Chi ha cucinato l’ultima cena? Storia sommersa del «sesso debole»
Uscito per Fandango Libri, Chi ha cucinato l’ultima cena? Storia femminile del mondo di Rosalind Miles è quello che manca nelle scuole, nelle case, nelle menti di tutti coloro che aderiscono al patriarcato in modo consapevole o inconsapevole. Perché è così, certe volte agiamo, pensiamo, reagiamo in funzione di un retroscena culturale che ci ha plasmato sin da bambini. Se vivi in un mondo in cui è normale che solo gli uomini siano ricordati come condottieri, scienziati, medici, ingegneri, politici, inventori, se vivi in un mondo siffatto, cresci con l’idea che, in quanto donna, già avere un lavoro fuori di casa è emancipazione. È uguaglianza. E nel sottofondo ci si abitua a sentirsi dire: volevate essere uguali agli uomini, bene, ora lo siete, pigliatevi anche la fatica fisica che, è ovvio, vi schiaccerà. E dentro la testa di chi ha sempre ascoltato e appreso la storia così come viene raccontata solo dagli uomini, pensa, sì, è vero, le donne, in materia di muscoli, di resistenza, di prestanza, non può competere. Figuriamoci.
Ma forse non avrei pensato la stessa cosa se durante l’adolescenza — e la cosa è realistica, Rosalind Miles ha pubblicato il libro in originale nel 1988 — mi fosse capitato tra le mani questo straordinario (leggi: fuori dall’ordinario) volume dedicato alla storia sommersa del sesso «debole». L’idea romantica di sesso debole sarebbe crollata davanti alle «legioni di donne che in Egitto costruirono le piramidi, in Lidia fecero i muratori nei templi, come notava Erodoto, in Birmania aprivano canali e in Cina trasportavano cumuli di terra. Sul confine russo d’Europa e in tutto l’Oriente. Il facchinaggio, anche di pesi assolutamente eccezionali, come la roccia circa 150 chili portata a spalla da una donna eschimese, era a tutti gli effetti un lavoro di pertinenza femminile. Uno sbalordito missionario presso i curdi osservò una donna che non riusciva a far proseguire un asino stracarico; la donna allora non fece altro che prendere sulle spalle la soma per far ripartire l’asino, ma il problema era che già portava un carico di una cinquantina di chili, mentre in aggiunta filava tenendo il fuso nella mano libera».
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Forse conoscendo questo lato della storia, ci si sorprenderebbe meno davanti alla forza delle donne; anzi, forse la loro forza non sarebbe più vista come eccezione, qualcosa di cui stupirsi.
Ma come si è arrivate da dee, della preistoria, a casalinghe impasticcate e ubriache, dell’era contemporanea?
È questo il percorso che Rosalind Miles intraprende: una ricostruzione attenta e ben documentata di come i giochi di potere tra i generi abbiano deformato la percezione del sé durante la storia dell’umanità. Se agli inizi, la donna era dea poiché solo lei poteva riprodursi – autoriprodursi, dato che non si conosceva l’importanza del contributo maschile nel concepimento –, è diventata poi «sacco di escrementi», come la decantava Oddone di Cluny, oppure un essere meno che umana, come per Lutero, il quale affermava che «una donna non è mai davvero la padrona di se stessa. Dio formò il suo corpo perché appartenesse a un uomo, perché avesse figli e li allevasse». E tale rimase a lungo, tale è ora. Lo si percepisce nella discriminazione salariale, nelle opportunità di crescita sociale, nella questione della maternità, specie nei paesi in cui il congedo paternale è ancora solo un’opzione a libera scelta da parte del lavoratore. Lo si nota nei momenti in cui le donne vengono definite femministe con l’intenzione di offendere, di catalogarle come ripugnanti per definizione. «Sacco di escrementi»?
Ma questa discrepanza, tra uomini e donne, nella grande narrativa della cultura umana, la si percepisce nella sfera sessuale. Oltre alla grande tolleranza nei confronti del lesbismo da parte della cultura patriarcale – un modo per impratichirsi con l’arte, per poi usarla col marito; abitudine poco condannata – e di contro la ripugnanza della omosessualità, la discrepanza a cui si accennava – e che Miles sviscera nel dettaglio – la si osserva soprattutto nella convinzione che gli uomini siano gli unici animali a fare sesso per il solo piacere. Gli altri, gli animali tout court, vi si dedicano solo ai fini della riproduzione. Se ci si sofferma un istante e si riflette su questa frase triviale, si osserva che essa è rimasta vera solo per gli uomini per lungo tempo; si è estesa (e non ancora in modo globale) anche alle donne nel momento in cui sono stati introdotti i metodi contraccettivi. Eppure con quanta diffidenza si guarda ancora questa pratica. Quanto poco è progredita la conoscenza in merito ai metodi contraccettivi? Quante gravidanze extrauterine mettono ancora in pericolo la vita delle donne che scelgono la «spirale», lo IUD, sviluppato nei laboratori degli anni Venti?
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Chi ha cucinato l’ultima cena? Storia femminile del mondo in qualsiasi modo si voglia parlare di questo importante contributo è riduttivo: va letto. Riletto. Discusso. Riletto. Offerto in lettura alle giovani donne e ai giovani uomini perché non si può raggiungere alcuna sintesi senza un’educazione condivisa.
Per la prima foto, copyright: Sarah Cervantes su Unsplash.
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