piaceranno, persone che creano in me un’aspettativa che non viene quasi mai delusa.
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Uno degli ambiti social in cui si sta sperimentando di più è YouTube, soprattutto con videorecensioni, booktrailer o altre esperienze per parlare di libri. Come vede il proliferare di YouTuber degli ultimi anni? E quali opportunità può offrire questo strumento per la promozione della lettura?
Continuo a pensare che qualsiasi canale attragga un pubblico che non entrerebbe mai in una libreria sia il benvenuto. L’idea che qualcuno recensisca un libro in forma di racconto video è efficace, soprattutto per quel pubblico giovane, che nasce con la consuetudine al medium video di matrice televisiva per passare immediatamente su YouTube, dove è possibile, tra una ricerca e l’altra di qualcosa di specifico, incappare anche in qualcuno che parla di libri.
In Italia si legge poco e la situazione non sembra destinata a migliorare. Non si corre il rischio, sui social, di girare sull’orlo di un precipizio?
Non credo che sia quello il problema. Anzi, se è possibile, come ho specificato più volte nelle risposte precedenti, l’idea di incuriosire qualcuno che non ha mai letto, è alla base del mio progetto social. A chi mi specifica che leggere è un passatempo costoso, specifico sempre che esistono fornitissime biblioteche di pubblica lettura – dotate anche di piattaforme di prestito per volumi in digitale – e programmi di prestito interbibliotecario che rendono accessibili in tempi ragionevoli anche testi non immediatamente disponibile nelle biblioteche più vicine a casa.
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