Come curare gli attacchi di panico – I consigli giusti
È difficile fornire i giusti consigli per curare gli attacchi di panico. Il battito cardiaco accelera, il respiro si fa affannoso, si ha la sensazione di perdere il controllo e l'unica soluzione sembra essere quella di evitare le situazioni che generano in noi questo stato di malessere. Se da una parte la paura è un meccanismo di auto-difesa, che ci allontana automaticamente da ciò che può farci del male, la “paura della paura” è un terrore irrazionale che precede l'eventualità che si verifichi o meno un determinato fenomeno che ci spaventa. Bisogna perciò evitare che le fobie si trasformino in attacchi di panico, oppure, se già si è giunti a questo livello, individuare una soluzione valida, tramite una giusta terapia (l'attacco di panico necessita di un supporto medico).
Un aiuto in tal senso può arrivare dal libro di Giorgio Nardone, La terapia degli attacchi di panico (Ponte alle Grazie): Nardone è stato allievo di Paul Watzlawick e ha alle spalle trent'anni di attività terapeutica e 25.000 casi trattati con successo. Un numero che ci avvicina speranzosi al suo volume: una buona parte di esso è dedicato ai casi clinici (a cura di Elisa Valteroni, psicologa, psicoterapeuta e ricercatrice affiliata al Centro di Terapia Strategica di Arezzo), quindi a esempi di terapie condotte su alcuni pazienti, affetti, nello specifico, dalla fobia del vuoto, dalla paura di svenire, dalla convinzione d'impazzire, da claustrofobia e dalla paura di volare, dalla paura di un allarme terroristico, addirittura dal “controllo che fa perdere il controllo”, fino alla paura dei gatti.
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Per prima cosa, l'autore evidenzia la necessità di individuareun modello terapeutico assolutamente funzionale e valido, che deve possedere alcuni requisiti: efficacia, efficienza (si devono avere risultati in tempi relativamente brevi), replicabilità (una terapia utilizzata per curare con successo un paziente deve poter essere applicata anche su altri pazienti che presentano lo stesso problema, altrimenti non esiste un modello di terapia, ma un effetto casuale, una coincidenza), predittività (la possibilità di controllare gli effetti della terapia all'interno di un modello ben strutturato) e la trasmissibilità, ovvero la tecnica terapeutica deve poter venire insegnata e non essere prerogativa di pochi specialisti. Tutti questi sono i criteri scientifici per valutare la validità di un metodo.
Nardone illustra una serie di terapie utili, come quella cognitivo-comportamentale e la terapia breve strategica. Nel primo caso, si individuano il problema e le risorse che si hanno a disposizione per risolverlo: «conoscere per cambiare», ovvero la consapevolezza del problema è ciò che può suggerire una soluzione («la terapia cognitivo-comportamentale deriva dalla teoria dell'apprendimento e dunque il cambiamento terapeutico è inteso nel senso di un succedersi di acquisizioni comportamentali e cognitive»).
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Nella terapia breve strategica, invece, si compie il percorso opposto: si attua un cambiamento, attraverso il dialogo terapeutico e apposite prescrizioni, per poi prendere consapevolezza delle proprie risorse e capacità. Sono due modelli diversi, che, però, spesso vengono associati. Da parte sua, Nardone afferma: «la mia preferenza per il metodo strategico rispetto a quello cognitivo-comportamentale deriva dal fatto che tale approccio, basato sulla comunicazione suggestivo-persuasiva e sulla logica non ordinaria, permette di aggirare in tempi notevolmente più brevi la naturale resistenza al cambiamento».
Evitare i “falsi positivi”. Nardone evidenzia che, nel corso di una diagnosi, il rischio di “falsi positivi” è alto. Cosa significa? Significa fare una valutazione sbagliata che conduce a terapie sbagliate. Per prima cosa è necessario capire se il paziente è davvero affetto da attacchi di panico, perché Nardone sottolinea con quanta facilità spesso venga fatta questa diagnosi a fronte di disturbi che potrebbero essere causati da altro, ma che presentano magari sintomi molto simili a quelli degli attacchi di panico (a tal proposito, l'autore cita il caso di un compagno di arti marziali che, giunto in pronto soccorso per dei forti dolori al petto, venne curato col Valium e spedito a casa, salvo poi essere operato, qualche giorno dopo, per un infarto, con conseguente applicazione di un bypass).
In relazione al punto precedente, è necessario distinguere a) l'ansia generalizzata b) l'angoscia c) il disturbo post-traumatico da stress d) l'ipocondria e la patofobia e) il disturbo ossessivo-compulsivo f) i disturbi provocati da dinamiche relazionali g) l'isteria da conversione (ovvero pazienti che si immedesimano a tal punto con una patologia da crearne gli effetti sintomatici).
Infine, via alle sedute: «il primo incontro con il paziente non è solo orientato alla diagnosi del disturbo, ma è già focalizzato sul cambiamento terapeutico», tramite il «dialogo strategico» che si concluderà con una serie di prescrizioni terapeutiche, come il diario di bordo. Già dal secondo incontro i suggerimenti forniti nel primo dovrebbero aver comportato la riduzione degli attacchi di panico in molti pazienti, i cui miglioramenti potrebbero essere ancora più evidenti nel corso della terza seduta. È dalla sesta seduta in poi che la strategia terapeutica potrebbe cambiare, oppure, se il problema è stato risolto, si fissano degli appuntamenti dilatati nel tempo, volti a consolidare i risultati ottenuti. Sono soprattutto incontri di confronto, per verificare la tenuta dei cambiamenti effettuati: l'obiettivo finale è quello di rendere un paziente autonomo dalla terapia e dal terapeuta.
Emanciparsi dal panico è possibile: l’importante è farsi aiutare da chi sa come fare. Il libro di Nardone risulta utilissimo per un primo approccio al problema degli attacchi di panico, per comprenderne le dinamiche e per individuare i giusti consigli e i metodi per sconfiggerlo.
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