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Combattere l'Isis sul campo, le ragioni. Intervista a Carlo Panella

Combattere l'Isis sul campo, le ragioni. Intervista a Carlo PanellaLa Storia, si sa, è fatta di cicli che si ripetono; Giambattista Vico li chiamava ricorsi. Ma quando sono gli errori a essere commessi ripetutamente cosa viene da pensare? Albert Einstein aveva etichettato come follia la propensione dell'uomo a fare sempre la stessa cosa aspettandosi ogni volta un risultato diverso.

Carlo Panella ne Il libro nero del Califfato, edito da BUR (Biblioteca Universale Rizzoli) ad aprile 2015, pone l'accento sugli errori commessi dall'Europa nel 1939 allorquando non capì la gravità del disegno progettato da Hitler e quelli, identici, commessi oggi nell'interpretazione del fenomeno jihadista.

«Non rendersi conto che qualcuno ti fa la guerra per imporre la sua “cultura” è un errore. Errore ancora più grande è non capire perché ti vuole annientare».

Perché Hitler ci ha fatto guerra? Perché voleva annientare il popolo ebreo? Perché il Califfo ci fa guerra? Perché vuole annientarci? «Un abisso separa la nostra totale dimenticanza, la stupita ironia, il nostro scherno nei confronti dell'Apocalisse, dalla loro certezza che è immanente e imminente. Schiaccio il detonatore, mi uccido e uccido gli infedeli perché domani, tutti insieme, siamo chiamati al Giudizio Universale».

Il libro nero del Califfato è un testo che vuole focalizzare sulla centralità dello scisma islamico in atto nelle tragiche vicende che hanno visto coinvolto anche il territorio occidentale nei recenti attacchi di Parigi. Ne abbiamo parlato in un'intervista con l'autore Carlo Panella.

 

«L'Europa ha commesso gli stessi errori nel 1939 e ora li ripete»: il non capire che qualcuno ci combatte per affermare il predominio della propria civiltà e il non cogliere le ragioni per le quali qualcuno vuole annientarci. Cosa spinge il Califfo verso la volontà di annientare l’Occidente? E quali sono i termini di questa guerra di civiltà?

La ragione fondamentale alla base delle azioni del Califfato, come di tutti i movimenti jihadisti, è quella di conquistare potere politico ovunque, in particolare nelle zone che furono sottoposte al dominio islamico in passato, per imporre la legge divina, la sharia. È quello che sta facendo non soltanto in Mesopotamia e in Libia ma anche attraverso atti che noi, erroneamente, definiamo di terrorismo, come gli attentati di Parigi, e che invece sono solamente delle punizioni shariatiche per delle trasgressioni alla legge di Dio.

«Charlie Hebdo» per blasfemia, il Bataclan perché la musica, qualsiasi non solo quella occidentale, è proibita, colpiti bar e ristoranti per punire la promiscuità tra uomini e donne. Tutti segnali molto chiari che l'Occidente non interpreta anche perché abbiamo una visione “egoistica” del mondo. Pensiamo che loro ci vogliano fare paura o che siano dei terroristi. È scontato dire che vogliono farci paura, in realtà tutte le loro azioni mirano a far applicare la sharia.

Non rendersene conto vuol dire ignorare lo scisma religioso interno al mondo islamico. Non è tutto l'Islam ma un Islam scismatico quello che ci attacca. Che ci fa la guerra e quindi noi dobbiamo farla a lui. Farla sul serio però, non quello che l'Occidente sta facendo ora, ovvero bombardando in Siria e Iraq, ma andando a combattere sul terreno o comunque appoggiando chi sta combattendo. Non lo facciamo per varie ragioni ma principalmente perché l'Occidente non ha ideali, quindi non ha coscienza di sé stesso.

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Nel testo sottolinea gli errori del direttore della Cia, di Cameron, di Hollande e della Mogherini i quali affermano che il terrorismo non è Islam. «È Islam, invece: è uno scisma musulmano». Ci spiega i caratteri di questo scisma?

Brennan, Mogherini, Obama... pensano si tratti di una banda di criminali e la trattano come tale, una sorta di bounty killer, quando invece è uno scisma dei Saud e Muhammad al-Wahhab, un teologo islamico. Fece un'azione militare all'inizio dell'Ottocento andando a occupare La Mecca e Medina, si alleò con le tribù dell'Anbar, in pratica le stesse di oggi. È stato l'asse portante della rivolta indiana del 1857 e di quella sudanese del 1880 pur restando nell'ombra e riemergendo con forza durante la rivoluzione khomeinista. Perché l'elemento fondamentale di questo scisma è la pratica liquidatoria di tutte le dottrine idolatriche.

