Che cos’è il fix-up? Quando la narrativa non è né romanzo né racconto
Che cos’è il fix-up? Per farsi un’idea iniziale, consideriamolo come un genere della narrativa a metà tra il racconto e il romanzo.
Prima di dare una definizione, ricordiamo che molti grandi autori hanno utilizzato il fix-up, soprattutto nella fantascienza, pensiamo ad Asimov, con la prima trilogia della Fondazione, a Stephen King con L’ultimo cavaliere, che apre la saga della Torre Nera, a Cavie di Palahniuk, a Le città invisibili del nostro Calvino, che a ben guardare è proprio un fix-up, così come il recente Central station del pluripremiato Lavie Tidhar.
Fix-up significa giustapposizione, ma vediamo un esempio per chiarire le idee: immaginiamo di trovarci a una mostra di opere d’arte. Un trittico cattura la nostra attenzione, c’è un personaggio a noi caro raffigurato in tre momenti della sua vita. Vita, morte e miracoli di un santo, un eroe dei fumetti o del nostro tempo. Il trittico, nella nostra analogia, è il romanzo, sui dettagli ci soffermeremo più avanti. Nella stessa mostra c’è una retrospettiva su un’artista che volevamo approfondire. Entriamo nella sala e troviamo i vari passaggi dell’evoluzione artistica di quel pittore. Penso alle meravigliose esposizioni dei vari periodi di Picasso, per momenti della sua vita (dall’iperrealismo giovanile al cubismo) o per campo artistico (pittura, scultura, etc). La retrospettiva è la raccolta di racconti, e vedremo perché. L’ultimo elemento dell’analogia è composto da due quadri, nel primo è raffigurato un arco e nel secondo una freccia che colpisce il bersaglio. Le due opere, insieme, comunicano la chiara giustapposizione artistica che amplifica il preciso significato di ciascuna. Questo accostamento è il fix-up.
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Il trittico rappresenta tre capitoli di un’unica storia, pensata per essere espressa in parti non autonome. La retrospettiva è formata da opere di diversa natura, per cui autonome, ma che insieme possono essere interpretate con un piano di lettura ulteriore; per esempio l’evoluzione artistica dell’autore o diversi modi di trattare un tema. In sintesi, i racconti sono autonomi ma discontinui nel senso, nello stile o in entrambi. Qui c’è il nodo gordiano della questione: chi non distingue tra racconti e fix-up non coglie con precisione il senso o lo stile delle opere, perché non si tratta di usare o meno gli stessi personaggi, punti di vista o tematiche. Il fix-up in questo assomiglia di più al romanzo, perché presenta continuità di senso e di stile, a differenza dei racconti in una raccolta. È a tutti gli effetti un’unica opera d’arte, tal quale al romanzo, divisa non in capitoli ma in unità autonome non discontinue.
Un ultimo esempio per fugare ogni dubbio: il romanzo è come un processo in tribunale, per conoscere l’intera storia bisogna ascoltare tutte le parti, altrimenti si vanifica il senso del processo stesso. La raccolta di racconti è come un’associazione: unisce molte persone in un livello superiore (e.g. sport) che però non definisce i singoli membri, che a loro volta non definiscono l’associazione. Il fix-up è come un’organizzazione terroristica: ogni cellula è l’organizzazione.
La parola fix-up sta entrando nel gergo con i suoi tempi, per cui, quando lo si presenta in libreria, si rischia di non rendere chiaro al grande pubblico cosa ci potrebbe essere tra le pagine del nuovo acquisto. Per cui bisogna far capire che non si tratta di un romanzo, come verrebbe da pensare nell’associazione libro uguale romanzo, ma di un’opera divisa in porzioni di non così ampio respiro. Per ragioni editoriali, quindi, si giunge all’aberrazione di dover presentare come raccolta di racconti un fix-up, oppure stabilire un compromesso sintetico e dire solo “racconti”.
È un errore? Non proprio, è una distorsione del mercato dovuta al pubblico, a noi… Purtroppo, l’appiattimento del linguaggio porta a riassumere la narrativa (composta da sfumature variegate) in romanzo e, nei casi peggiori, il romanzo in libro. Si potrebbe anche pensare che, a forza di riassumere significati, la bellezza della narrativa s’indebolisca.
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È importante definire i termini perché un’opera d’arte si classifica anche grazie a elementi paratestuali come le etichette. Non è grave comunque un’etichetta di servizio, grave semmai sarebbe scadere in un’interpretazione spicciola, senza comprendere la natura dell’opera stessa. Se si viene a perdere la dimensione artistica (o semplicemente interpretativa) di un’opera, allora un testo vale l’altro ed è solo una perdita di tempo mettersi a disquisire sul genere di appartenenza. Un libro senza contesto non vuol dire niente, potrebbe trattarsi di un’autobiografia, di un romanzo o di un saggio e noi non lo sapremmo. Per arginare questa letteratura fatta di niente non bastano le etichette (seppur possano essere un valido strumento introduttivo) ma far riscoprire la bellezza della narrativa, in tutti i suoi aspetti.
In precedenza avevamo parlato, molto in generale, delle diverse impostazioni strutturali del romanzo e dei racconti. In realtà, la narrativa è un mondo infinito, tutto da scoprire. Che cos’è il fix-up lo abbiamo visto, se “i limiti del mio linguaggio sono i limiti del mio mondo” allora potremo finalmente riuscire a coglierne il fascino.
Per la prima foto, copyright: LUM3N su Unsplash.
Per la seconda foto, copyright: Aaron Burden su Unsplash.
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