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C’era una volta il West – La figura di Mark Twain

Mark TwainL’articolo che segue è stato pubblicato per la prima volta nel «Lapham’s Quartely», rivista americana fondata nel 2006 da Lewis H. Lapham. Ogni numero raccoglie numerosi saggi, interviste e articoli incentrati su un tema preciso. L’argomento dell’ultima pubblicazione è la commedia, in tutte le sue forme. E proprio in questo contesto s’inserisce il saggio C’era una volta il West, scritto da Ben Tarnoff. L’obiettivo dell’autore è definire in maniera più nitida i rarefatti confini del West americano, cercando di collocarvi la figura dell’eclettico e tormentato Mark Twain. Quindi non solo saggio storico, ma anche – e soprattutto – letterario, in quanto ci permette di approfondire la nascita della letteratura americana così come la conosciamo oggi. Niente stereotipi da spaghetti western, solo la sana letteratura del lontano West.

C’era una volta il West

Nel novembre 1865 il «New York Saturday Press» pubblicò un bozzetto comico dal titolo Jim Smiley e la sua rana salterina riguardante una gara di salto fra rane ambientata nella zona rurale della California. «Fece ridere a crepapelle tutta New York» riportò un giornalista e presto diventò virale, ristampato sui giornali da San Francisco a Memphis. L’autore della storia era Mark Twain, pseudonimo del 29enne scrittore Samuel Clemens. Allora Twain viveva in California, godendo della fama provinciale di umorista del West. Il successo di Jim Smiley lo rese famoso a livello nazionale. «Nessuno conquistò la fama più velocemente» osservò il «New York Tribune».

Il prestigio di Twain crebbe rapidamente. In un decennio, avrebbe pubblicato il suo libro di maggior successo, The Innocents Abroad, si sarebbe esibito di fronte a platee da tutto esaurito in patria e all’estero, e avrebbe costruito una residenza a Hartford, Connecticut, fornita di servitù e attrezzata di frivolezze quali un telefono, un tavolo da biliardo e un allarme anti-furto alimentato da una batteria. Alla sua morte, nel 1910, era diventato una leggenda – «Il Lincoln della nostra letteratura» per usare le parole del suo amico, l’autore e critico William Dean Howells – e nei secoli successivi è stato acclamato da Ernest Hemingway, William Faulkner e Norman Mailer come il padre del romanzo americano.

Jim Smiley, in seguito rinominato La celebre rana salterina della contea di Calaveras, innalzò la reputazione di Twain e gettò le fondamenta per i suoi successi futuri, eppure non è più così divertente. Quello che una volta fece sbellicare un banchiere di New York o un barcaiolo di Baton Rouge, ora al massimo susciterebbe il sorriso incerto di un lettore generoso. È difficile spiegarne esattamente il motivo. L’umorismo si sottrae a elaborate teorizzazioni, tuttavia di solito risiede nel contesto: su presupposti condivisi riguardo ciò che è lecito o proibito, ciò che è familiare o ciò che è estraneo. Alcuni tipi di umorismo rimangono divertenti perché le verità alla base sono ancora valide – ne sono un esempio le provocanti battute nella Bisbetica domata o le frasi a doppio senso nel Tristam Shandy. Gran parte del piacere di ridere grazie a vecchie opere consiste nel rendersi conto di quanto poco sia cambiato. Altri tipi di umorismo perdono, invece, il loro potere nel momento in cui il contesto sbiadisce.

Jim Smileyattinge da un contesto diventato irriconoscibile: il vecchio West. Più che un semplice luogo, il West era un’idea; ha dato origine alle leggende nazionali, autori di successo, un serraglio di intrattenimenti per la cultura popolare, dalle “horse opera"[1] rappresentate a Broadway nel XIX secolo fino ai romanzetti da quattro soldi che davano risalto ai fuorilegge di frontiera. Ciò che rese Jim Smiley un tale successo fu il capovolgimento delle convenzioni di quel mondo, attraverso un’immagine del West solo a tratti riconoscibile.

I confini esatti del West erano in continuo cambiamento, tuttavia il termine è stato sempre riferito a quel luogo in cui gli uomini bianchi s’imbattevano in un continente ostile. La collisione tra i due distrusse le popolazioni native. Creò inoltre nuovi miti, metafore, modi di dire, e contribuì alla formazione di un’identità nazionale. Nel 1750, gli abitanti dell’America coloniale ammontavano a poco più di un milione, e per “West” s’intendevano le lande desolate oltre la catena montuosa degli Allegani. Nel 1850, ospitavano già 23 milioni di abitanti e il West, ora, si estendeva verso il Pacifico. I cacciatori e i coloni che si avventurarono nell’Ohio e nell’Oregon non trasformarono solamente quella landa desolata. Furono essi stessi trasformati da un territorio sconosciuto, inclemente.

