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Carlo Goldoni e il linguaggio per il teatro

Carlo Goldoni e il linguaggio per il teatroAutore prolifico e fine commediografo, Carlo Goldoni è sinonimo di “teatro”, di “commedia”, è l’aria nuova in quel teatro italiano che, a detta dello stesso Goldoni, a inizio Settecento non navigava in buone acque, e presentava, anzi, una situazione precaria se non disastrosa. Goldoni rivoluziona la commedia, in decadenza, e il teatro comico che, basandosi anche su canovacci classici latini e rinascimentali pur di tentare il rinnovamento, aveva invece solo allontanato ancor di più il pubblico. Nella visione goldoniana, la commedia non deve essere sempre e solo alla ricerca di un immediato successo seguendo i mutevoli gusti del pubblico, ma deve costruirsi lentamente, approfondire gli aspetti psicologici ed emozionali, conoscere le reazioni e le aspettative del pubblico, in un processo che, “illuministicamente”, rieduchi il pubblico.

E in questa fase di riforma, oltre alla scelta degli attori, all’allestimento scenico, alla stesura del testo, fondamentale diviene il linguaggio con cui dar voce allo spettacolo. Per Goldoni è centrale il nodo della comunicazione, e la scelta linguistica deve essere oculata, ponderata, proprio perché l’espressività del mondo teatrale si gioca sulla comunicazione orale diretta verso quel pubblico che egli cerca di riportare nei teatri, che è il riferimento del suo lavoro, che è composto non solo da differenti strati sociali, ma anche da diversi gusti. A tal proposito, prima che la rivoluzione goldoniana fosse compiuta, le compagnie avevano tentato il successo traducendo il teatro comico spagnolo e francese, ma una semplice traduzione non era sufficiente, poiché, come lo stesso Goldoni affermava, i gusti delle nazioni son diversi, così come lo sono i costumi e i linguaggi.

 

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Il linguaggio di cui necessita Goldoni non può essere fornito dalla tradizione letteraria né dalla lingua della corrente conversazione colta, in quanto nobili e dame parlano un dialetto italianizzato o un francese imperfetto. In aiuto dell’autore arriva allora la lingua della sua patria: il veneziano è, infatti, l’unico dialetto non colpito da squalifica culturale, utilizzato nel linguaggio anche colto, a uso degli amministratori, dei politici, e, addirittura, nelle discussioni orali di scienza e filosofia.

Carlo Goldoni e il linguaggio per il teatro

Il veneziano non è solo dialetto, con Goldoni acquista pienamente lo status di lingua, non è caricaturale ma specchio della società, lingua materna della vita stessa della società; prima ancora di essere storica, il linguaggio è per lui realtà psicologica-sociale, e indica sempre la spontaneità, il flusso del parlato naturale, qualcosa di vivo che è esterno alla tradizione letteraria, per la quale il commediografo non nutre alcuna sensazione di inferiorità.

Accanto al veneziano, Goldoni realizza il suo italiano teatrale con venetismi, lombardismi, francesismi, espressioni toscane, scelte anche auliche della lingua romanzesca e del melodramma, ricorrendo solitamente allo scritto non letterario, e dandogli in seguito la vitalità del parlato.

Quando scrive la prefazione alle Baruffe chiozzotte, egli sottolinea come il termine “baruffa” sia perfettamente uguale in chiozzotto, veneziano e toscano, non badando alla diacronia culturale dei tre dialetti, ma pareggiandoli tramite la sincronia del parlato.

Goldoni non oppone il dialetto alla lingua letteraria, come tradizionalmente si usa fare, ma li pone in posizione complementare: la lingua ha solo una maggior estensione quantitativa, ma la qualità appartiene a entrambi. E ciò che più caratterizza questo dialetto è il realismo: Goldoni riesce a dar vita a un particolare realismo linguistico, il dialetto si muove tra vari piani stilistici, si basa su una raffinata espressività, spesso presenta distacco tra forma grafica e fonica. Se ciò può creare qualche iniziale perplessità all’attore o al lettore, in seguito permette di muoversi agevolmente tra dialetto e lingua, permette più libertà stilistica, consente di passare con continuità dal dialetto più basso a quello più colto, a seconda dei momenti espressivi che lo spettacolo richiede e all’età dei personaggi che parlano. Questa variatio caratterizza tutti i lavori goldoniani, in particolare le commedie della maturità: I Rusteghi, La Casa nova, Sior Todero brontolon, Una delle ultime sere di Carnovale.

