Chi è Hegel? “La notte negli occhi” di Francesco Baucia
Georg Wilhem Friedrich Hegel. Semplicemente Hegel: nella pronuncia, dicono i tedeschi, oltre a far risuonare la h, bisogna addolcire la e, aggiungendo una lieve i. Insomma, di Hegel è difficile persino pronunciare il nome. Coglierne la filosofia, quella idea dello spirito assoluto che si concretizza nella storia, che si muove ciclicamente coinvolgendo il piano simbolico e ideologico e creando quindi modelli… resta spesso un enigma. Specie per chi, finite le superiori, si dedica ad altro e non alla filosofia.
Eppure è proprio nella vita di questo grandissimo pensatore dell’Ottocento che si annida la vicenda narrata nel romanzo di Francesco Baucia, La notte negli occhi, uscito per Lindau.
Non si sa sin da principio che il viaggio per mari, che mette a dura prova il cercatore di uomini, la cui prospettiva è anche quella del narratore, ci farà piombare nella vita privata di Hegel. Dai banchi del liceo, mi immaginavo – un po’ come per lo stesso Kant e Nietzsche – che il filosofo di Stoccarda fosse solo ed esclusivamente cervello, concetti, sillogismi e deduzioni sui massimi sistemi, quindi privo di una vita privata. Quando si vive proiettati altrove, tra le pieghe dei misteri dell’esistenza, a cosa serve il calore di una casa? Invece, serve e anche Hegel è stato padre. Non solo.
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Il medico in viaggio, assoldato da Hegel, ha solcato i mari per raggiungere Giava e mettersi sulle tracce del giovane Ludwig. Dalle informazioni in suo possesso, dovrebbe prestare servizio per gli olandesi, come soldato, ma non è più così. Ha lasciato la giungla inospitale, assieme a una chitarra in custodia presso il comando, e si è ritirato nella città.
Non è la sua ricerca il fulcro del romanzo. Per trovarlo, il medico impiega davvero poco. Ludwig giace su un letto, trema, il sudore gli imperla la fronte, per dissetarlo, una donna anziana, gli poggia sulle labbra un panno imbevuto d’acqua. Sta morendo. Il medico è abituato alla morte, sa riconoscerla, come sa riconoscere il desiderio di sopravvivere di chi, in verità, sta per soccombere. Ludwig si lascia consolare. Ci crede quando il medico gli dice che farà il possibile per salvarlo. Forse è a causa di questa sicurezza, di questo gioco di fidarsi e affidarsi che Ludwig si apre e racconta, e integra così quello che già il padre aveva anticipato quando ha chiesto i servigi al cercatore di uomini.
Hegel, prima della vita fortunata a Berlino, ne ha vissuta un’altra, meno fortunata. Si era invaghito della sua governate e con lei aveva avuto un figlio. Ludwig. Di quella vita sfortunata, Hegel mantiene soltanto il rimorso, specie quando pensa a suo figlio. Lo ha abbandonato per inseguire se stesso, le proprie ambizioni, il proprio destino.
Il ragazzo ha vissuto una vita difficile. La madre ha avuto altri figli, un’altra vita; anche lei. Lui, invece, è cresciuto in un collegio, privato di ogni concetto di calore familiare. A rendere la vita più semplice, sopraggiunge un’amicizia. Wilhelm. Un salvatore? Un carceriere? Ecco la prima domanda che sorge nel momento in cui il medico ritrova Ludwig e questi riconosce la chitarra che il primo stringe tra le mani, l’unico oggetto personale del ragazzo registrato presso il comando. Sono misteriose le parole del giovane, come misterioso diventa il legame che intrattiene con Wilhelm, le aspettative che ha nei confronti di questo, il timore che si percepisce nelle poche frasi iniziali.
Chi è Wilhelm?
Per capirlo fino in fondo, occorre leggere l’intero romanzo, lasciarsi trascinare nel tempo, quando poteva succedere facilmente che si odiassero i francesi, quando l’Europa si fece prendere dal fascino dell’esplorazione dei mari e degli oceani, quando le isole del Pacifico sembravano appartenere di diritto a chi le conquistava.
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Dal punto di vista stilistico, La notte negli occhi di Francesco Baucia richiede pazienza; a tratti, a una possibile tavolozza di rosa, arancio, giallo delle emozioni dei personaggi, la narrazione predilige esibire una scala di blu, azzurro, turchese di concetti che si traducono in pennellate dai toni freddi. La scelta linguistica, d’altro canto, dona un’originalità prorompente al romanzo e un sorriso di soddisfazione a quei lettori che a un libro chiedono un incontro che lasci il segno anche dal punto di vista lessicale.
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