Che cos’è il terrorismo islamico e da dove nasce. Due saggi a confronto
Che cos’è il terrorismo islamico? Da dove nasce? Due studi diversi tra loro, ma complementari, aiutano a rispondere a queste domande: il primo è La guerra alla fine dei tempi – Cosa vuole davvero l’ISIS del saggista americano Graeme Wood (edito da Mondadori, nella traduzione di M. Faimali e T. Albanese) e il secondo è Generazione ISIS – Chi sono i giovani che scelgono il Califfato e perché combattono l’Occidente del politologo francese Olivier Roy (edito da Feltrinelli, nella traduzione di M. Guareschi).
«Uccisioni, schiavitù, amputazioni, credi che sia troppo? Lo stesso Profeta disse che il popolo non sarebbe stato d’accordo, ma questa è una guerra e non siamo stati noi a volerla. Non facciamo tutto questo perché vogliamo il vostro male, anzi lo facciamo per offrirvi qualcosa” fece una pausa, rivolse i palmi verso il cielo in segno d’offerta e poi continuò: “Il Giorno del Giudizio è vicino e noi vogliamo che tutti gli esseri umani vadano in paradiso, l’Islam non è una religione avara: vogliamo vedervi tutti laggiù con noi».
Così risponde Abu Aisha, un membro dei Profetens Ummah (la Comunità del Profeta) alle domande di Graeme Wood.
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Lo scopo dello Stato Islamico è una guerra di civilizzazione totale che punta alla morte di milioni di persone bruciate vive, crocifisse, decapitate o uccise con un solo colpo alla nuca, a causa di una disputa inconciliabile sulla natura di Dio.
La guerra alla fine dei tempi indaga e ricostruisce politicamente e storicamente la mentalità che sorregge il terrorismo islamico.
Si usano molti termini per nominare lo Stato Islamico: ISIL acronimo di Stato Islamico di Iraq e Levante; ISIS acronimo di Stato Islamico di Iraq e Sham (il termine arabo che indica Levante); gli oppositori dello Stato Islamico di lingua araba lo chiamano Daesh oDa’ish che in realtà è anche un gioco di suoni che richiama le parole offensive “calpestare” e “rozzo”. I capi dell’ISIS prevedono, per chi pronuncia questo termine, una punizione che va da una serie di frustate fino al taglio della lingua.
Ci sono altri modi per chiamare l’ISIS: al-Dawla (lo Stato) e al-Khilafa (il califfato). Questi ultimi termini sono molto accettati dai sostenitori dello Stato Islamico perché l’entità nota come ISIS o ISIL si è dissolta con la proclamazione del califfato nel giugno del 2014, ed è diventata lo Stato Islamico.
I due saggi nascono su territori diversi e usano una messa a fuoco talvolta opposta. Il lavoro di Graeme Wood parte da una domanda posta nel 2004 dopo un’esplosione durante la guerra in Iraq: «Che cosa c’è nella mente di un uomo che si fa esplodere per uccidere?»
Graeme Wood, raccontando di Hesham Elashry, un sarto del Cairo che aveva vissuto lungamente a New York, vuole affermare che le tendenze jihadiste appaiono nelle realtà dei musulmani impegnati politicamente anche prima che si fosse formato uno Stato islamico da sostenere.
Sia le persone come Hesham Elashry sia lo Stato Islamico aderiscono a un’ampia categoria di interpretazione e pratica islamica nota come “salafismo”. Il termine viene dall’arabo al-salaf al-salih (i pii antenati) che si riferisce alle prime tre generazioni di musulmani. Tutti i musulmani sunniti professano di venerare questi primi musulmani e di assumerli, dopo Maometto, come modelli di comportamento. Il motivo di tale rispetto è un detto del Profeta: «La parte migliore della comunità è la mia generazione, quelli che la seguono e quelli che seguono quest’ultimi».
I salafiti prendono il Corano, l’esempio del Profeta e le azioni e credenze di questi uomini e donne come fonti primarie di autorità religiosa, rifiutando le opinioni di molti dei musulmani venuti dopo.
Nel riportare in auge lo stile di vita dei salaf, tendono a vedere il mondo attuale come un mondo in decadenza, e la maggioranza dei musulmani, cioè quelli che non sono salafiti, è in errore, perché ha modificato o modernizzato la fede rispetto ai suoi esordi perfetti. I salafiti disprezzano soprattutto i sufi e gli sciiti: entrambi, secondo loro, sono colpevoli di shirk (idolatria) per le loro pratiche innovative, in particolare la venerazione dei santi e la costruzione di santuari. Il primo obiettivo dei salafiti è espiare il peccato liberando il mondo da queste innovazioni, e alcuni di loro sono stati disposti a farlo con la forza come Osama bin Laden e il leader dello Stato Islamico Abu Bakr al-Baghdadi, entrambi jihadisti-salafiti. Poiché il Profeta e i suoi seguaci vivevano in un periodo di conquista militare, il loro esempio storico offre ai jihadisti moderni un valido precedente per l’uso della violenza.
Prendere a modello il Profeta e i suoi seguaci, tuttavia, non significa per forza abbracciare la violenza, così come combattere nel nome dell’Islam non significa per forza essere salafiti(1). Inoltre il salafismo è la religione di Stato dell’Arabia Saudita dove è strumento di devozione e sottomissione del popolo.
Numerosa, invece, è la schiera a cui appartengono quelli come Hesham Elashry e Abu Bakr al-Baghdadi che ritiene che resistere con la violenza a un ordine politico infedele sia una virtù e un obbligo. Il nome di questa resistenza è jihad.
