Chi è senza peccato, tra Trump e l’Ue?
Siamo davvero così convinti che l’Ue possa permettersi di criticare le politiche migratorie di Trump? Siamo un continente senza peccato? O non siamo, forse, quella congrega di Stati che innalzano muri al proprio interno (anche ideali) e subappaltano la raccolta dei migranti politici a un figuro in odore di dittatura che si chiama Erdogan?
Fa sorridere la levata di scudi contro la chiusura delle frontiere di Trump e contro la minaccia di un muro tra Usa e Messico, perché proviene da chi, nel Novecento e nell’ultimo decennio, ha diviso città in due (come Berlino) e ha aumentato la rissosità interna a danno dei migranti e perfino dei residenti da secoli (come nelle scelte di Orban contro i Rom).
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Siamo alla consueta ipocrisia europea, che pretende di dar lezioni e di far la morale dove è più manchevole. L’Ue dovrebbe modificare in senso accogliente Schengen, la cui sospensione ha davvero ingigantito la xenofobia intraeuropea, a danno di tutti i profughi, di qualunque provenienza, e di tutti i cosiddetti migranti economici (grande invenzione statistica europea, appunto).
Dividendo i migranti in segmenti, si asseconda la diffusione di un sentimento bianco di superiorità, lo stesso che è alla base dell’ascesa di Trump. Un sentimento assopito, ora risvegliato dai secoli nei quali era stato ricacciato (come bene ci ha spiegato di recente Guido Caldiron nel suo libro Wasp. L'America razzista dal Ku Klux Klan a Donald Trump, edito da Fandango e dedicato appunto al neoeletto presidente statunitense e alle origini culturali e politiche del suo pensiero) e servito sul piatto d’argento per la vittoria dei populismi razzisti di mezzo mondo occidentale.
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Di fronte a questa avanzata di disvalori, l’Ue dovrebbe subito mettere in campo una politica di inclusione sociale totale, garantendo a tutti il soggiorno e i diritti di convivenza. Altrimenti verrà schiacciata dalla pressante triangolazione autocratica che vede, ai vertici, Putin, Trump ed Erdogan. L’Ue deve farlo per dare un segnale di civiltà al mondo intero.
E invece si chiude, si adonta di quel che avviene negli Usa e non fa autocritica delle scelte fatte (lo sgombero del Jungle di Calais, i Cara e i Cie, i finanziamenti a Erdogan per la politica della porta girevole, il sostegno al brutale governo libico, i rapporti con il dittatore Al Sisi, l’assassinio di Regeni, eccetera). Tutte cose che si pagano, che costano vite umane, perché gli attentati del Daesh sono una reazione a questo modo scomposto di reagire alla globalizzazione.
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Ora se l’Ue vuole essere il centro di irradiazione della solarità democratica per illuminare di nuovo il globo con le sue idee e le sue pratiche, deve aprire, aprirsi, rendersi una porta verso il futuro, in uno slancio ideale verso la civiltà del nuovo millennio. Altrimenti, tra Trump e l’Ue nessuno sarà senza peccato.
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