Per sopravvivere dovettero adattarsi. Per quelle orde di bianchi diretti verso ovest per tutto il periodo della colonizzazione fu un compito delicato. Le élite dell’Est guardavano all’Ovest con diffidenza e disprezzo, ritenendolo un incontrollato e stagnante territorio sperduto di indiani selvaggi e lande ululanti. I coloni correvano il rischio di perdere le loro buone maniere. Nelle sue Letters from an American Farmer, pubblicate nel 1782, J. Hector St. John de Crévecoeur descrisse gli uomini di frontiera come «una razza bastarda, mezza civilizzata, mezza selvaggia», e questo pregiudizio rimase stabile fino al XIX secolo.

Nessuno riusciva a mantenere il miglior equilibrio tra la trivialità dell’Ovest e la signorilità dell’Est come la prima icona americana di frontiera, Daniel Boone. Il Boone della realtà era un veterano della guerra d’indipendenza americana e uno dei primi coloni del Kentucky. Il Boone del mito era niente meno che un supereroe. Fece strage di indiani, protesse i coloni, si rimpinzò di carne di bisonte e aprì la strada verso le zone più remote. Rimase sorprendentemente un gentiluomo. Fra uno scontro di lotta libera e l’altro con orsi o fuorilegge, Boone trovava sempre il tempo per essere cortese con le donne. I creatori della sua leggenda furono molto attenti a renderlo presentabile a lettori rispettabili.

Se il West si prestò alla creazione del mito, alla trasposizione di realtà e finzione, procurò anche terreno fertile per l’umorismo. La comicità del West derivava da una caratteristica onnipresente nella vita di frontiera: la sua asprezza. Come Daniel Boone ben sapeva, nel West non erano certo ridotte le possibilità di incontrare la morte. Lui avrebbe potuto morire lentamente, per stenti o assideramento, o all’improvviso, per via dell’incontro con un guerriero Shawnee, o un orso, o una lince. Avrebbe anche potuto azzuffarsi con altri uomini di frontiera, spesso la più grande minaccia di tutte. Quei luoghi remoti e incolti erano ricolmi di uomini brutali. Questi scatenavano una rissa per ogni insignificante pretesto, solamente per il piacere di colpire e umiliare i loro avversari.

Questi rituali di mascolinità generarono un linguaggio specifico. Un cacciatore di pelli del Tennessee o un barcaiolo del Mississippi avrebbero potuto battersi il petto e affermare di essere una tartaruga azzannatrice, o di essere dotati degli artigli di un orso e della coda del diavolo. Questi vanti erano intesi a rendere l’uomo tanto spaventoso quanto il paesaggio che abitava. Erano anche uomini impacciati e ridicoli, esagerati fino all’assurdo. Convertirono la crudeltà della vita di frontiera in una fonte di riso catartico. In una società fatta di estranei, gli uomini del West potevano riunirsi intorno a un falò e godersi l’effimero senso di appartenenza a una comunità, mentre imbastivano i tristi fatti di ciò che li circondava in surreali e comici racconti di finzione. Queste “storie incredibili” diventarono la base della prima arte popolare americana: un insieme di racconti della tradizione orale conosciuti come umorismo di frontiera. Questi aneddoti spesso davano un ruolo di rilievo a un sinistro uomo di frontiera, occupato in fantastiche e violente prodezze e in strani discorsi con una parlata meravigliosamente vernacolare.

Mark Twain amava l’umorismo di frontiera, il sarcasmo malizioso e il gergo esuberante, la predisposizione per il gargantuesco e il grottesco. Inoltre, comprese il suo valore più profondo: non mero intrattenimento, ma tecnica di sopravvivenza. Twain una volta definì l’umorismo di frontiera come quel “velo gentile” che rende la vita sopportabile. «Gli aspetti duri e squallidi della vita sono troppo duri e troppo squallidi e troppo crudeli per essere riconosciuti e toccati con mano ogni giorno senza alcun influsso mitigante» disse, e parlava per esperienza. Non appena trentenne, si puntò una pistola alla testa e quasi premette il grilletto; a settant’anni si chiedeva ancora se avesse fatto la scelta giusta.

