Come eravamo e come siamo diventati. “Niente di personale” di Roberto Cotroneo
In Niente di personale (La nave di Teseo) Roberto Cotroneo mette in atto un vero e proprio viaggio nella memoria attraverso un’epoca che ha influenzato non solo la sua formazione ma soprattutto quella di una nazione. Lo sguardo è quello non solo dello scrittore e del giornalista che ha conosciuto di persona i grandi intellettuali del tempo, che è stato testimone di esperienze culturali, estetiche ed etiche, ma è soprattutto lo sguardo disincantato di un uomo che avendo conosciuto “la grande bellezza” oggi è costretto a guardare le macerie di quel tempo perduto. E lo fa attraverso una narrazione straordinaria tra autobiografia e cronaca con lo sguardo di un uomo, prima che di scrittore, appassionato, ironico, capace di indignarsi e di commuoversi. Il suo viaggio è quello di chi vuole capire e far capire al lettore perché è scomparso il mondo di Moravia, Calvino, Pasolini, Fellini, il mondo del grande giornalismo, dei grandi direttori di testate.
Scenario di questa narrazione è Roma, la città eterna, l’approdo per tutti i giovani che in quegli anni volevano partecipare a quel mondo. Attraverso lo sguardo dello scrittore però Roma ha perso tutto il suo fascino, è una vecchia signora che nasconde le rughe del viso sotto strati di belletto, è un universo ormai rarefatto abitato da fantasmi, veri o falsi che siano.
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Cotroneo però riesce magistralmente a raccontare questo mondo che corre in parallelo con il suo mondo, con i suoi affetti, con le sue delusioni, a cominciare da una mail della moglie destinata a un altro uomo che però arriva per sbaglio allo scrittore. All’origine di tutto ci sono però le sue radici, la sua infanzia, il nonno guardaboschi, due nonne entrambe chiamate Fortunata, il padre Giuseppe che aveva ereditato il nome da un fratello morto in Albania durante la prima guerra mondiale, lo zio Michino emigrato in America che manda i soldi a casa affinché il fratello Giuseppe, il piccolo di casa, possa studiare e diventare medico. Le storie nella storia, il ricordo che si sfalda nel rincorrere un segreto di famiglia perché è dal silenzio che spesso nasce la parola, è il silenzio che può trasformarti in uno scrittore.
Quello era un mondo di emozioni vere, di sguardi, di sfioramenti, oggi le emozioni sono sintetiche e ‹‹le emozioni sintetiche hanno cambiato lo sguardo della gente prigioniera di un paradiso immaginario››. Era un mondo polisemico dove la cultura era politica e non intrattenimento, dove si scriveva per interrogare il mondo e non per vendere e mostrarsi. Era il crepuscolo della prima Repubblica dove l’errore era stato quello di credere che le cose stessero accadendo in quel momento quando invece erano già accadute prima.
Cotroneo non riesce a sottrarsi alla bellezza che ha conosciuto, alle storie che ha ascoltato, alla gente che ha incontrato e scava a fondo nella memoria che come dice Proust «è una specie di farmacia, di laboratorio chimico, dove si mettono le mani a caso, ora su una droga calmante, ora su un veleno pericoloso».
Dove è finito quel mondo, e soprattutto perché è finito quel mondo? Il moderno ha sommerso l’antico per vanità, afferma Cotroneo, e non per assumersi le sue responsabilità; la scrittura oggi da arte indispensabile e mezzo di trasmissione del sapere è diventata collettiva. Si poteva evitare tutto questo? «Ci voleva una classe dirigente intermedia che nelle case editrici, nei giornali, nelle televisioni, facesse da camera di compensazione. Ma non ne siamo stati capaci… Abbiamo mandato via quelli bravi perché costavano molto e abbiamo messo in campo persone che non hanno punti di riferimento, pagandole niente».
E allora è proprio vero come diceva Flaiano che non si è abbassato il livello culturale del paese ma si è abbassato il livello culturale degli intellettuali. Le storie esistono per essere raccontate, afferma Cotroneo, e quando ci sarà resa la memoria arriverà finalmente il tempo dell’amore? Cosa resterà di Nora, morta suicida per amore e solitudine, il cui fantasma poetico riaffiora magistralmente dalla narrazione di Cotroneo? Cosa resterà delle redazioni piene di fumo delle sigarette e di parole concitate, delle stanze che risuonavano del trillo dei telefoni e del ticchettio dei tasti della macchina da scrivere? Cosa resterà delle case, dei salotti, delle strade percorse con la pioggia e con il sole? Il ricordo, nel suo significato primigenio di far «ritornare al cuore» qualcosa che non c’è più ma per il fatto stesso che ritorna al cuore rivive non come un sogno ma come esperienza.
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Niente di personale è un libro di grande efficacia e forza narrativa, un libro che ci spiega non solo come eravamo, ma anche come siamo diventati. Sta a noi ora riflettere su cosa possiamo fare per cambiare rotta.
Per la prima foto, copyright: Jakub Puchalski.
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