Cinque delfini in mezzo ai pescecani e un commissario amante dell’arte
I protagonisti di Come delfini tra pescecani, romanzo di François Morlupi pubblicato da Salani editore, sono cinque poliziotti dal volto umano che nulla hanno dell’eroismo che caratterizza alcuni loro omologhi. A guidarli un commissario molto particolare, Biagio Maria Ansaldi, che soffre di attacchi d’ansia e ama i quadri di Chagall, Soutine e Modigliani.
Proprio dalle caratteristiche di questi personaggi siamo partiti per la nostra intervista a François Morlupi.
Come delfini tra pescecani. Chi sono i delfini? E chi i pescecani? E come si vive da delfini in mezzo ai secondi?
I delfini sono i cinque protagonisti del mio noir, i cinque poliziotti del commissariato di Monteverde. Poliziotti comuni, ordinari che non sono supereroi, anzi. Posseggono tante qualità, ma altrettanti difetti. Non sono né bianchi né neri, ma grigi; perfetti nella loro imperfezione e tentano, nel loro piccolo, di andare avanti e di sopravvivere in un mondo di pescecani, ovvero tutte quelle persone che si frappongono tra loro e la felicità tanto agognata. I pescecani possono rappresentare persone reali o la società che li schiaccia con il suo peso.
I miei delfini hanno capito che l’unica maniera per uscire indenni dalla lotta, contro dei pescecani, è quella di rimanere coesi e compatti e di rialzarsi dopo ogni caduta.
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Chi è Biagio Maria Ansaldi? E cosa l'ha spinta a dedicare il romanzo a persone come lui?
Biagio Maria Ansaldi è il dirigente del commissariato di Monteverde. È un poliziotto di esperienza; ha superato la cinquantina, professionalmente assai preparato, integerrimo e per questo assai amato e rispettato dai suoi collaboratori. Fisicamente non è un granché... anzi è decisamente sovrappeso e soprattutto soffre di stati di ansia che, a volte, esondano in vere e proprie crisi di panico.
In genere riesce a controllare le proprie ansie con l’assunzione di dosi massicce di ansiolitici, dei quali è divenuto dipendente, ma soprattutto trova sollievo perdendosi nell’arte, nella pittura, con i quadri dei suoi adorati Chagall, Soutine e Modigliani.
Sono molto affezionato al mio commissario poiché so che tutti noi, bene o male, soffriamo d’ansia. Poi, c’è chi riesce a conviverci e anche a nasconderla agli altri, ma altri purtroppo no, e magari se ne vergognano. Ansaldi rappresenta il mio elogio della fragilità: è dotato di grande umanità e va controcorrente in confronto al messaggio che la società veicola: quello dell’uomo perfetto, sia mentalmente sia fisicamente. Non si vergogna di sembrare fragile, di essere prima di apparire.
È un personaggio positivo, che si rialza dopo ogni caduta; ciò che più mi preme sottolineare è il fatto che la società ha bisogno di persone come lui. Persone che posseggono una sensibilità e un’umanità diverse, ma che abbelliscono e impreziosiscono l’affresco del genere umano.
Ho tentato di omaggiare pertanto tutta quella fetta di popolazione che soffre di ansia, attacchi di panico o di ipocondria, dimostrando loro che si può non solo avere una vita professionale ricca di soddisfazioni, ma anche una vita privata all’altezza delle proprie aspettative.
Il suo commissario soffre di ipocondria e attacchi d'ansia, e dunque conduce una vita (anche professionale) non semplice. Come ha lavorato per definire queste caratteristiche di Ansaldi?
Semplicemente ho preso spunto da amici, colleghi, famigliari e anche il sottoscritto che soffrono, chi più, chi meno, di ansia o di ipocondria. Sono stato pertanto, penso, il più realistico possibile.
I romanzi gialli in Italia godono ormai di un buon successo di pubblico e di certo la qualità non manca. Quali sono i protagonisti creati da altri autori che più ammira e per quali ragioni?
Prima di essere uno scrittore, sono un lettore. Penso sia la condizione sine qua non per poter scrivere. Adoro il personaggio di Wallander, creato dalla penna di Mankell. Umano, vero, sensibile; semplicemente unico nel suo genere. Un uomo che attraverso il proprio lavoro riesce a rimarcare i cambiamenti sociali, economici e politici del suo paese. Rimanendo nel nord d’Europa, amo anche l’ispettore Beck della coppia Maj Sjöwall e Per Wahlöö e il commissario Erlendur di Indridason. Entrambi fragili ma dotati di una moralità senza pari.
Spostandoci nel nostro mediterraneo, non posso non citare l’ispettore Ricciardi di De Giovanni per la sua profonda umanità e la malinconia che esprime in ogni sua azione e l’ispettore Charitos di Markaris poiché, sebbene greco, vive quotidianamente ciò che noi cittadini romani viviamo ogni giorno. Le similitudini tra i due paesi sono così lampanti che era inevitabile che mi affezionassi a lui.
Poi il fatto che sia italo francese e perfettamente bilingue è stato di grande aiuto: ho potuto assaporare in lingua originale moltissimi polars francesi mai tradotti in Italia; penso a Bussi, Lemaitre, Thilliez, Chattam. I loro personaggi mi hanno senza dubbio ispirato.
Ha scelto il self publishing per i primi due romanzi, e ora è al suo esordio con un importante editore italiano. Cos’ha comportato questo cambiamento a livello di scrittura?
Moltissimo. Ho avuto la fortuna di capitare con editor eccezionale, Stefano Izzo, che mi ha aiutato e insegnato con estrema gentilezza e professionalità come migliorare un testo, rendendolo più dinamico, attraente, senza cadere nelle classiche trappole da esordiente. È stata una palestra formativa essenziale per la mia crescita in quanto scrittore. Ho capito alcune dinamiche fondamentali per migliorare il mio testo e per poter veicolare in maniera migliore i vari messaggi del mio romanzo.
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Quali consigli si sente di dare a chi si autopubblica? E cosa non dovrebbe assolutamente fare?
Di leggere tanto e di prendere spunto da tutti. Di mettersi sempre in gioco e di chiedere ai lettori cosa non è piaciuto del proprio romanzo, anche se potrebbe sembrare, a prima vista, un gioco masochista. Ma è fondamentale per poter migliorare; le critiche costruttive fanno parte del mestiere e sono il miglior modo per evitare di ripetere alcuni errori.
La cosa secondo me da non fare è quella di prendersi troppo sul serio, di puntare tutto sulla scrittura e di viverla come una ragione di vita o di morte. Se presa, almeno all’inizio, come una passione, può offrire tante soddisfazioni.
Soprattutto mai avere la presunzione di aver scritto un libro perfetto e di sentirsi migliori degli altri. La caduta (perché ci sarà, è impossibile non subirla) in questo caso sarà ancora più dura da accettare!
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Per la prima foto, copyright: Yanal Tayyem su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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