La comicità nera della frontiera era adeguata al suo temperamento e al suo talento. Le storie incredibili del West gli mostrarono come rendere la lingua più espressiva, attraverso lo sfruttamento di un linguaggio vernacolare che riflettesse la varietà regionale del parlato americano e che desse alle parole un rapporto più immaginifico con ciò che descrivevano. Un famoso umorista della frontiera la metteva in questi termini: si potrebbero dispensare «parole a casaccio, come un vitello che scalcia furioso a ogni vespa» oppure si potrebbero «ridurre a una pinta, come un muratore che calmo sistema i suoi mattoncini – tutti hanno il loro posto»[2]. La questione consisteva nell’evitare di essere un semplice manovale della lingua, di sbarazzarsi delle strutture imposte dalla tradizione e irrigidite dai cliché, e di trovare modi più originali di costruire un periodo. Ciò che contraddistinse Twain era il suo desiderio di riuscire in questo obiettivo, e di trasformare l’umorismo di frontiera in letteratura.

Non fu semplice. L’idea che la letteratura potesse scaturire dal barbarico yawp della frontiera incontrò una violenta resistenza da parte delle istituzioni letterarie. Non aiutava certo il fatto che queste storie abbondassero di volgarità, sbevazzate, depravazione, per non citare l’alterazione della grammatica inglese, cosa che farebbe sussultare un docente. Gran parte del lascito di Twain consisteva proprio nel dimostrare il potere letterario della frontiera, e dare uno schiaffo morale a tutti quei docenti emeriti del New England che avevano dominato la cultura per gran parte del XIX secolo. Twain non era immune dal desiderare la loro approvazione, tuttavia proveniva da una tradizione completamente differente. Il suo orecchio non era stato educato a Harvard o Yale; era sintonizzato sulla miriade di voci di schiavi e manigoldi, barcaioli e giocatori d’azzardo.

La fuga di Twain nella letteratura iniziò con una rissa in un bar. Twain aveva un amico che si chiamava Steve Gillis, un uomo del Sud tutto d’un pezzo che amava le sane scazzottate. Una notte, nel novembre 1864, Gillis stava camminando vicino a un saloon sull’Howard Street a San Francisco quando vide che all’interno vi era un litigio. Decise di dare una mano, e finì col fare in mille pezzi una brocca sulla testa del padrone del saloon, quasi uccidendolo. Gillis fu arrestato, uscì su cauzione grazie all’aiuto di Twain e dopo fuggì lontano prima di poter essere ufficialmente accusato. Twain non aveva i soldi per ripagare il vincolo cauzionale e, dunque, fece lo stesso. Gillis si recò a Virginia City, in Nevada, e Twain nelle campagne di Jackass Hill, una zona di miniere a circa 100 miglia da San Francisco, dove il fratello di Gillis aveva una casupola.

Il cambio di scena fu brusco. A San Francisco, Twain aveva goduto di ostriche, champagne e della compagnia di giovani e ambiziosi scrittori come Bret Harte. A Jackass Hill, il cibo era più modesto e la società meno sofisticata. Nei giorni gloriosi del 1849, la regione era stata il cuore della corsa all’oro. Nel 1864, le miniere erano state prosciugate quasi del tutto e quelle che, durante il boom, erano delle città fiorenti ora erano sul lastrico. Restava solo un «miserabile rimasuglio di minatori abbandonati» a scambiarsi i loro racconti incredibili nella loro parlata lenta e strascicata, nei loro vividi resoconti nelle taverne, richiamando alla memoria i fortunati giorni dell’oro, le risse, e strani incidenti di ogni tipo.

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Mark TwainUn giorno, un uomo raccontò una storia su una rana salterina. Twain appuntò la trama nel suo taccuino:

Coleman con la sua rana salterina – scommessa dello straniero 50 $ - lo straniero non aveva una rana e C. gliela procurò – nel frattempo straniero riempì di colpi rana di C. e lei non poteva saltare – la rana dello straniero vinse.

Ciò che colpì Twain fu la serietà del narratore: l’uomo imbastì l’assurda trama come se fosse «la più grave delle vicende», una serie di «fatti disadorni» che gli ascoltatori ascoltavano con la stessa solennità che si sarebbe ottenuta se il racconto fosse stato tenuto da un pulpito. Nessuno nella taverna sembrava «cosciente del fatto che una storia di prima qualità era stata raccontata in una maniera di prima qualità, e che era ricolma di una caratteristica che loro non avrebbero mai sospettato: l’umorismo» scrisse Twain.

