“Città di polvere” di Romano De Marco è il noir dell’estate 2015
È il noir dell’estate 2015 il nuovo romanzo di Romano De Marco, Città di polvere, pubblicato da Feltrinelli, per la serie “Nero a Milano”. Abruzzese, vive tra Modena e Milano perché nella vita, oltre a fare lo scrittore, è responsabile safety per uno dei maggiori istituti di credito italiani. E forse sarà stata proprio questa sua profonda conoscenza del settore ad avergli dato il là per la stesura di questo nuovo lavoro, che ha ricevuto lusinghieri riconoscimenti dalla critica, dal pubblico e dai colleghi giallisti, primo tra tutti Maurizio De Giovanni, che non ha fatto mancare il suo endorsement. Del resto, l’estate è la stagione per eccellenza per dedicarsi alla lettura di questo genere e Città di polvere non lesina ritmi serrati, colpi di scena, sconvolgimenti di fronte, tutti ingredienti che l’esigente lettore di un giallo o di noir desidera come il pane.
Città di polvere – dove la polvere non è solo quella che si nasconde sotto il tappeto – trascina verso questa spaventosa discesa agli inferi di cui è protagonista Marco Tanzi, ex poliziotto, successivamente riabilitato, dopo alcuni trascorsi non proprio nobili. Sarà chiamato a infiltrarsi in una delle peggiori carceri italiane per ottenere informazioni da un contabile della malavita. Nel frattempo Milano è teatro di una violenta escalation, aperta da una sanguinosa rapina in banca dove muoiono ben nove poliziotti e si volatilizza un mucchio di soldi. Insomma, cose assai sporche che la penna di De Marco aiuta a svelare.
Quando è nata l’ispirazione per Città di polvere?
Nella primavera del 2014 iniziai a pensare a un nuovo romanzo per la serie “Nero a Milano” che avesse gli stessi protagonisti di Io la troverò (finalista al Premio Scerbanenco-La Stampa 2014, ndr), ma che fosse completamente diverso dal primo capitolo, sia dal punto di vista delle tematiche che da quello della struttura. I due romanzi, infatti, possono essere letti singolarmente perché non risentono di una serialità stretta. Mentre nel primo l’attenzione era puntata sull’amore di un padre per una figlia, fuoco sacro capace di dare al protagonista Marco Tanzi la forza di risollevarsi dall’inferno nel quale era precipitata la sua vita, stavolta il tema principale è la crisi della maturità, l’incapacità di continuare a progettare il futuro e la felicità. È un problema che riguarda tutti e tre i protagonisti (Marco Tanzi, Luca Betti e Laura Damiani) che agiscono parallelamente sullo sfondo di una sanguinosa guerra per il controllo del mercato della droga in una Milano ormai preda di varie bande criminali colluse con il potere economico e politico.
Marco Tanzi esiste veramente? Può rappresentare l'archetipo di un poliziotto dei giorni nostri?
Marco Tanzi rappresenta il lato oscuro che alberga in molti di noi, il pericolo di varcare da un momento all’altro lo sbiadito confine che divide il bene e il male per seguire le proprie pulsioni, i propri istinti e la propria sete di giustizia. C’è un potenziale Marco Tanzi in ognuno di noi.
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In Città di polvere emerge un ritratto di Milano assai duro...
Milano non è solo l’EXPO e la settimana della moda. Nei primi anni Ottanta, obnubilati all’edonismo reaganiano di riflesso, tutti pensavamo che il capoluogo lombardo fosse solo la mecca dei paninari, dell’amaro Ramazzotti e delle TV private. In quegli anni, in realtà, a Milano impazzava una sanguinosa guerra tra gang criminali per il controllo della città (egregiamente raccontata da Paolo Roversi nel suo Solo il tempo di morire, finalista al premio Bancarella 2015). La stessa cosa accade oggi. Stefano Di Marino, autore noto con lo pseudonimo di Stephen Gunn, ha definito la sua città “Gangland”, ovvero luogo in balia di innumerevoli bande criminali di diversa nazionalità che si sono spartite le varie attività criminali. Io ho solo ipotizzato che due di queste bande possano entrare in collisione, un evento che non è poi così improbabile.
Come lavora per la stesura dei auoi romanzi? Parte da episodi di cronaca? Anche se si dice di solito che la realtà supera la fantasia...
La mia è narrativa di intrattenimento, non mi pongo il problema di ispirarmi per forza a fatti di cronaca. Accade poi che la cronaca faccia capolino da sola in ciò che si scrive, se si cerca di essere credibili e onesti nei confronti dei lettori. Il problema delle carceri italiane, l’avvento delle nuove droghe sintetiche, la collusione di alcune banche con la malavita, non sono temi inventati, ma trovano tutti spazio nel mio romanzo…
Qual è il segreto per un buon noir, secondo lei? I suoi gusti da scrittore e da lettore?
Di segreti veri e propri non ne conosco, posso dire qual è la mia regola: mettersi sempre nei panni del lettore. In questo ho gioco facile perché io continuo a considerarmi sempre prima un lettore che uno scrittore. Non mi piacciono colpi di scena posticci e poco credibili, non mi piacciono le scorciatoie narrative, i riempitivi, gli stereotipi, le scopiazzature… per questo cerco di evitarli nelle cose che scrivo. Non so se ci riesco, ma spero tanto di sì. I miei gusti da lettore? Sono abbastanza onnivoro, dico qualcuno a caso: Giuseppe Pontiggia, Raul Montanari, Andrea Carraro, Grazia Verasani, Bret Easton Ellis… Mi fermo qui, ma potrei continuare per ore.
Questo è un periodo buono per la narrativa italiana, specie per i gialli e i noir: Maurizio De Giovanni ha dichiarato a Sul Romanzo che «Il romanzo vero è un romanzo sociale»....
Maurizio è un amico e lo considero il miglior narratore italiano in assoluto. Sono un suo appassionato lettore e penso che con il grande successo dei suoi splendidi romanzi stia facendo da volano per una nuova, benché difficile, rinascita del romanzo di genere italiano. Sulla questione del romanzo sociale torno alla risposta di prima. Se il narratore ci mette passione, impegno e intelligenza, ogni romanzo diventa da solo un romanzo sociale.
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