Come descrivere il paesaggio in un romanzo
Descrivere il paesaggio in un romanzo necessita di un lavoro globale sul testo e sul pensiero alla base del romanzo stesso; per questo motivo è importante capire come, dove e perché agire sul linguaggio e sui contenuti delle descrizioni, in particolare le descrizioni funzionali. Prima di entrare nei dettagli è fondamentale andare al cuore del concetto di paesaggio, senza il quale risulta difficile agire sulla molteplicità della storia. In questo senso, il saggio di Matteo Meschiari Nelle terre esterne, sottotitolo Geografie, passaggi, scritture, pubblicato da Mucchi Editore nella collana Lettere Persiane, può essere una guida nell’imparare a (ri)pensare il paesaggio in un romanzo. Il saggio sarà la nostra mappa e il nostro breve viaggio seguirà queste tappe: primo, scardinare il “pensiero debole” sul paesaggio, come lo chiama Meschiari, quindi assaporarne la fruttuosa complessità; secondo, approfondire il linguaggio di un romanzo-paesaggio; terzo, sviluppare la capacità di descrizione funzionale in un testo di narrativa.
Per cominciare ad addentrarsi nel percorso quale miglior incipit della citazione di Franco Farinelli che apre il saggio; è molto calzante e ha un magistrale carattere introduttivo:
«Dunque sostenere che si abita un linguaggio e non il mondo è un’altra maniera per dire, alla fine, che si abita non il mondo ma una tavola, una carta geografica.»
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Alla radice del discorso c’è la creatività modellizzante dell’uomo, che incastra il nostro pensiero all’interno di un linguaggio: «Limiti del linguaggio sono i limiti del mio mondo» (Wittgenstein). Ma, se vogliamo, è vero anche il contrario: i limiti del modello-paesaggio sono i limiti del linguaggio.
Non a caso il geografo Augustin Berque sostiene che esistono civiltà paesaggistiche e civiltà non paesaggistiche, e propone quattro parametri empirici, a suo dire «oggettivi», per distinguere le civiltà paysagères da quelle che non lo sono, per esempio l’uso di una o più parole per designare il paesaggio. A questo si può contrapporre, in senso di approfondimento del discorso, l’antropologo Franz Boas e tutta la corrente di studi sugli Inuit che oggi ci permette di dire che sono una civiltà paesaggistica anche se nel lessico inuk non esiste una parola per paesaggio. D’altronde non esistono parole nemmeno per l’uso dei computer e c’è anche chi ha ben pensato, insieme a Microsoft, di svilupparlo. Può sembrare una storia differente ma non lo è, perché il paesaggio è ovunque: nella lingua, nelle mappe neuronali, nei vetrini istologici, nel corpo umano e delle architetture informatiche: hardware e software.
Ecco allora che saper scrivere e saper pensare il paesaggio è fondamentale e lo è ancor di più se si pensa ai soggetti finzionali di un romanzo e al loro rapporto col paesaggio in quanto soggetti. Viene in mente il sistema di credenze degli aborigeni australiani, secondo cui le nozioni del corpo e delle parti del corpo sono sempre associate alle forme del territorio. In maniera, forse, non troppo dissimile dai miti greci sulle metamorfosi in piante o stelle.
