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Com’è nato Winnie the Pooh? Ce lo racconta Marina Migliavacca

Com’è nato Winnie the Pooh? Ce lo racconta Marina MigliavaccaCom’è nato Winnie the Pooh? Qual è la vera storia che si nasconde dietro l’orsacchiotto Disney che ha affascinato generazioni di bambini e continua a mietere un successo che appare quasi inarrestabile? A rispondere a queste domande ci ha pensato Marina Migliavacca Marazza, nel suo Il bambino di carta. La storia del vero Christopher Robin e del suo Winnie the Pooh, edito da Libromania.

Il libro, basato sulle autobiografie dei protagonisti, ripercorre le vicende di Alan Milne, il creatore di Winnie the Pooh, e di suo figlio Christopher Robin, per il quale il fortunato orsetto fu creato.

Di ritorno dalla prima guerra mondiale, Milne aveva infatti bisogno di uscire dall’isolamento in cui si era rifugiato e di stabilire un contatto con suo figlio, al quale iniziò a raccontare le storie di Winnie the Pooh, lasciadosi inspirare proprio da un orsacchiotto dal quale il piccolo Christopher era inseparabile.

Il bambino di carta svela luci e ombre di questo rapporto e, al contempo, pone in evidenza la forza di Winnie the Pooh. E proprio di questi aspetti abbiamo parlato con Marina Migliavacca Marazza, nell’intervista che ci ha gentilmente concesso.

 

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Cominciamo da una prima domanda che credo sia d’obbligo: Winnie the Pooh è apparso per la prima volta nel 1926 e con i suoi quasi novantadue anni è più longevo di Topolino. Quali sono le ragioni di questa resistenza al tempo?

Winnie e il suo universo sognante del Bosco dei Cento Acri sono piaciuti e piacciono prima ancora ai genitori che ai bambini per diversi motivi. Il primo è che il mondo di Winnie è poetico e privo di pericoli reali (non a caso idealizzava un “tempo di pace” dopo gli orrori della prima guerra mondiale); quindi rassicura e imbozzola in modo protettivo.

Il secondo è che nei personaggi di Pooh gli psicologi infantili hanno ravvisato non tanto i profili di diversi tipi di bambini quanto di diverse pulsioni che convivono all’interno di uno stesso bambino (giocoso Tigro; malinconico Ih-oh; piccolo e timido Pimpi; saccente Gufo e così via), in modo che tutte le sfaccettature dell’essere bambino vengano colte e riproposte con un felice processo di immedesimazione.

Terzo, l’orsetto di peluche (dai tempi del lancio del primo teddy bear legato alle prodezze venatorie del presidente Teddy Roosevelt) è uno stereotipo finora immortale di compagno di giochi più o meno immaginario che va molto al di là dell’oggetto transizionale classico.

Non a caso Walt Disney, acutissimo valutatore di properties letterarie, lo ha colto e trasformato nella sua vulgata che pur mutandone l’aspetto con l’accentuazione di alcuni tratti e la modernizzazione e antropomorfizzazione visuale, lascia immutati i punti di forza del character.

Com’è nato Winnie the Pooh? Ce lo racconta Marina Migliavacca

Winnie the Pooh nasce dall’immaginazione di Alan Milne, poco dopo il suo ritorno dalla prima guerra mondiale. Quanto ha inciso l’esperienza di guerra nella creazione di un personaggio come Winnie the Pooh?

La guerra è una presenza costante nella mente e nell’anima di Alan Milne, dopo la sua esperienza al fronte. Pare che gli sia capitato di vedere saltare la testa a un collega sottotenente decapitato da uno shrapnel a pochi metri da lui, mentre bevevano una tazza di tè nella gavetta, in trincea, per quanto, come tutti gli uomini della sua generazione, Milne abbai sempre avuto un tremendo pudore a proposito delle sue esperienze in divisa: a quei tempi non si parlava di stress post traumatico.

Tolta la divisa, Alan si schiera con i pacifisti in un periodo in cui il pacifismo era più che malvisto: i pacifisti venivano considerati nella migliore delle ipotesi dei vigliacchi, nella peggiore dei traditori da punire. La guerra ha accentuato alcuni tratti del suo carattere già chiuso e riservato e ha peggiorato la sua incomunicabilità, e sarà proprio per avere un argomento di conversazione col figlio che lui all’inizio penserà di scrivere di Winnie.

Milne non solo non era uno scrittore per ragazzi, ma considerava la letteratura infantile un genere un po’ di serie B, non dimentichiamolo: lui era il caporedattore del famoso Punch, nonché un autore di teatro e un giallista, precursore di certe situazioni alla Agatha Christie. La guerra rimane la grande paura, un incubo che non perseguita solo le sue notti, ma infesta le sue giornate: quando gli nasce un figlio maschio, Alan, diventato pacifista, teme che prima o poi al sangue del suo sangue potrebbe capitare di indossare una divisa, anche se la grande illusione della prima guerra mondiale era quella che non ci sarebbero più state guerre.

