Chi ha detto che avere un figlio è sempre una bella esperienza? “La spinta” di Ashley Audrain
Diventare genitori è un’esperienza unica nel suo genere. Quante sono le coppie che tutti gli anni, a un certo della propria vita, decidono di comune accordo di mettere al mondo un figlio. Certo, non sto dicendo che sia un passaggio obbligato per tutti, c’è anche chi decide di non volere figli, per paura, per impossibilità naturale o economica, perché non sente quello che viene chiamato istinto materno o genitoriale e tante altre ragioni.
Una cosa è sicura, nel momento in cui si decide di avere un figlio, inizia una nuova fase della propria vita che comincia non quando nasce il piccolo, ma già nel momento in cui il concepimento ha preso il sopravvento.
Un iter fatto di visite ed esami continui e ripetitivi, di farmaci più o meno blandi da assumere a certe ore e con una certa precisone. Poi ci sono i corsi pre-parto, i consigli dei genitori (perché ci sono passati prima), degli amici (perché lo stanno vivendo), ognuno ha la sua verità e ognuno ha il consiglio migliore.
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La verità è una sola: il miglior consiglio o la grande verità la si trova solo dentro se stessi. Siamo noi che dobbiamo portare avanti questa gravidanza, siamo noi che dobbiamo continuare a essere donne o uomini, a essere una coppia, a essere amanti, a essere complici.
Infine arriva il momento cruciale, il momento del parto e cosa succede se tutte le nostre aspettative vengono fatte crollare al primo vagito del nuovo nascituro? Cosa si può fare se ci si accorge che nel figlio tanto desiderato esista una possibilità che questo si trasformi in qualcosa di negativo o addirittura crudele? Questo è il tema di un romanzo sorprendente: La spinta di Ashley Audrain (Rizzoli Editore, traduzione di Isabella Zani).
Blythe è una donna che come tante ha desiderato di diventare madre. A un certo punto il suo grande desiderio viene esaudito con l’arrivo di una bambina, Violet. L’inizio non è dei più facili, ma d’altronde, pensa, per nessuno deve essere stata una passeggiata. Il tempo passa, la bimba cresce e quando compie sette mesi, Blythe si rende conto che, in tutto quel tempo, il marito è perso solo nel suo lavoro e che la sua grande passione (la scrittura) è stata accantonata a causa di questa bambina che dorme poco e che si sveglia nei momenti meno opportuni. Il pianto del risveglio le infligge ogni volta una sorda frustrazione. Una situazione che le provoca delusione, avvilimento e che la demoralizza e a quel punto prende una decisione dura e decisiva, lasciar piangere la bambina, non accorrere più al primo urlo, in un certo qual modo arriva non importarsi più di quell’esserino che le sta rubando tempo alla sua vita. Dopo alcuni anni, la situazione è cambiata radicalmente e troviamo Blythe, la sera della vigilia di Natale, seduta in macchina a spiare la nuova vita del marito: perfetta, premurosa, affettuosa e infine c’è Violet che dall’altra parte del vetro, a sua volta, la sta fissando immobile. Sarà l’occasione per mettere in ordine la sua vita?
Ashley Audrain è una giovane scrittrice canadese, ma prima di dedicarsi alla scrittura, ha lavorato nel mondo della pubblicità, poi a causa di un problema di salute del figlio più piccolo, ha deciso di licenziarsi, di dedicarsi al bambino e di scrivere un romanzo che in parte è autobiografico, ma che come lo definisce lei, in un’intervista, è un «dramma psicologico raccontato attraverso la lente della maternità».
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Il romanzo scorre via con una fluidità impressionante che solo uno scrittore navigato può avere. Un libro che è un fiume di ricordi e di emozioni e anche di nostalgie. Con un ritmo incalzante e una storia che cattura, sia i genitori che i non, dalla prima pagina all’ultima pagina.
Il punto di forza del romanzo è la capacità dell’autrice, che ricordo essere al suo esordio, di non temere il giudizio e la possibilità di ammettere che non è vero che i bambini nascono tutti buoni, alcuni di loro nascono già con dei problemi che potrebbero essere risolti subito se presi in tempo. Qual è la difficolta? Per un genitore ammettere che il proprio figlio ha un problema è un grosso tabù.
Un romanzo spietato, vorticoso, serrato e inquietante.
Per la prima foto, copyright: Zachary Kadolph su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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