Una volta compreso a fondo il concetto di paesaggio quali altri sistemi di credenze possono essere inventati dalla creatività di uno scrittore? Si è soliti dare per scontato che un personaggio abbia le stesse nozioni di paesaggio del lettore, quando in realtà ogni persona potrebbe avere le sue. Le diversità di concepire il paesaggio (nella sua accezione più generale) possono essere il motore narrativo che genera conflitto (anche qui accezione generalissima) tra personaggi. Conflitto di qualsiasi genere, inteso non necessariamente come avversione ma più come elemento legante tra i personaggi principali del romanzo. Uno di questi elementi potrà essere, per esempio, il conflitto generazionale studente/professore. Immaginiamo la scena: università. Un professore entra in classe dicendo di essere rimasto sconcertato poiché qualcuno ha tentato di cambiare il “dominio” del parcheggio. È proprio quel che sembra: un’epica battaglia per il parcheggio portata a livelli accademici raffinatissimi, perché per capire la diatriba c’è bisogno di conoscere il significato di “dominio” in fisica, ossia in parole povere una regione dove l’orientamento di una certa proprietà è uniforme, figurativamente parlando un insieme di frecce che puntano nella stessa direzione. Tornando alla scena, qualcuno aveva parcheggiato, come di consueto, in direzione nord-sud invece altri in direzione est-ovest; questi domini si scontrano, per così dire, nel senso che non sarà facile incastrare gruppi di macchine di domini diversi. Insomma, qualche studente forse in ritardo – senza nozioni di paesaggi fisici caratteristici del mondo microscopico – aveva tolto dello spazio utile. Spazio di vita ma anche spazio temporale, il tempo che si risparmia a fare il giro dell’isolato per trovare un altro parcheggio, esempio forse banale ma che rende bene l’idea di quanto il paesaggio sia un concetto “quotidiano” e lo possa essere nella vita dei personaggi delle nostre storie.
Una concezione paesaggistica legata alla vita, infatti, può essere sfruttata in un romanzo per scrivere descrizioni funzionali, non semplici “descrizioni di paesaggio” ma “testi-paesaggio” in cui le sequenze descrittive del mondo che circonda il personaggio – indicatrici di un modo di intendere il paesaggio stesso – possono essere usate con uno scopo funzionale all’interno del romanzo. Per esempio nei seguenti modi:
1) Nella caratterizzazione dell’ambientazione e del personaggio (in questo può essere d’aiuto lo stretto legame tra paesaggio e corpo di cui si parla nel saggio, per esempio nei miti antichi e non solo), che si differenzia da una descrizione non funzionale, quindi inserita per motivi squisitamente estetico-poetici (musicalità, armonia, colore narrativo).
2) Nell’avanzamento della trama e, come nel caso dell’esempio del parcheggio, nella generazione di dinamiche di conflitto tra personaggi, tra i personaggi e il mondo (tutte quelle entità che non sono i personaggi nel romanzo ma fanno parte del mondo-romanzo) o, perché no, tra i personaggi e il mondo-paesaggio.
3) Nel dare senso, anzi essere senso del romanzo. Pensiamo a Borgese in generale alla narrativa concettuale, dove il paesaggio e il linguaggio a esso associato costruiscono il contesto artistico-narrativo sul quale il romanzo si fonda.
4) Nella gestione delle informazioni (cosa mostrare subito e cosa tenere nascosto), e qui si apre tutto un mondo che lega romanzi gialli e il paesaggio/luogo/labirinto.
Ognuno dei quattro modi di funzionalizzare le sequenze descrittive è solo uno spunto creativo che strizza l’occhio alla fantasia dell’autore. Il segreto per la riuscita di una descrizione è nel lavorare sull’organicità complessiva del racconto; le descrizioni sono uno specchio dell’anima del romanzo, e se c’è qualcosa che non va è facile che manchino gli ingredienti fondamentali per una buona descrizione. Spesso, quindi, il primo problema da risolvere non sarà la descrizione stessa ma una trama scontata, l’assenza di climax o motivazioni dei protagonisti, un personaggio senza una chiara funzione narrativa nella storia, etc.
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Come disse Frank Smith: «Una lingua ti apre un corridoio per la vita. Due lingue ti aprono tutte le porte lungo il percorso.», al pari delle nozioni di paesaggio: accorgersi che non ne esiste solo una apre le porte a nuove possibilità. Descrivere il paesaggio in un romanzo è una sfida che tiene lo scrittore in equilibrio tra esteticità e funzionalità. Per questo sono necessarie creatività e struttura.
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Per la prima foto, copyright: Everaldo Coelho.
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