Che cos’è la traduzione secondo Vladimir Nabokov
«Chi desidera tradurre in un'altra lingua un capolavoro letterario, ha un unico dovere da rispettare: riprodurre con assoluta esattezza l'intero testo, e nient'altro che il testo. Il termine “traduzione letterale” è tautologico dal momento che qualsiasi altra cosa non è una vera traduzione ma un'imitazione, un adattamento o una parodia.»
L'attività di Vladimir Nabokov, autore che ritengo superfluo presentare, si dispiegava in tre ambiti: scrittura, entomologia e traduzione. Nella collana fondata da Emilio Mattioli che tanta cura e attenzione aveva dedicato alle questioni riguardanti la traduzione, curata ora da Antonio Lavieri, docente universitario traduttologo e traduttore lui stesso, Mucchi Editore ha appena pubblicato la raccolta dei testi inglesi (tradotti in italiano), in cui Vladimir Nabokov dispiega le sue teorie sulla traduzione. Il volume riunisce per la prima volta gli otto testi di Nabokov, e comprende anche l'articolo del critico letterario americano Edmund Wilson, imprescindibile per comprendere la risposta del nostro autore. Il titolo Traduzioni pericolose si riferisce probabilmente al clamore suscitato dalle idee di Nabokov, e alla fine dell'amicizia fra lui e Wilson a causa delle loro divergenze di vedute (e non solo), esplose intorno alla traduzione di Onegin. Il volume è curato dalla traduttrice e ricercatrice Chiara Montini, docente di letteratura francese e studiosa di genetica testuale, multilinguismo e traduzione. Chiara Montini è anche l'autrice della lineare e imprescindibile introduzione ai testi nabovokiani che permette al lettore di orientarsi fra gli articoli esponendone le premesse e offrendone un preciso sommario.
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Vladimir Nabokov vaticinava di entrare nel Gotha dei letterati immortali con due opere: Lolita e la sua traduzione di Eugenio Onegin di Puškin. Con due storie di abusi quindi, la prima su una minorenne, la seconda in quanto la traduzione in sé è considerata un abuso sul testo originale. Lolita oggi è reputato uno dei capolavori della letteratura mondiale, mentre la traduzione di Eugenio Onegin (in seguito EO) seppure periodicamente ripubblicata, è ritenuta ormai solo un testo di interesse culturale e di studio.
Trilingue – inglese, russo e francese – si può dire dalla nascita, Nabokov inizia a tradurre all'età di sette anni. Traduce Colas Breugnon di Romain Rolland, Alice in Wonderland di Lewis Carroll, poeti francesi e inglesi fra i più grandi, tutto in russo, come anche i suoi primi romanzi e racconti nascono in russo sotto lo pseudonimo di Vladimir Sirin. Comincia a tradurre dal russo all'inglese nel 1940 quando, approdato in America, inizia a insegnare letteratura all'università e le traduzioni già disponibili di certi classici russi non lo soddisfano. EO sarà la sua ultima traduzione, di cui la prima edizione uscirà nel 1964, la seconda, da lui riveduta, undici anni più tardi, nel 1975. In seguito collaborerà solo alla traduzione delle proprie opere con traduttori selezionati, rigorosamente di sesso maschile, perché «sono dichiaratamente omosessuale in materia di traduttori».
Nabokov affronta EO riesumando il principio della letteralità, della assoluta fedeltà al testo, che per la traduttologia moderna palesa il fallimento del traduttore, e per giunta richiede note in abbondanza. Ne scaturisce un'opera di un’inaudita voluminosità: quattro volumi, millecinquecento pagine che nega la “scorrevolezza”, criterio oggi fondamentale, e aborrisce la teoria diffusa, secondo la quale una buona traduzione è quella che non presenta le tracce del trapianto da una lingua all'altra. «Non ha tutti i torti Wilson quando afferma che nella sua traduzione di EO, Nabokov impedisce a se stesso “di dare libero sfogo alle sue capacità”», asserisce difatti Chiara Montini nella sua Prefazione. Dalla grande varietà di temi toccati provo a estrapolare qualche cenno andando di capitolo in capitolo. Il primo riporta L'arte della traduzione. Testi e poesie del 1941, e ne cito un passaggio che ho trovato particolarmente indicativo sulla figura del traduttore auspicata dal nostro Nabokov.
«A parte gli emeriti imbroglioni, i benevoli imbecilli e i poeti impotenti, esistono, grossomodo, tre tipi di traduttori. Questo non ha nulla a che vedere con le mie tre categorie del male – ignoranza, omissione, adattamento – anche se chiunque rientri in una delle tre tipologie può commettere errori simili. I tre tipi sono: lo studioso che desidera ardentemente che il mondo possa apprezzare quanto lui le opere di un ignoto genio; la scribacchina dalle buone intenzioni; e lo scrittore professionista che si rilassa in compagnia di un confratello straniero. Possiamo dedurre ora i requisiti che deve possedere un traduttore per poter fornire una versione ideale di un capolavoro straniero. Prima di tutto, deve avere altrettanto talento dell'autore che sceglie, o per lo meno lo stesso tipo di talento dell'autore che sceglie... Come secondo requisito, occorre una conoscenza perfetta delle due nazioni e delle due lingue e una dimestichezza perfetta dei dettagli che si riferiscono al comportamento e ai metodi del suo autore anche al contesto sociale delle parole, ai loro usi, alla storia e alle associazioni con l'epoca. E questo ci porta al terzo punto: oltre al genio e alla conoscenza il traduttore deve possedere il dono dell'imitazione ed essere capace di recitare, per così dire, la parte del vero autore impersonandone i vezzi di comportamento e di linguaggio, i modi di fare e i pensieri, con il massimo grado di verosimiglianza.»