Loro ritengono che i cristiani e gli sciiti siano idolatri perché mentre loro hanno un solo Dio, questi adorano anche i santi o gli imam. Hanno questo atteggiamento persecutorio nei confronti degli idolatri, che verifichiamo anche in questi giorni in Iraq, mosso dalla volontà di venerazione di un unico Dio.

Non conoscere questi elementi, fare dei comodi appelli al bene contro il male o frasi del tipo non si uccide in nome di Dio è una difesa culturalmente miserrima che, ahimè, coinvolge anche il Papato che, peraltro, difronte alla persecuzione dei cristiani in atto da parte di questo movimento islamico, fa ben poco, nonostante le migliaia di martiri cristiani che questi scismatici uccidono ogni anno in tutto il mondo.

 

Come si colloca in questo scisma l'irrisolto conflitto israeliano-palestinese?

Una delle tante verità che ha spiegato questa vicenda è il fatto che la centralità del conflitto israelo-palestinese per sistemare il Medio Oriente era una bufala. Anzi spiega il contrario. Quanto sta avvenendo in Mesopotamia, in Yemen... in posti in cui mai c'è stato l'intervento occidentale, dimostra che la ragione per cui questo conflitto non si risolve non è in una dimensione di terra contro pace, come si è detto per decenni, ma in un non possumus di tipo islamico dentro, peraltro, questo scisma, per cui i palestinesi musulmani non sono disposti ad accettare l'esistenza dello Stato di Israele. Il tutto concretizzato dalla gestione fatta da Hamas. 

Hamas e parte dello scisma non discutono minimamente della questione territoriale. Hanno avuto Gaza gratuitamente nel 2006 da Sharon, ma non fanno la pace con gli ebrei perché devono imporre la sharia su tutto Israele.

Il conflitto israelo-palestinese andrebbe risolto ma ciò non può avvenire perché nel mondo musulmano esiste da sempre il rifiuto della coesistenza tra uno Stato ebraico, uno Stato arabo e uno radicale e non a caso questo rifiuto inizia con una leadership religiosa, Haj Amin al-Husseini, il Gran Mufti di Gerusalemme alleato dei nazisti.

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L’altro grande nodo delle aspirazioni universalistiche dell’Islam è rappresentato dall’Iran. Ora che le sanzioni sono state revocate lei affermerebbe che la «deterrenza atomica per esportare la rivoluzione» ha funzionato?

Direi di sì. Sono riusciti a convincere le classi dirigenti occidentali della loro volontà di non destabilizzare il Medio Oriente nel momento stesso in cui con strumenti tradizionali lo facevano in maniera parossistica. In Iraq, in Siria appoggiando Assad, in Yemen, a Gaza, in Libano...

Gli iraniani non sono arabi, hanno delle èlite dirigenti estremamente raffinate, pongono all'Occidente il problema di una rivoluzione popolare vincente, hanno un'ideologia di morte basata sul martirio, di nuovo di tipo nazista, gestiscono il Paese in maniera autoritaria però l'incapacità di affrontare la situazione iraniana fa sì che l'Occidente chiami Rouhani affidabile riformista nonostante lo stesso premio Nobel Ebadi continui a dire che da quando c'è lui le condanne a morte in Iran sono duplicate. Assisitiamo al paradosso del riformista che duplica le condanne a morte formalmente per reati comuni, ma per la gran parte sappiamo tutti essere dovute a reati politici o di semplice dissidenza ideologica o verbale.

Contrapposto a quello wahabita c'è questo scisma khomeinista basato sulla ideologia del martirio e obbligo del musulmano di uccidersi per uccidere gli infedeli e, esattamente come per il fenomeno wahabita, non vogliamo prendere atto della radicalità culturale di questa ideologia autoritaria.

 

Lei ritiene che l'Occidente si rifiuti di comprendere «che queste migliaia di “John” sono uomini di fede» in quanto prenderne coscienza comporterebbe implicazioni terribili. Quali sono queste “implicazioni terribili”?

Affrontare il problema del consenso di massa che tutti gli inviati dicono... leggete cosa scrive Cremonesi sul «Corriere della Sera» intorno a Mosul. Ripete più volte: «La popolazione sunnita appoggia in maniera convinta gli uomini dell'Isis».

Dovrebbe bastare per rendersi conto che c'è un'adesione di massa a un'ideologia di morte, autoritaria e violenta, e ciò costringe a prendere atto che dentro l'Islam c'è uno scisma operante. E che questa parte scismatica, che uccide in nome di Dio, non viene contrastata a sufficienza se non con poche dichiarazioni verbali, proprio perché molti dei valori che i jihadisti difendono sono simili se non proprio uguali a quelli di gran parte del mondo islamico.

