“Cartoni” di Michail Elizarov
Era da Il giocatore di Dostoevskij, nell'estate del 2010, che non mi cimentavo con la letteratura russa, anche se stiamo parlando di universi distanti anni luce, imparagonabili. Quello che mi piace dei russi, e in particolare del sopracitato Fëdor, è il realismo che si mischia perfettamente con la storia esaltando e non annoiando lo spettatore con banalità sulla vita quotidiana che possono soltanto appesantire la narrazione e non hanno la funzione di coinvolgere. Le vicende crescono e si muovono in ambienti riconoscibili, fattibili ma non scontati.
Per me, avvicinarmi ai sovietici significa anche avere dei riscontri evocativi dati dalla durezza di alcuni nomi che ti tagliano in due. Che straordinario effetto mi dà un personaggio chiamato Alesa Razium Arkadevic! Mi fa subito pensare al lato oscuro dell'uomo, solo con la “Z” tagliente che si trova in mezzo. Si badi bene che le mie considerazioni finora sono completamente soggettive. Le esperienze che facciamo ci fanno indossare occhiali con lenti diverse e questa sfumatura che ho descritto potrebbe essere frutto solamente di uno stereotipo infilatomi in testa a mia insaputa dai film americani anni '80 e '90 dove tre volte su quattro l'antagonista era un russo spietato pronto a far fuori Stallone o Schwarzenegger.
Parliamo invece di Elizarov. Si era reso noto al pubblico russo nel 2007, ed era poi stato pubblicato anche in Italia nel 2011, con Il bibliotecario. Nel 2010 questo scrittore, oggi trentanovenne, pubblica Cartoni che a primo impatto mi sembra un cocktail fra Il ragazzo della via Gluck, Arancia meccanica e Quei bravi ragazzi.
Non lo affermo in accezione negativa, ma sono semplicemente i primi tre accostamenti che mi vengono in mente. E non utilizzo l'accostamento ad altre storie a vanvera o come metro di giudizio, ma per esprimere la convinzione che ciò che ho letto mi puzza terribilmente di trito e ritrito. Si può essere originali anche raccontando il più classico dei “ménage à trois” amoroso, non ci si può nascondere dietro solamente alla diceria che vuole tutta l'arte già rivisitata in tutte le sue forme, senza possibilità per le nuove generazioni che potranno solo scopiazzare dai grandi classici.
Partiamo dalla storia: un ragazzo di campagna si trasferisce in città e viene a contatto con la degradazione morale dei suoi coetanei e ci sguazza, fra risse, truffe e alcool; d'un tratto, dopo una delle tante escursioni in cui una loro amica mostra il suo corpo nudo per chiedere in cambio soldi per il “cartone” che ha esposto a ignari passanti, viene catturato dalla polizia e inserito in un programma di rieducazione che sconvolgerà la sua vita da criminale in erba.
Capite ora le somiglianze che ho riscontrato? Parlo subito della cosa che mi è piaciuta, così mi posso concedere un finale senza peli sulla lingua.
Il metodo che viene utilizzato per il lavaggio del cervello del ragazzo è peculiare, ovvero la rappresentazione grafica (per l'appunto dei “cartoni”) da parte di un pedagogo, della sua esperienza come “vittima” della rieducazione, che ora sta praticando sul nostro protagonista, tramite il medesimo artificio video da parte di un pedagogo che a sua volta ha subito lo stesso trattamento ecc... (fino a creare un effetto matrioska e mai fu più azzeccato un binomio). L'immedesimazione del piccolo criminale arriva a tal punto che viene suggestionato, quando vengono mostrate immagini di eventi che ancora devono succedere. Anche nell'ultima parte del racconto ci sono momenti creati perfettamente per confondere il lettore e insinuare il dubbio che tutti gli eventi sino ad allora narrati siano frutto solo della mente deviata del giovane. Ovviamente, odiando gli spoiler, non farò nulla che possa farvi intendere il finale. Quello che invece scriverò saranno i difetti di questa pubblicazione.
La scrittura è un po' troppo superficiale e semplicistica, ma non è la pecca maggiore perché ciò potrebbe essere una conseguenza della traduzione e dell'impoverimento semantico ad essa legato. Quello su cui non transigo sono i focus narrativi sui quali l'autore si concentra senza un reale aiuto alla trama o alla ricerca della psicologia dei personaggi. In alcuni momenti mi sembrava di vedere quei film di serie Z in cui, per mancanza di budget, si fa affidamento su scene inutili o senza senso per arrivare a novanta minuti e spacciarlo per lungometraggio.
Un libro, Cartoni, che con la sola scena del filmato e della conversione dell'enfant terrible sarebbe stato più completo e godibile, senza fronzoli e senza perdite di attenzione. La sensazione che mi ha lasciato questo scrittore è la stessa che ho quando arrivo al dolce durante il pranzo di Natale della nonna: è tutta roba buona, ma adesso che sono pieno forse i sette antipasti non mi hanno fatto godere appieno l'arrosto con patate.
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