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Questo capitolo comprende anche i versi ironici, impietosi, eppure non privi di sensibilità, ai quali Nabokov dà il titolo Pietà per il grigio traduttore, scritti nel 1952.
Molto ingegnosa la sua metafora della traduzione come movimento a V: «giù per uno stelo e su per un altro. Questa è vera traduzione.» Il vero traduttore «dovrebbe ricevere somme principesche per il suo lavoro. Svarioni e cantonate dovrebbero essere puniti con multe salate; riaggiustamenti e omissioni coi ceppi.»
Il secondo capitolo si occupa dei problemi di traduzione dell'Onegin in inglese ed esordisce con la pertinente, splendida poesia tradotta da Enzo Siciliano per il volume Poesie pubblicato nel 1962 per Il Saggiatore. Anche in questo testo, scritto nel 1954 e pubblicato per la prima volta nel 1955, Nabokov esprime la sua totale disapprovazione della cosiddetta “scorrevolezza” come pregio di una traduzione. La sua idea di onestà nel tradurre EO prevede una traduzione non in rima, perché impossibile, corredata però con note esaustive e il senso assolutamente letterale del poema. Espone il minuzioso elenco dei problemi incontrati, andando a fondo in ogni anche trascurabile dettaglio.
Il terzo testo del volume è la prefazione a A Hero of Our Time.
«Il lettore inglese dovrebbe essere consapevole che lo stile della prosa di Lermontov in russo è inelegante, è secco e scialbo, è lo strumento di un giovane energico, incredibilmente dotato, veementemente onesto, ma inequivocabilmente inesperto. Il traduttore deve restituirlo fedelmente, per quanto possa essere tentato di compensare le mancanze ed eliminare le ridondanze.»
Il cammino servile. Ancora sulla traduzione di Onegin in inglese a lavoro concluso è il titolo del quarto capitolo, mentre il quinto, del 1964, si intitola Smartellando il clavicordo ed è la bocciatura della traduzione di EO da parte di Walter Arndt. Sono pagine e pagine di meticolose contestazioni di una traduzione acclamata dalla critica e vincitrice della metà del premio di traduzione Bollingen a Yale nel 1963. Nabokov la giudica invece il prodotto di ignoranza e presunzione.
Il sesto testo è Prefazione a Eugene Onegin, del 1964, il settimo è l'articolo del 1966 intitolato Risposta ai miei critici. Nabokov non ha mai reagito alle recensioni, positive o negative che fossero, dei suoi romanzi. «Se invece le critiche ostili non si rivolgono a quegli atti di fantasia, ma a un'opera di riferimento concreta come la mia traduzione annotata di EO, allora entrano in gioco altre considerazioni. Contrariamente ai miei romanzi, EO possiede un risvolto etico, elementi morali e umani. Riflette l'onestà o la disonestà, l'abilità o la negligenza di chi l'ha compilato. Se mi viene dato del cattivo poeta, sorrido; ma se invece mi viene dato dello studioso mediocre, allungo il braccio verso il mio dizionario più grosso.»
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L'articolo è una riposta molto articolata e piuttosto polemica a Lo strano caso di Puškin e Nabokov di Edmund Wilson, apparso su «The New York Reviews of Books» nel 1965, che nel nostro libro è riportato in appendice. Uno dei più importanti critici letterari americani, Wilson era stato il mentore di Nabokov al suo arrivo negli Stati Uniti, e i due per un quarto di secolo avevano coltivato un'amicizia che si può definire stretta. Tuttavia, per motivi indipendenti dalla traduzione di EO, covava già della brace sotto la cenere. Lo scambio che non risparmia colpi anche bassi segna la fine dell'amicizia, come racconta Alex Beam in The Feud. Vladimir Nabokov, Edmund Wilson, and the End of a Beautiful Friendship (Pantheon Books, 2016).
L'ultimo, l'ottavo articolo, Sull'adattamento, del 1969, verte sulla traduzione letterale di una bella poesia di Mandelštam, pubblicata in una raccolta di Olga Carlisle Poets on Street Corners.
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Questa pubblicazione rivolta principalmente a chi si occupa di traduttologia, aggiunge documenti fondamentali tradotti in italiano per la prima volta sui principi e sui sistemi che hanno guidato Vladimir Nabokov nelle sue traduzioni. Rappresentano un certo interesse anche per chi voglia solo integrare il quadro del Nabokov scrittore, perché in essi lui dà voce ai suoi gusti letterari spesso sorprendenti, e perché i suoi testi offrono un ricco contributo alla conoscenza della letteratura e della scrittura in generale.
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