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“Cecità” di José Saramago: l’assurdo come mezzo per raccontare la realtà

José Saramago, CecitàCecità è senza dubbio, uno dei romanzi più significativi dello scrittore portoghese José Saramago. Pubblicato nel 1995, arriva in Italia un anno dopo edito da Einaudi nella traduzione di Rita Desti, con un titolo che non rispetta del tutto la complessità di quello originale. Ensaio sobre a Cegueira (Saggio sulla Cecità), risulta sicuramente più congeniale all’intento di raccontare la cecità come condizione universale dell’uomo. La trama consiste, infatti, in un susseguirsi di eventi che non possono inscriversi in un contesto ben preciso, mettendo in luce questioni tutt’altro che “datate”. Al di là dell’assenza di una determinazione spazio-temporale è la cecità, proposta sotto forma di un’epidemia, a costituire il nucleo di una storia dai connotati assurdi. Ma in Saramago l’assurdo si traduce sempre nel mezzo più adeguato per raccontare la realtà nel suo aspetto più autentico, quello che è impossibile cogliere rimanendo ancorati a un modo classico di concepire l’esistenza.

In un mondo anonimo, si diffonde un’epidemia singolare che conduce alla cecità. Al pari di un’influenza, questa cecità “virale” passa da una persona all’altra molto velocemente, non anticipandosi tra l’altro con qualche sintomo riconoscibile. I contagiati si ritrovano a non vedere più nulla all’improvviso, lasciandosi alle spalle con grande frustrazione e incredulità, l’ultima immagine che hanno avuto davanti gli occhi. Ma le figure ben distinte, cui erano abituati, non sono sostituite da ombre confuse o oscurate da un buio che scende per bendarli, come si ci aspetterebbe in un romanzo dedicato alla cecità; è un biancore intenso, al contrario, ciò cui si trovano di fronte le vittime, costrette a vivere come se fossero sempre a contatto con una luce forte e invadente. A niente servono le misure prese dal governo, al fine di limitare la diffusione della malattia, perché tutti sono destinati a perdere la vista. Tutti eccetto la moglie di uno dei primi contagiati, una donna che mette a disposizione i propri occhi per aiutare alcuni ciechi a sopravvivere in una società distrutta, le cui caratteristiche ricordano uno scenario postbellico. L’ordine, che di solito si impone tra gli uomini per una pacifica convivenza, svela il proprio carattere artificioso dinanzi un’emergenza, la cui gravità richiederebbe la collaborazione e la coordinazione di tutti. Ognuno, invece, è preso da se stesso seguendo l’esempio di un governo, che sopraffatto dall’egoismo, abbandona quei principi, cui la politica dovrebbe attenersi per il bene della collettività. Lo spazio che era familiare fino a qualche tempo prima, si trasforma così in un ambiente da fiutare e conquistare secondo modalità primordiali.

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José SaramagoDalle questioni più esistenziali a quelle riguardanti la politica (che a volte sembrano coincidere), in Cecità è possibile ricavare molti spunti per delineare la discesa verso una degenerazione, che coinvolge il genere umano in tutte le sue espressioni.  Entro questa concezione la luce, elemento che si associa automaticamente alla possibilità di vedere, diventa un fattore controproducente al fine di risolvere un problema che si dà nell’uomo originariamente. Si perde così l’occasione, non solo di cogliere le “cose” che popolano il mondo, ma soprattutto le relazioni con l’altro, cristallizzate in un ideale mai messo in pratica.

Non è un caso che l’unico personaggio vedente, è quello di una donna che non si è lasciata accecare dall’egoismo, cui tutti sono sottomessi. È l’unica che vede, inoltre, perché ha sempre accettato la realtà anche laddove ne sarebbe derivato dolore e frustrazione, sapendo ogni volta elaborare una reazione controllata, frutto di una riflessione molto attenta. Ma anche questa donna dal ruolo unico non ha un nome proprio nel romanzo, associandosi da questo punto di vista agli altri personaggi, tutti privati da una denominazione precisa; con questo espediente Saramago non solo elimina un ulteriore elemento che potrebbe limitare il “saggio” a un’esperienza particolare, ma riesce a fare emergere personalità tra loro diverse, senza etichettarle con quei nomi che nulla hanno a che fare con quanto ogni uomo è veramente: «Dentro di noi c’è una cosa che non ha nome, e quella cosa è ciò che siamo».

Le pagine conclusive del romanzo risultano particolarmente interessanti. Saramago gioca con un finale che al contrario di quanto potrebbe sembrare, offre la possibilità di essere interpretato liberamente. In Cecità, infatti, si scopre una dinamica aperta in cui il lettore può inserirsi e recuperare, oltre l’assurdo, una parte di se stesso.

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