C’era una volta la narrazione interattiva
«Storytelling», come del resto «narrazione», è termine ambiguo, di un’ambiguità magnifica e piena di possibilità. Potremmo viaggiare senza sosta dai classici più lontani nel tempo, dalle narrazioni mitiche, alle iper-narrazioni, e ritorno; di strumento in strumento, di mezzo in mezzo, dalla penna alle piattaforme web-based.
Più di recente, abbiamo parlato di transmedia storytelling, tirando in ballo tanto studiosi come Henry Jenkins quanto Matrix. In generale, poi, si fa un gran parlare di narrazioni interattive, e nuove frontiere, da alcuni anni. Le semplificazioni giornalistiche “impongono”, in certa misura, una sorta di cieca progressività, a tutti i costi. Con più sobrietà, si dovrebbero poter osservare corsi e ricorsi, anticipazioni, persistenze e “ritrovamenti”.
Non sarà un caso, infatti, se in pieni anni Ottanta si usava l’espressione inglese «interactive fiction», e quella italiana «avventura testuale», per indicare software pensati per raccontare una storia, all’interno della quale far muovere il giocatore, usando solo comandi testuali; letteralmente, “scrivendo”. Non sarà un caso neanche se alcuni nomi di allora, come Bonaventura Di Bello ed Enrico Colombini, rappresentano dei riferimenti a tutt’oggi.
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Più o meno nello stesso periodo, neanche così tanto lontano, per inciso, esplodeva pure il fenomeno librogame: in quel caso, la narrazione faceva sì che, a intervalli più o meno regolari, il lettore incontrasse dei “bivi”, o dovesse comunque operare delle scelte. Come scegliere? Semplice: opzione uno, vai a pagina x, opzione due, vai a pagina y. E si continua.
Insomma, nulla togliendo alle straordinarie possibilità offerte, e ancora solo in piccola parte sfruttate, dalla Rete, dalle connessioni in mobilità, dalla convergenza; fermiamoci, ogni tanto, però, e cerchiamo di esercitare l’analogia, anche se solo ex post.
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