I combattenti dell’ISIS
Oltre alle persone come Hesham che sono musulmani nati e poi divenuti sostenitori dello Stato Islamico, Graeme Wood incontra, intervista e studia i convertiti all’Islam che poi si sono arruolati nelle milizie dell’ISIS. Cerca di ricostruire una psicologia o una tipologia unica ma questo si vedrà che non è possibile.
I capitoli dedicati a due pericolosi jihadisti, Musa Cerantonio, australiano di origini italiane, e Yahya Georgelas, americano del Texas, sono ricchi di notizie e di conoscenze sugli usi e costumi dello Stato Islamico.
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La ricerca di Graeme Wood è partita dall’analisi dei loro profili su Facebook e su Twitter e delle loro migliaia di follower. Sia Musa che Yahya erano autodidatti, ostentavano sicurezza di sé e avevano un’incredibile conoscenza dei testi sacri. Musa appariva spesso sul canale Iqraa TV e nei suoi interventi mostrava una visione binaria e totalizzante del mondo.
Yahya lavorava per la rivista jihadista online «Dabiq». Le sue grandi capacità tecnologiche e la sua padronanza della dottrina dello Stato Islamico lo hanno reso pericoloso e molto vicino ai capi del gruppo: Yahya è stato il principale polemista anglofono dello Stato Islamico.
Se Graeme Wood vede nella radicalizzazione dell’Islam la causa dell’ISIS, Olivier Roy individua invece la causa del terrorismo islamico nell’islamizzazione del radicalismo.
Per affermare questo, in Generazione ISIS – Chi sono i giovani che scelgono il Califfato e perché combattono l’Occidente, fa un’analisi sociologica e storica del terrorismo.
I giovani, arruolatisi nell’ISIS, studiati da Roy sono diversi da quelli di cui ci parla Graeme Wood. Non hanno conoscenza del Corano e frequentano raramente le moschee.
Olivier Roy studia gli attentati di Parigi, Bruxelles e Londra: i terroristi sono tutti giovani nati e cresciuti in Europa e la causa delle loro azioni violente non è nell’integralismo islamico ma nella spaccatura generazionale e nel nuovo disagio giovanile particolarmente profondo. L’ISIS, secondo il politologo francese, è solo un pretesto.
L’islamizzazione del radicalismo è un fenomeno che riguarda i giovani musulmani di terza generazione e alcuni convertiti; la loro ostilità verso la cultura dei genitori e della società occidentale in cui sono nati è nichilista e violenta e solo dopo diviene scontro religioso.
“Noi amiamo la morte, voi amate la vita”
La violenza terrorista e jihadista che si è sviluppata negli ultimi vent’anni mostra una modernità. Né il terrorismo né la jihad sono fenomeni nuovi. Suscitare terrore colpendo indifferentemente obiettivi altamente simbolici o civili innocenti – azioni che Olivier Roy chiama forme del terrorismo globalizzato – hannoiniziato a manifestarsi alla fine del XIX secolo con gli attentati anarchici per culminare con la prima forma di terrorismo globale simultaneo, negli anni Settanta, realizzata dall’alleanza fra la “Banda” Baader-Meinhof, l’estrema sinistra palestinese e l’Armata rossa giapponese. La jihad, trovandosi nel Corano, riemerge costantemente nel mondo musulmano, in particolare nel termine moudjahid, fatto proprio da una serie di movimenti, dal Fronte di liberazione popolare algerino alla resistenza afghana.
L’elemento di novità, invece, risiede nell’associazione di jihadismo e terrorismo con la ricerca deliberata della morte.
Da Kaled Kelkal nel 1995 alla strage del Bataclan del 2015, tutti i terroristi si fanno esplodere o uccidere dalla polizia senza tentare la fuga. David Vallat, un convertito legato a Kaled Kelkal nella sua testimonianza dice: “«La regola è di non farsi prendere vivi. Kelkal quando vede i gendarmi sa che morirà, vuole morire». Una ventina d’anni dopo i fratelli Kouachi agiranno alla stessa maniera.
L’Apocalisse secondo l’ISIS
Olivier Roy legge nel giovane terrorista che si fa esplodere e nell’imminente apocalisse tanto decantata dall’ISIS una fascinazione della morte. Non c’è utopia nell’ISIS, non si crede in un futuro radioso, ma la prospettiva è solo guerra, morte e giudizio finale prima per se stessi e poi per tutta l’umanità.
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Talvolta i media tentano di farci vedere nell’Islam l’ideologia che mobilita le masse del mondo musulmano come il nazismo aveva saputo mobilitare gran parte della popolazione tedesca. Pensare che l’ISIS possa federare l’Islam mondiale contro l’Occidente èpura fantasia.
Olivier Roy conclude il suo Generazione ISIS con alcuni suggerimenti sociologici da adottare nelle periferie delle grandi metropoli europee.
La guerra alla fine dei tempi – Cosa vuole davvero l’ISIS” di Graeme Wood e Generazione ISIS di Olivier Roy guardano il terrorismo islamico spesso da punti di vista totalmente lontani, perché distanti sono, anche storicamente parlando, gli Stati Uniti dall’Europa nel modo di vivere la realtà araba e musulmana. Entrambi comunque offrono spunti interessanti su che cos’è il terrorismo islamico e sulle sue origini.
(1) Si veda infatti la violenza dei sufi in Cecenia e in Libia.
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