Catena Fiorello ci racconta “L’amore a due passi”
L’estate, si sa, è la stagione dell’amore e degli amori. Quello raccontato da Catena Fiorello ne L’amore a due passi (Giunti Editore) è speciale, questa volta. Al centro del romanzo vi sono i palpiti e i batticuori, non di due adolescenti alla prima cotta, ma di due adulti, vedovi e soli, che riscoprono il piacere – e la passione – dell’amore. Orlando Giglio e Marilena Moretti sono i protagonisti del nuovo romanzo della scrittrice siciliana (che ha pubblicato, per Baldini e Castoldi, Picciridda nel 2006, per Rizzoli Casca il mondo, casca la terra nel 2011, Dacci oggi il nostro pane quotidiano nel 2013 e Un padre è un padre nel 2014), in tour in queste settimane in tutta Italia. Entrambi abitano nel condominio di via Mancini, si conoscono da tempo: Orlando osserva le abitudini di Marilena, ma bisognerà attendere un improvviso contrattempo – due allarmi in piena notte – per cancellare i fantasmi del passato e lasciarsi andare definitivamente ai sentimenti che provano l’uno verso l’altra. Ma c’è un terzo protagonista, attraente quanto i primi due. È il Salento, la punta estrema della Puglia a giocare un ruolo determinante nello sviluppo della vicenda, con i suoi paesaggi mozzafiato, il suo mare, i suoi profumi, le sue feste colorate e piene di vita, come la notte della Taranta.
La prima domanda che le faccio riguarda la dedica di questo romanzo, fatta a sua mamma…
La dedica risponde a un motivo ben preciso. Non c’è attinenza con la trama, perché mia mamma è rimasta vedova molto presto, a 53 anni, e ha fatto la scelta di rimanere da sola, mentre Orlando e Marilena fanno l’opposto. Ho scelto di dedicarlo a lei perché, quando ha finito di leggere le bozze, mi ha detto che questo romanzo fa venire voglia di innamorarsi. Quindi, ho pensato che questo romanzo riesce a smuovere qualcosa anche in chi, evidentemente, la pensa diversamente.
In precedenza si era dedicata alla figura paterna…
Il padre è un ruolo che mi incuriosisce molto, così come il rapporto che noi costruiamo con i nostri genitori.
Lei ha scelto di parlare di amore fra due sessantenni, quasi un argomento tabù oggi, in tempi di reality di coppie disinibite sulla spiaggia…
Hai usato la parola giusta, “tabù”, perché oggi parlare di sentimenti veri, puliti, semplici è diventato un vero e proprio “tabù”. Ci vuole del coraggio ad andare controcorrente. Spiegatemi qual è la differenza dell’amore tra Orlando e Marilena e quello dei protagonisti di romanzi tipo After, Calendar Girl e via dicendo. Ormai mi sembra che dalle storie d’amore si voglia solo sesso sfrenato tra giovani. Ma dopo i cinquant’anni, forse, la gente non ha più voglia di fare l’amore? L’amore – lo sappiamo bene – è una questione di testa, ce lo hanno insegnato tante scrittrici del passato, come, ad esempio, Anaïs Nin. Quel genere di libri un tempo li avremmo chiamati “Harmony”.
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Oggi le case editrici te li spacciano come “letteratura erotica”. Ma “erotico” che? Buttano parole arrapanti qua e là, giusto per attirare l’attenzione. Evidentemente di sesso se ne pratica poco, visto che questi libri – da leggere sotto l’ombrellone – se ne vendono così tanti. C’è un appiattimento generale, un’omologazione nel racconto delle storie perché il genere tira. Un libro è diventato un sexy shop. Non ce l’ho con nessuno, ma sono rammaricata molto di questo atteggiamento in generale che sta rovinando il mercato. Per non parlare, poi, dei libri degli Youtuber, ragazzi che vengono usati per una stagione e via. Sembra che l’importante sia fare i soldi e non guardare alla qualità delle cose. Tutto qua.
Come costruisce le sue storie?
Non c’è niente di costruito o di prestabilito. Mi metto a casa mia, a Roma, e mi immergo totalmente nella scrittura, dalla mattina alla sera, isolandomi da tutto e da tutti, social network compresi.
Si sente soddisfatta di questo quinto lavoro?
Faccio una premessa, io sono sempre stata in ritardo con tutto, nelle scelte di vita come in quelle professionali. Mi sposo quest’anno, ad esempio, alla soglia dei cinquant’anni. Non ho mai fatto le cose con fretta, non ho mai sentito le pressioni addosso. È per questo che dico che ad oggi sono soddisfatta e che da grande mi piacerebbe fare la scrittrice e, perché no, anche la regista. Questa nuova idea è balenata nella mia mente grazie al produttore Francesco Pamphili che ha una grande esperienza nel settore e che ha fatto esordire molti talenti. Del resto, lo scrittore fa già un esercizio di regia quando scrive perché racconta a parole quello che il regista racconta per immagini, evidenziando le scene e i montaggi. Ora mi sto esercitando con brevi video al telefonino, e mi fido ciecamente dei suoi consigli. Sono contenta di come sta andando questo romanzo, la gente ti segue e dà conferme al lavoro che hai fatto. C’è stanchezza, ma anche tanta soddisfazione. Quando dico che da grande voglio fare la scrittrice, in realtà lancio una provocazione a una certa parte del mondo della scrittura italiana che si chiude nella propria torre d’avorio e che si prende troppo sul serio. Noi – chi scrive, intendo – siamo solo un mezzo, uno strumento in grado, si spera, di suscitare qualche domanda e di allietare, se possibile. Siamo puntini nell’universo, come tutti gli altri. Invece, in giro vedo troppi scrittori pronti a dispensare risposte. Nessuno di noi possiede il Verbo.
Quali sono i suoi punti di riferimento nella letteratura?
Anaïs Nin fece scandalo, a suo tempo, ha una storia ben precisa, era una scrittrice di razza. Da bambina non leggevo e non mi interessava niente, tranne le poesie che mia nonna leggeva nelle riviste in spiaggia. Un giorno, con una paghetta che mi regalò mia madre – cosa alquanto rara, visto che a casa eravamo tanti e c’era solo uno stipendio – comprai in cartolibreria un libro che mi piacque molto per la copertina e per il titolo Un giorno di felicità. Quel libro mi catturò così tanto che chiesi al negoziante di portarmene un altro: ciò che mi portò fu un tomo di oltre 500 pagine La famiglia Moskat. Fu così che entrai nel magico mondo di Isaac B. Singer che conosco nella sua opera omnia. Amo tutti gli scrittori ebrei che hanno un quid che li accomuna, li riconosci subito dal sarcasmo, dall’ironia pungente.
L’amore a due passiè una dichiarazione d’amore per la Puglia…
La Puglia è bella tutta, è spettacolare ovunque, come si fa a non amarla?
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