Elemento questo che non viene preso debitamente in considerazione, sfugge, si mistifica la realtà e si risponde in maniera meccanica con dei bombardamenti che, peraltro, non fanno che aumentare il consenso delle popolazioni civili colpite verso questa nuova forma di autoritarismo, non maggioritario ma di massa.

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In un altro passaggio del libro, definisce i terroristi islamici «simbolo di un male dell'anima che penetra in profondità persino nelle nostre metropoli». In cosa consiste questo male?

Noi non siamo figli di Set ma di Caino. C'è questo rifiuto dei contemporanei di affrontare di petto quello che è l'insegnamento non soltanto della Bibbia ma anche della mitologia greca: la propensione dell'uomo al male, all'assassinio, addirittura al fratricidio.

Ormai l'ideologia che gira, anche ad alti livelli della nostra cultura, è molto simile a quella delle Miss. «Vogliamo la pace nel mondo» è il corale desiderio espresso. Invece questa capacità di attrazione che ha una nuova ideologia di morte dentro un corpo religioso millenario pone dei problemi enormi per quanto riguarda la comprensione dell'uomo e della sua dimensione.

Problemi questi che sono contrapposti al politically correct, al mainstream buonista che pervade tutti gli ambienti della nostra cultura. Siamo difronte a una manifestazione del male dell'animo umano sviluppatasi ora in ambito musulmano, nel Novecento esplose in ambito europeo, che è inquietante e pone problemi drammatici.

Voi amate la vita, noi la morte è il messaggio che lanciano i jihadisti e questo alla nostra cultura, oltre che alla nostra sicurezza, pone dei problemi che si preferisce evitare.

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Si sofferma a lungo nel libro sulle differenze tra Al-Qaeda, Isil e Califfato eppure tutte attirano «migliaia di giovani come falene». Perché? E perché l'Occidente stenta a capirne le motivazioni?

Al-Qaeda differisce dal Califfato per una ragione molto semplice: è essenzialmente una struttura organizzativa di tipo classico, non ha avuto la capacità di fare il salto di qualità che il Califfato ha fatto proclamandosi Stato e gestendo un territorio.

Attirano tanti giovani foreign fighter. Una grande capacità di attrazione di questa ideologia di morte che è dentro il corpus dottrinario dell'Islam. Il loro primo teologo di riferimento, Ibn Taymiyya, vissuto alla fine del 1200, sosteneva che il jihad è il sesto principio dell'Islam, più importante del Ramadan e della preghiera stessa. La loro sharia è identica a quella applicata in Arabia Saudita. I loro presidenti storici risalgono al 1800.

Da noi tutto questo viene frainteso, si fa finta che sia colpa nostra. Non c'entra niente l'Occidente. Questo non è un fenomeno di reazione a vere o presunte colpe dell'Occidente. È un fenomeno che nacque, all'interno del mondo musulmano, nel 1740 con lo scisma wahabita, è diventato carsico per quasi un secolo e ora è riemerso con una capacità di attrazione di consenso che ebbe non soltanto il nazismo ma anche l'applicazione e la gestione della shoah. L'uccisione, lo sterminio di sei milioni di ebrei fu possibile perché c'era consenso in larga parte del popolo tedesco. Lo stesso fenomeno lo rileviamo oggi.

 

Quali sono stati i veri errori commessi da Bush e Blair nel 2003? E quanto si è rivelato efficace in realtà il cambio di strategia voluto da Obama?

L'errore fondamentale gravissimo compiuto da Bush e Blair nel 2003 è stato quello di sottovalutare la radicalità del conflitto tra sciiti e sunniti in Iraq e in Mesopotamia, il non aver compreso che questo elemento religioso era ed è centrale.

In Iraq è stato messo alla guida un personale tecnico-amministrativo che non aveva la minima idea di dove si trovasse e questo ha avuto conseguenze disastrose perché ha radicato, nella componente sunnita, un rifiuto totale dell'amministrazione americana e ha favorito l'impianto dei jihadisti. Ciò è stato in parte risolto dal cambio di strategia imposto dal generale Petraeus ma non ci sono stati comunque grandi risultati, a causa della disastrosa dottrina Obama. Il totale abbandono dell'area ha consentito la persecuzione dei sunniti da parte degli sciiti. Parossistica conseguenza di ciò è la caduta dei sunniti nelle braccia del Califfato.

Pur con gli errori detti, la politica di Bush ci ha lasciato in eredità l'unico alleato affidabile, il Kurdistan iracheno, mini-Stato democratico di fatto nascente e crescente, affidabile sia dal punto di vista politico che militare. Non a caso alleato dell'Italia che, giustamente, lo aiuta.

