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Campiello Opera Prima 2019 – Intervista a Marco Lupo

Campiello Opera Prima 2019 – Intervista a Marco LupoEdito da Il Saggiatore nella collana “La Cultura”, Hamburg. La sabbia del tempo scomparso torna, in modo del tutto originale e lontano da ogni logoro stereotipo tradizionale, non solo a raccontare le atrocità commesse tra il secondo conflitto mondiale e gli anni della ricostruzione, ma anche a trattare degli effetti di questi orrori sulla psiche, i comportamenti e la memoria dei personaggi. L’architettura dell’opera rivela una mano sicura, capace di rendere, sulla carta, il senso di indeterminatezza che caratterizza le epoche di transizione e di coinvolgere il lettore trasportandolo all’interno di una storia che contiene altre storie, tutte narrate con intensa efficacia visiva e perizia cinematografica.

In occasione dell’assegnazione del Premio Campiello Opera Prima, abbiamo conversato con l’autore, Marco Lupo, in merito ad alcuni punti salienti del romanzo.

 

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Nell’esergo viene ripresa una citazione di Peter Esterhàzy, dal Libro di Hrabal: «Lei è mai vissuto in un’epoca che non fosse di transizione?». Possiamo dire che tutte le epoche (sia quella delle fotografie, sia quella della cornice, sia quella dei testi che i personaggi raccolgono) raccontate in quest’opera sono di transizione? Perché?

La citazione dal Libro di Hrabal ha due significati, due direzioni: nella prima conferma ai lettori di Esterhàzy che il libro che leggeranno è fatto di piani temporali sfasati e di voci del passato; nella seconda rivela lo stupore che mi ha invaso quando ho inanellato gli strati delle storie raccontate. I decenni trascorsi e declinati nei frammenti parlano la lingua dei temporali, dei suoni che li annunciano, del boato che li conferma, del silenzio che li disegna quando hanno detto ciò che dovevano dire. Sono figlio di sradicamenti, erede di un tempo in cui il paesaggio è arso dal sole, le guerre si combattono in diretta televisiva e il lavoro si è trasformato in un suicidio inevitabile. La fisica, la chimica, la biologia e la geografia rivelano sfumature diverse, quando affrontano il concetto di transizione. Le accomuna un’unica vertigine: il passaggio. Hamburg è un’idea che ho coltivato per anni e che si nutre delle letterature attente a sfiorare quel momento in cui il luogo e il tempo vengono alterati. Sono molte le pagine a cui sono devoto, e quasi tutte mi hanno rivelato parole che non riuscivo a capire, eventi di cui non conoscevo la portata. Scrivere seguendo il filo rosso delle transizioni mi ha aiutato a dare una forma agli orrori e una voce alle ingiustizie.

 

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Campiello Opera Prima 2019 – Intervista a Marco Lupo

Il libro, dentro di sé, contiene altri libri. Alcuni personaggi, infatti, decidono di radunare gli scritti di M. D., testimone degli anni della seconda guerra mondiale e del successivo periodo della ricostruzione, e danno forma a un «memoriale della demenza». Che cos’è la demenza, in questo contesto?

Il terrore che si nasconde in un gesto quotidiano. La paura di non riconoscere la persona amata. L’abisso che offende e destituisce la memoria personale. La demenza è nel contesto, pensavo. La demenza è l’uomo che nega le stragi, le distruzioni, le tempeste di fuoco. Chi tenta di affrontarla è costretto a fare i conti con le malattie, con il coro dei testimoni invisibili, privi di voce, lontani dalle pagine scritte e dalle fotografie scattate con cura. Il memoriale della demenza doveva essere un documento ritrovato, ma è cresciuto scrivendo e ha assunto la forma di una cella nel carcere di Moabit, un posto oscuro in cui gli uomini imprigionati aspettano, sapendo che verranno uccisi all’alba: non leggere le loro poesie è frutto di quella demenza.  

 

Collegandoci ancora ai libri contenuti in altri libri: in Hamburg sono diversi i riferimenti a testi e autori importanti nel canone occidentale (il Vangelo, Hemingway, Canetti). Qual è il rapporto che le voci narranti instaurano con la letteratura e con il libro, come oggetto fisico?

I libri non sono feticci: le voci narranti li leggono perché assomigliano ai rapporti, perché raccontano loro ciò che non sanno, perché rivelano eventi e testimoni che cambieranno il loro modo di guardare. Sono deserti fioriti e ghiacciai scomparsi all’improvviso, e urlano quando qualcuno li chiama invano. I cercatori dei libri ritrovati vivono senza rassegnazione in un’epoca di cinismo e violenza. La bellezza dei libri è l’oggetto dei loro sogni e ha il sapore di un’utopia impossibile.

 

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Campiello Opera Prima 2019 – Intervista a Marco Lupo

Come accennato, il volume contiene diverse fotografie: l’ispirazione per la scrittura è nata da quelle immagini o è precedente? Alcune pagine, d’altro canto, rivelano un acuto occhio cinematografico. Parliamo di come hanno interagito parole e figure nella costruzione dell’opera.

Ho visionato migliaia di fotografie pubblicate negli archivi di stato tedeschi. Mentre leggevo i memoriali, le cronache, mentre scendevo nei buchi aperti dalle bombe, quelle voragini raccontati dagli scrittori delle macerie ho capito che alcune di quelle immagini potevano avere la forza di una pagina o di molte pagine ben scritte. Costruire l’opera intorno alle fotografie era difficile, ma farla attraversare da un flusso discontinuo di documenti in bianco e nero era necessario. Sembrava di vedere l’istante congelato mentre il tempo scritto scorreva velocemente. E ho capito che il libro ne aveva bisogno.

 

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Che cosa significa, in un’epoca di transizione e indeterminatezza, diventare un testimone «del tempo scomparso»?

Forse significa ricordare le atrocità subite nei millenni, oppure afferrarle mentre leggiamo chi ci ha preceduto. Fingere di essere unici e per questo migliori è pericoloso. Porta a una notte senza luna in un bosco abitato da bestie feroci, mai sazie, incapaci di fermare la fame, l’odio e la paura.

 

Come si sta preparando o si preparerà per la serata finale del Premio Campiello?

Leggo le scritture che amo, che mi ricordano chi ero e come sono cambiato. Leggo poesie persiane, liriche russe che hanno il ritmo della fabbrica, favole cilene sul potere che uccide. Rileggo spesso il Breviario Mediterraneo di Predrag Matvejević e non mi stanco mai. Mi preparo con loro.


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