Twain desiderava riprodurne l’effetto in prosa. Un amico ricordò che, in seguito, egli disse che avrebbe fatto “saltare” quella rana “intorno al mondo”, se solo avesse saputo scrivere la storia così come l’uomo l’aveva raccontata. Si presentò presto un’occasione. Quando Twain tornò a San Francisco nel febbraio 1865, trovò ad aspettarlo una lettera di Artemius Ward, il re che dominava la commedia americana. Ward gli chiedeva se volesse contribuire con un pezzo a una raccolta che andava componendo, e Twain, rispondendogli mesi dopo, propose la storia della rana salterina. «Scrivila» disse Ward «c’è ancora tempo per inserirla nel mio volume di bozzetti».

La storia emerse solo poco per volta e nell’ottobre 1865, otto mesi dopo il suo ritorno dalla regione delle miniere, Twain non l’aveva ancora terminata. Scrisse una lunga lettera a suo fratello e a sua cognata che aiutava a spiegarne il motivo:

Ho avuto solo due grandi ambizioni nella vita. La prima era diventare timoniere, la seconda diventare un predicatore del Vangelo. Ho realizzato la prima e fallito nella seconda, poiché non ho potuto procurarmi i necessari ferri del mestiere – ossia, la religione. Ho lasciato perdere per sempre. Del resto, non ho mai avuto una “chiamata” in quella direzione, e le mie aspirazioni erano la mera apoteosi della presunzione. Tuttavia ho avuto una “chiamata” alla letteratura, di un ordine minore – ossia umoristica. Non c’è niente di cui andare fieri, tuttavia questo è il mio punto di forza e se dovessi prestar ascolto al motto del duro lavoro secondo il quale per ottenere buoni risultati bisogna moltiplicare l’unico o i due o i tre talenti che l’Onnipresente ha affidato alla tua protezione, avrei cessato da molto tempo di immischiarmi nelle questioni per cui per natura non sono portato e avrei destinato la mia attenzione a scarabocchiare sul serio delle storielle per far ridere le creature di Dio. Miserabile, patetica occupazione!

Questa confessione offre uno scorcio sulla crisi riguardo la storia della rana salterina. Twain era capace di far ridere la gente, ma se ne vergognava, dal momento che l’umorismo era un’attività di scarso valore culturale. Non voleva essere un buffone che starnazza e sbraita per l’intrattenimento della gente per il resto della sua vita. Tuttavia, riconosceva che l’umorismo è ciò che faceva meglio: il suo “punto forte”, un talento, una chiamata, conferitagli dall’Onnipotente. Non poteva metterlo da parte, nonostante la sua apprensione riguardo l’asprezza che l’umorismo richiedeva.

In questa indecisione egli differiva da Artemius Ward, il quale aveva poche incertezze circa la sua vocazione. Twain e Ward si erano incontrati nel 1863, mentre Ward era in visita nel lontano West. I due legarono da subito: bevevano, andavano a caccia di sale da ballo e si canzonavano a vicenda senza tregua. Ward era più grande di solo un anno, ma era molto più avanti nella carriera. Il suo nome di battesimo era Charles Farrar Browne, e come Twain aveva cominciato da compositore tipografico prima di sfornare quelle scenette che lo resero famoso. Lavorò anche come comico, dispensando non sequitur e giochi di parole in un dialetto falsamente serio che faceva sbellicare dalle risate gli spettatori. Tra i suoi ammiratori vi era anche Abraham Lincoln, il quale lesse uno dei brani di Ward di fronte al suo consiglio prima di presentare la bozza del Proclama di Emancipazione. Il Segretario di Stato William H. Seward pensò che fosse molto divertente; il Segretario di Guerra Edwin M. Stanton e il Segretario del Tesoro Salmon P. Chase no. «Signori, perché non ridete?» Stanton in seguito ricordò che il Presidente avesse detto. «Con la tensione spaventosa che è su di me giorno e notte, se non ridessi morirei, e voi necessitate di questo farmaco tanto quanto me». Come Twain, Lincoln prendeva sul serio le proprietà curative dell’umorismo.

Il successo di Ward lo distingueva dagli altri, ma non era il solo. Apparteneva a una generazione di umoristi che si sviluppò in seguito alla Guerra Civile. Scrivevano sotto diversi pseudonimi – Petroleum V. Nasby, Josh Billings, Orpheus C. Kerr – e aiutarono a rendere popolare il racconto di storie divertenti. Fecero ben poco per elevare l’umorismo a forma d’arte. La loro comicità si basava largamente su parole mal pronunciate e malapropismi, illuminati solo occasionalmente da frasi argute. Nonostante ci fossero numerosissimi e pittoreschi modi di esprimersi in tutti gli Stati Uniti che si offrivano alle loro opere, questi scrittori non tentarono di sviluppare il potenziale più profondo del linguaggio vernacolare in qualcosa che si avvicinasse alla «buona e squadrata letteratura americana»[3] come Ward la chiamava.

