Come diventare scrittori per Thomas Mann
Come diventare scrittori? Se lo chiedessimo a Thomas Mann, ci risponderebbe con il consueto garbo ed esattezza, cercando di trovare le parole che possano descrivere al meglio l’alchimia delle sue creazioni. Ci direbbe che lo scrittore “findet und nicht erfindet”, ossia “trova e non inventa”[1]. L’ispirazione non è un segnale divino che tocca l’artista come un’epifania, ma lo scrittore è un attento osservatore e null’altro. Tutto ciò di cui ha bisogno è già dato, esiste intorno a lui, l’abilità è nel distillare il giusto composto.
Critici letterari, editor, agenti, scuole di scrittura, tutti son pronti a srotolare decaloghi di regole da rispettare per essere pubblicati e acquistati. Leggere, certo, è importante per ogni autore che si rispetti, conoscere la grammatica non sarebbe cosa sgradita, scrivere di temi attuali e ampiamente conosciuti potrebbe giovare. Usare una lingua semplice senza che sia banale, innovare e sorprendere senza doverlo fare a tutti i costi. Lasciar sedimentare una pagina scritta per un po’ per poi rileggerla a voce alta e scoprire così quanto ancora debba essere rilavorata. E potrei continuare per decine di righe.
Molti sono consigli giusti, attenzione a confondere l’essere scrittori con il venir pubblicati, acquistati e letti. Questo errore Thomas Mann ha cercato di non farlo, per principio (e allora seguire i propri principi non era segno di stupidità), sebbene come ogni scrittore ha dovuto cedere a qualche compromesso per offrire alla sua opera l’opportunità di essere letta. La casa editrice Il Saggiatore ha ripubblicato a dicembre la raccolta epistolare che ha unito, per un trentennio, uno dei più grandi romanzieri del Novecento (Thomas Mann) con la sua traduttrice italiana per eccellenza (Lavinia Mazzucchetti).
La raccolta ristampata con il titolo assai suggestivo La gioia maiuscola di essere scrittori ripresenta al lettore il fitto scambio (allora d’obbligo per entrare davvero in un testo) fra scrittore e traduttore per confrontarsi non solo sui risultati della traduzione in questione o sull’accoglienza della stessa da parte dei lettori, ma anche sul contesto socio-economico, politico e culturale in cui l’opera era nata. Confronto che poi si è allargato anche ad alcuni editori e intellettuali dell’Italia della prima metà del Novecento (come Arnoldo e Alberto Mondadori, Enzo Paci, Emilio Cecchi e Ranuccio Bianchi Bandinelli). Perché se è vero che ogni scrittore ha come aspirazione veder pubblicata una sua opera, ciò non deve avvenire a tutti i costi e con ogni mezzo. Leggendo le lettere di Mann scopriamo che spesso è la “sua” traduttrice a insistere per la pubblicazione di un’opera in Italia, laddove era l’autore a ritenerla non adatta o non facilmente comprensibile per il lettore perché nata in un contesto socio-politico (la Germania degli anni Trenta e Quaranta) diverso da quello italico. Perché prioritario per Thomas Mann era la massima fruizione del suo pensiero e non della sua immagine, della sua vita privata o del numero di autografi che avrebbe potuto firmare se fosse venuto a presentare il suo libro in Italia.
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Lo scrittore “manniano” è prima di tutto fedele alle idee che vuole condividere con il lettore, che possono mutare nel tempo, ma non saranno mai figlie della moda o delle aspettative dell’editore o del mercato. Lo scrittore, secondo Thomas Mann, è qualcuno che rischia in prima persona, sapendo che ciò che scrive potrà portarlo all’isolamento o addirittura (come è avvenuto per il grande romanziere tedesco) all’esilio.
Uno scrittore deve essere anche molto paziente. Oggi ancor più che nella prima metà del Novecento. Se allora la pazienza serviva a tener a bada la smania di iniziare un nuovo progetto che era già vivo nella mente ma era bianco sulla pagina, sobillando così l’atavica paura dello scrittore di non trovare parole adeguate a comunicare la sua luminescente idea, oggi servirà in gran misura nel fronteggiare l’attesa che aspetta un autore (soprattutto se non di best seller) per un giudizio esterno che deciderà il futuro di quell’opera.
La profusione di scrittori aspiranti, nascenti, nati ma ancora in crescita, cresciuti ma non del tutto sviluppati, troppo cresciuti eppure mai abbastanza, intasa la capacità di lettura di editor, agenti e editori, costringendo lo scrittore a una lunga, lunghissima, a volte eterna attesa.
E nel frattempo? Come continuare a essere “produttivi”? Se Thomas Mann dimostra che l’esilio potrebbe portare a un aumento della forza narrativa (dal 1933 dovette affrontare vent’anni di esilio fra Europa e Stati Uniti per aver criticato apertamente il regime nazista, riversando nella scrittura la sofferenza per il distacco dalla terra e dalla lingua natia), le sue opere ci rivelano un’altra possibilità: la malattia.
«La malattia è un mezzo fornito dal diavolo per rendere produttivo un artista contro le inibizioni della coscienza». È quindi un vizio e non uno stato di grazia, segno di decadenza e della fine della tradizione borghese che così bene racchiudono i suoi personaggi più celebri (pensiamo a Hans Castorp ne La montagna incantata, alla peste in Morte a Venezia, fino all’esempio più lampante delle malattie fisiche e morali che attaccano Adrian, il protagonista di Doctor Faustus)eppure proprio la malattia sembra essere la chiave per setacciare pensieri scintillanti nelle caverne dell’animo umano.
Se poi la sifilide e il tormento interiore non sono proprio nelle vostre corde, cercate di ispirarvi a Thomas Mann almeno per la cortesia. Sempre disponibile a rispondere al quesito di un lettore, editore, o di un autore più giovane, anche quando era diventato uno dei più importanti autori viventi in Europa, spesso la sua gentilezza lo portava a lodare più del necessario un testo letto, scoprendo poi di essere stato citato, senza il suo permesso, per promuovere il libro dell’autore in questione.
Eppure in tutte le lettere che La gioia maiuscola di essere scrittori ci propone non troviamo mai l’impazienza mista a narcisismo estremo che ci capita di scorgere in alcuni autori pubblicati, acquistati e letti nell’Italia del XXI secolo.
Diventare scrittori per Thomas Mann voleva dire prima di tutto essere aperti agli altri, ascoltare, osservare, perché è tutto già pronto, intorno a noi, basta solo coglierlo.
[1]Dallo studio di Susanna Mati Thomas Mann: l’ermetico, pubblicato su Academia.edu.
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