Il Bosco dei Cento Acri diventa così un’oasi sicura dove i personaggi più tremendi che puoi incontrare sono una nottola immaginaria o un elefante simpatico, dove le uniche presenze potenzialmente aggressive sono delle api operose che difendono il loro miele dai golosoni (ma anche loro, alla fine, non pungono nessuno). In questo senso le storie di Winnie the Pooh possono essere considerate un manifesto del pacifismo silenzioso di Milne più ancora del pamphlet che lui scrisse tornato dalla guerra, Pace con onore.

 

Perché ha deciso di raccontare la vera storia di Winnie the Pooh? Cosa ha da dirci ancora oggi?

Ci sono delle storie nella Storia che sono poco note e che gli scrittori hanno in un certo senso il dovere di rendere note. La vicenda di Christopher Robin mi è sembrata di sorprendente attualità.

Gli anni Venti segnano l’inizio della vita “moderna” così come noi l’intendiamo: una quotidianità fatta di grandi magazzini, automobili per le strade, frigoriferi nelle case, istituti di bellezza, voto alle donne. Cento anni fa vivevano più o meno come viviamo noi, e quello che è successo a Christopher Robin sarebbe poi capitato in seguito a molti altri bambini divorati dal successo, fino a casi molto recenti di piccoli attori o musicisti o sportivi prodigio.

Lo stress post traumatico dopo un’esperienza tremenda, l’anaffettività all’interno delle famiglie, il bullismo e i suoi terribili effetti, il trauma da parto e la violenza ostetrica, i conflitti sociali, il narcisismo degli scrittori, il fascino malato della popolarità sono solo alcuni dei temi che il libro contiene e che fanno di questa storia (vera, in quanto basata sulle autobiografie dei due protagonisti, su lettere e documenti d’epoca) una lezione di vita attualissima.

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Una domanda a bruciapelo: a Winnie the Pooh sono più interessati i bambini di oggi con lo sguardo della curiosità o quelli di ieri presi dalla nostalgia della loro infanzia?

Oggi l’offerta di personaggi sul mercato dei bambini si è moltiplicata a dismisura, con la caratteristica di un affollarsi di fenomeni-meteora, che durano un anno o due e tramontano. Winnie non segue delle mode, delle tendenze, non si aggrappa a film o serie televisive che fanno picchi di ascolti.

Indubbiamente per lui funziona sui bambini di una volta un “effetto nostalgia” che ne accentua la poeticità collegata al magico tempo d’antan, quando il mondo lo vedevi con gli occhi pieni di meraviglia di un marmocchietto ingenuo; tuttavia anche i bambini di oggi, pur così disincantati e abituati ai ritmi incalzanti di certe properties, avvertono fortemente l’abbraccio rassicurante di quell’universo e di quelle storie un po’ nonsense, di disarmante candore, soprattutto nel target prescolare.

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Facciamo due esperimenti, se lei è d’accordo. Il primo: provi a convincere un genitore a leggere a suo figlio le storie di Winnie the Pooh, cosa gli direbbe?

Mi viene in mente una specie di gioco di ruolo per grandi e piccoli. Il bello di Winnie, oggi, è che ciascuna figura parentale potrebbe trasformarsi in Alan Milne alle prese col piccolo Christopher Robin nella prima e innocente fase del processo, quando si trattava di un padre che metteva la sua penna al servizio del suo bambino, quando il rapporto era ancora ludico, unico ed esclusivo, quando il testo non era ancora stato pubblicato e divulgato.

Ciascun padre e ciascuna madre potrebbero utilizzare le storie di Winnie per creare un rapporto privilegiato ed esclusivo col bambino. A quasi cent’anni di distanza gli scritti originali necessitano infatti di una sorta di mediazione e adattamento contestuale per diventare fruibili dai piccoli di oggi. Giocando su certe rime, su certe situazioni buffe e sul fascino irresistibile dei personaggi si portano i piccoli a comprendere e amare quell’immortale contesto.

Di più, un papà e una mamma di oggi potrebbero prendere spunto dal processo creativo che Milne ha usato per inventare storie proprie basandosi sulla quotidianità del loro rapporto coi figli, a patto ovviamente di resistere alla tentazione di condividerle al di fuori della cerchia familiare. Neanche postando selvaggiamente sui social, please.

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E ai bambini? Cosa direbbe loro per appassionarli alle avventure di Winnie the Pooh?

Per loro tutti gli spin off di questo personaggio sono validi.

Partirei citando loro qualche frase presa dal libro, come: «Un giorno senza un amico è come un vasetto vuoto, rimasto senza più neanche una goccia di miele.» Oppure:«Non puoi startene lì nel tuo angolino della Foresta ad aspettare che gli altri vengano da te. Qualche volta devi essere tu ad andare da loro.» E chiederei che cosa ne pensano…


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