Tutte queste opere presentano un linguaggio compatto e differenziato, come si nota dai dialoghi prettamente borghesi e familiari di Una delle ultime sere di Carnovale: qui si trova il dialetto mercantile e artigiano, quello scherzoso e triviale, quello amoroso e più pudico, quello della gelosia, a seconda di coloro che parlano, dal “testor” alle “siore”. E così nei Rusteghi, dove le voci maschili usano un registro arcaico, appunto “rustego”, mentre quelle femminili uno più fresco e affettivo, o nella Casa nova, dove i registri sfumano e variano a seconda della condizione sociale.

Questo linguaggio tratteggia l’atmosfera in cui i personaggi si muovono, appartiene a tutti e a nessuno, caratterizza tutto ciò che avviene durante la rappresentazione, accompagna gesti, luci, eventi. Solo Goldoni è riuscito a creare questa condizione linguistica, fragile, mai fissata in un preciso paradigma, sempre nell’atto di “nascere”.

Non va dimenticato come questa lingua goldoniana sia di pieno effetto non solo sonoramente e lessicalmente, ma anche sintatticamente, poiché l’autore mette la sua personale abilità anche nella struttura della sintassi. Le caratteristiche linguistiche che più emergono da questa struttura sono l’asindeto, la paratassi, la povertà di subordinate, la struttura ipotattica; il tutto è poi finalizzato al dialogo, con abbondanza di deittici e interiettivi, con una messa in rilievo isolante che si avvicina alla sintassi francese, basando la logica più sull’intuizione che sulla ragione. A ciò si aggiunge una grande mobilità semantica, in quanto i termini acquisiscono o mutano di significato a seconda dell’umore di chi parla e delle situazioni espressive, e la parola di Goldoni resta così sempre tesa tra il realismo e la convenzione, la concretezza e l’astrazione, tra il Mondo e il Teatro.

Quando Goldoni comincia la sua avventura di commediografo, parte dalla lingua delle “maschere”, un linguaggio non reale, per spostarsi poi verso la vera lingua parlata dai personaggi in un determinato ambiente. I suoi personaggi non possono restare soli e isolati da tutto, ma devono essere calati nella vita e nel parlare quotidiani. Si parte naturalmente dall’ “improvviso”, dal linguaggio delle “maschere” della Commedia dell’arte, dal quale Goldoni elimina tutti gli elementi eccessivi, eccentrici, ridicoli, tutto ciò che è stridente, che crea disarmonia, in modo da poter giungere al linguaggio “concertato”, armonico e fluente anche nell’alternanza lingua/dialetto, in cui tutto ciò che Goldoni aveva potuto apprendere dall’ “improvviso” si arricchisce mutandosi in una dimensione che agevoli maggiormente il dialogo, calato in un parlato molto più reale rispetto al precedente.

Carlo Goldoni e il linguaggio per il teatro

Tra i testi delle commedie, uno in particolare messo in scena a Carnevale nel febbraio 1756, Il Campiello, ben fotografa questa creazione linguistica, presentando un coro di voci differenti, il fluire della vita sociale quotidiana del mercato, realizzando una delle commedie più festose; all’interno della commedia vi sono le voci del morbin, la parlata dell’amore e dell’allegria, e la baruffa, ovvero la voce del litigio e delle chiacchiere. Lo stesso Goldoni lo presenta dicendo:

«Questo campiello che è il luogo della scena fissa, è circondato da casucce abitate da gente del basso popolo: vi si giuoca, vi si balla, vi si fa chiasso, ed ora è il soggiorno del buon umore, ora il teatro delle risse … Ogni ragazza ha il suo amante; la gelosia le molesta, la maldicenza le mette in discordia, e l’amore le pone in calma.»

 

E qui Goldoni coglie non le individualità, ma il concerto, tutto l’insieme della vita sociale, in una realtà che è, soprattutto, linguistica. E infatti la commedia riscosse un gran successo tra il pubblico, sia tra gli strati sociali più alti che tra quelli più bassi.

 

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Goldoni è riuscito così a cogliere il flusso vitale, ciò che nasce di continuo, che è effimero, ma che è lo scorrere della realtà, in cui risiede il vero “concerto” goldoniano, l’immediato e il quotidiano. La sua è certamente divenuta una lingua letteraria sui generis, una lingua piegata all’arte, senza scordare che, soprattutto grazie al nostro massimo autore teatrale, il veneziano è diventato un patrimonio culturale conosciuto in tutto il mondo.


Riferimenti bibliografici

 

De Michelis C., Carlo Goldoni e la «professione di scrittor di commedie», in Id., Letterati e lettori nel Settecento veneziano, Firenze, Olschki, 1989, pp. 153-201.

Folena G., L’italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento, Torino, Einaudi, 1983, pp. 87-215.

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