Chuck Palahniuk torna se stesso con “Il libro di Talbott”
Aspettavo questo momento da mesi, come facevano un tempo le groupie quando sapevano che stava per arrivare in città la loro band preferita e si preparavano a lanciare gli slip sul palco, in letteratura non si lanciano slip e non ci sono palchi ma la sensazione per me è quella lì, o almeno immagino che una groupie si sentisse più o meno così. Insomma, da quando ho saputo che Chuck Palahniuk avrebbe pubblicato un romanzo nuovo, proprio nuovo nuovo e non l’ennesimo episodio fumettato di Fight Club, ho avuto in testa solo quello e no, in questo caso non è valsa la teoria di Oscar Wilde per cui l’attesa del piacere è essa stessa il piacere; l’impazienza per la lettura, tuttavia, è stata corrotta dal dubbio: sarà un buon libro? Avrà di nuovo quel guizzo che mi ha fatto innamorare della sua scrittura o sarà solo un altro romanzetto simpatico come Beautiful you?
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Naturalmente, avevo bisogno di credere che sarebbe stato di nuovo il Chuck Palahniuk di Invisible Monster, Survivor, Diary, Soffocare, Rabbia e Cavie. Così quando ho avuto Il libro di Talbott tra le mani nell’edizione Mondadori tradotta da Gianni Pannofino (già traduttore di Tom Drury, W. Somerset Maugham, Salman Rushdie, per citarne alcuni) e ho iniziato a leggere le prime pagine, distrattamente, come quando al liceo guardavi quel compagno di classe di cui eri innamorata n segreto, sperando che prima o poi avrebbe alzato lo sguardo per cercarti, ho capito subito che non sarei più riuscita a fermarmi. Trecentosettantotto pagine di puro godimento, una trama folta di personaggi strampalati che si rincorrono sfiorandosi appena, fino all’esplosivo finale che ricorda l’inizio de Il signore delle mosche di William Golding, e forse dopotutto proprio di un inizio si tratta.
Ma cos’è Il libro di Talbott? Raccontare la trama dopo averlo letto è un compito difficile, sarebbe infatti un peccato svelare le chicche più sorprendenti che ci riserva l’autore e che, tra l’altro, sono proprio i suoi tic tipici, quelli di cui molti dei suoi lettori più affezionati sentivano la mancanza. Qualcosa però bisogna dirla e allora sappiate che Il libro di Talbott è il libro protagonista del romanzo, il galeotto da cui tutto ha avuto inizio. Siamo negli Stati Uniti d’America, più o meno ai giorni nostri, e sta per essere siglata una guerra con il Medio Oriente per risolvere il ciclico problema di surplus di giovani maschi, solo che questa volta le cose andranno in maniera diversa; in parallelo, infatti, iniziano a circolare le direttive rivoluzionare promulgate da Talbott Reynolds nel suo libro: «Il giorno dell’Aggiustamento sta arrivando» e a cadere saranno i pezzi grossi, le loro orecchie per essere precisi. Una rivoluzione perfetta che vede il popolo unito per il raggiungimento dell’unico obiettivo possibile, prendere finalmente le redini del potere e ridistribuire le persone secondo criteri razziali così che ognuno possa vivere libero secondo le proprie inclinazioni. Nascono così Caucasia, Blacktopia e Gaysia ma non sarà tutto così semplice come prospettato dal libro di Talbott.
«In punta di piedi si sparpagliavano per le stanze del potere. Edifici solenni eretti con il loro sudore, dove per troppo tempo si erano fatti rappresentare da altri. Erano lì come testimoni, per un sopralluogo nelle sontuose scenografie in cui le loro vite sarebbero finalmente cominciate o miseramente finite.»
Chuck Palahniuk torna in libreria con un romanzo irriverente e politicamente scorretto, in cui vengono evidenziate in maniera demenziale le contraddizioni della società attuale, americana soprattutto ma anche noi dopotutto non possiamo non sentirci chiamati in causa.Torna anche lo stile, inconfondibile, fatto di giochi di parole e variazioni di lingua, ma anche di ripetizioni e personaggi fuori da ogni schema. Quando si costituisce lo stato-nazione di Caucasia, ad esempio, il lettore noterà che il registro pian piano cambia in favore di una pomposità tipica dell’uomo bianco del Settecento, il personaggio muta e con lui si trasforma la lingua, lo stile segue le scene e così non serve descrivere nei dettagli il contesto perché esso si mostra chiaro nella mente del lettore per la scelta stessa delle parole usate.
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Mi è sembrato di scorgere in alcuni personaggi e in alcune situazioni, ma forse è solo una mia associazione priva di fondamento, un sottile rimando ai suoi romanzi precedenti, come se avesse voluto inserire nel puzzle dei frammenti di memoria: la coppia Walter-Talbott non ricorda forse la leggendaria coppia di Fight Club? E l’incendio di Villa Peabody non è un’istantanea ripresa da Invisible Monster? Se fosse vero e io fossi un critico e non una fan, probabilmente lo vedrei come sintomo di una fantasia che inizia a perdere colpi e invece a me è parsa proprio una piccola chicca inserita in un più ampio romanzo sfacciato e demenziale all’altezza della sua fama.
L’unico dispiacere è per il titolo scelto dall’editore italiano, l’originale infatti è The Adjustment Day e scoprirete che nasconde un giochino davvero sfizioso, peccato non fosse possibile renderlo in italiano.
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