Il non-interventismo di Obama ci ha lasciato senza alleati, senza interlocutori e con un numero di morti civili che raggiunge la cifra di 300-400mila unità, tra Iraq, Siria e Yemen.

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Il 2011 è stato un anno di grande fermento nel mondo arabo, con le rivolte in Tunisia, Siria, Egitto. Quali sono stati i reali motivi, secondo lei? E in seguito cosa è successo durante i mesi di governo della Fratellanza Musulmana?

I motivi erano gli stessi della Rivoluzione iraniana del 1979. Dopo la decolonizzazione, i “cattivi imperialisti” hanno cercato di instaurare in tutto il Medio Oriente delle democrazie, subito destabilizzate da gruppi militari di provenienza filo-nazista, che si sono poi alleati con l'Unione Sovietica, che hanno instaurato dei regimi all'insegna della corruzione e dell'autoritarismo. Incapaci di fare fronte alle richieste di partecipazione e alle tensioni sociali che venivano soprattutto dai giovani.

Le Primavere arabe hanno avuto la capacità di abbattere dei regimi ma, quando si è trattato di gestire direttamente, hanno dimostrato che nel mondo arabo-musulmano non c'è una élite in grado di amministrare lo Stato e così sono andati al potere uomini dei vecchi regimi che hanno saputo riciclarsi.

 

Lei sostiene ne Il libro nero del Califfato che il vuoto di potere che è derivato dall'eliminazione del regime di Gheddafi in Libia ha contribuito alla «germinazione di terrorismo e jihadismo». Perché?

Non si è minimamente pensato, né nel momento in cui è stato fatto l'intervento né negli anni successivi, a quale potesse essere la gestione della Libia una volta battuto Gheddafi.

Si è fatto finta che sia stato ucciso da una rivolta popolare, il che non è vero in quanto Gheddafi è stato ucciso da forze militari della Nato, e si è lasciato il Paese nel caos con un livello di incompetenza e di non comprensione del territorio spaventosi, soprattutto a fronte dell'arretratezza delle classi dirigenti libiche.

Ora si è cercato di rettificare questo abbandono ma l'idiozia euro-americana nell'abbattere il regime di Gheddafi senza poi minimamente gestire le fasi successive credo andrà studiata nei secoli come manuale di quello che non va fatto in generale nel mondo.

Una lunga e saggia esperienza americana di Nation building nei Paesi in cui sono intervenuti sta ormai scemando verso un dilettantismo drammatico e tutto ciò crea terreno di coltura per la nascita e il radicamento dell'Isis e dei jihadisti.

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Nel 2006 fu lanciato l'anatema contro la rivista satirica «Charlie Hebdo» e nel gennaio del 2015 c'è stato l'attentato. Pochi giorni dopo, il 14 febbraio 2015, il Califfato minaccia l'Italia: «Prima ci avete visti su una collina della Siria. Oggi siamo a Sud di Roma... in Libia». Cosa dobbiamo aspettarci?

Dobbiamo aspettarci degli attentati. Tanto più perché facciamo guerra all'Isis. Fortunatamente finora la fase è stata quella di attentati fatti da volontari, islamici di seconda generazione che sono andati a cercare il jihad in Afghanistan, in Yemen o in Mesopotamia e poi sono tornati. Non abbiamo avuto alcun attentato per mano di una centrale operativa specifica creata ad hoc dall'Isis, ma questo passaggio verrà a maturazione a breve.

Non possiamo prevedere dove, se in Italia o in Inghilterra o altrove, ma di sicuro ci saranno attentati, anche perché, a differenza di Al-Qaeda, l'Isis ha una valenza anti-cristiana molto marcata.

 

Come si combatte il terrorismo?

Creando una rete di alleati nel campo avverso. La follia della gestione obamiana della crisi è tale per cui noi non abbiamo alleati.

Siamo alleati con gli uni e con gli altri, vogliamo fare la pace, far fare la pace a sciiti e sunniti, tra i khomeinisti e gli anti-khomeinisti. In Yemen Obama bombarda gli sciiti con i sauditi e in Iraq e Mesopotamia invece a essere bombardati sono gli alleati dei sauditi e ciò va a favore degli sciiti.

È un quadro parossistico, vergognoso che farà sì che questa crisi complessiva continuerà a svilupparsi fino a quando, finalmente, un nuovo o una nuova presidente non prenderà incarico nel gennaio 2017. Abbiamo davanti oltre un anno di tempo durante il quale questa crisi diventerà sempre più ampia.


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