L’onere spettò a Twain. La sua apprensione riguardo la bassezza dell’umorismo giocò a suo vantaggio, spingendolo a migliorare le trovate giullaresche dei suoi predecessori – tra cui Ward –, e a trovare un tono più letterario per i suoi lavori. Dal momento che non poteva abbandonare l’umorismo, lo arricchì. Per far questo egli attinse dalla particolare musicalità delle narrazioni di frontiera che aveva incontrato durante la sua giovinezza: l’umorismo sudoccidentale, nome dato in via generica a quella zona che comprendeva Georgia, Alabama, Louisiana e Missouri.

A partire dagli anni Trenta del 1800, un manipolo di giornalisti cominciò a documentare la vita nell’entroterra del sud-ovest – si tratta soprattutto di membri colti dell’élite dei Whig che caricaturavano i loro personaggi in stupidi bifolchi. L’espediente più diffuso in questi scritti del sud-ovest era quello della “cornice”: un narratore affettato si interponeva tra il lettore e la società barbara di quelle terre sperdute. Il gentiluomo teneva sempre tutto sotto controllo, mentre una guida indicava i diversi esemplari di uomini di frontiera come se fossero animali in uno zoo.

Sebbene originariamente pubblicato sulle riviste di quelle stesse regioni, l’umorismo del sud-ovest si spostò presto a nord. Personaggi come Simon Suggs e Sut Lovingood cominciarono ad apparire nelle riviste dell’Est, scatenando un putiferio e parlando a getto continuo in dialetto davanti un a pubblico di città. I lettori di New York e Boston vennero a conoscenza dei rituali di frontiera, come i raduni all’aperto, la caccia ai procioni, le corse di cavalli; presero familiarità con truffatori e assassini di indiani.

Nonostante la loro volgarità, questi farabutti avevano un certo fascino, dal momento che vivevano in un reame senza legge, o morale, o logica – un luogo dove le regole di sempre non venivano applicate. Le loro giornate non ruotavano attorno alle miserie del lavoro salariato, come al contrario avveniva per le masse urbane dell’Est. Gli uomini di queste terre lontane vivevano in una «fiabesca terra di mezzo» come lo storico Bernard DeVoto definì più tardi questo territorio, in cui le barbabietole crescevano grandi quanto tronchi di cedro e le cavallette erano così carnose da poter essere arrostite come una bistecca. Queste fantasiose illusioni riflettevano lo spaventoso potere di una terra scoperta solo di recente, filtrata attraverso la febbrile mente degli uomini di frontiera. Lo strano linguaggio della frontiera nacque dalla necessità di descrivere qualcosa di nuovo, di creare immagini attraverso delle parole che fossero all’altezza di quel mondo mistico che era il West.

Queste semplici perle di genialità ispirarono Twain, il quale le estrasse per ottenerne il massimo effetto. Mentre il 1865 volgeva a termine, trovò una via d’uscita alla sua crisi sulla rana salterina. S’immerse nel manoscritto e costruì una storia che rifletteva attentamente le scenette dell’umorismo sud-occidentale della sua giovinezza nel Missouri. Ma quando Twain terminò Jim Smiley, il libro di Ward era già stato avviato alla stampa. L’aver mancato quella scadenza fu provvidenziale: l’editore passò la storia al redattore del «Saturday Press» che non ci mise molto a stamparla.

La premessa è semplice. Il narratore entra in una taverna in cerca di un reverendo chiamato Leonidas W. Smiley. Simon Wheeler, l’assonnato padrone della taverna, dice di aver conosciuto una volta un Jim Smiley, e quindi blocca l’incredulo straniero in un angolo e sciorina una bizzarra, contorta storiella. Questo Smiley aveva qualche problema col gioco d’azzardo, dice Wheeler. Aveva addirittura allenato una rana a saltare a comando con lo scopo di scommetterci su. Era così orgoglioso del risultato ottenuto dal suo animale che non appena arrivò uno straniero in città, Smiley lo sfidò in una gara di salto fra rane. Lo straniero accettò, ma innanzitutto aveva bisogno di una rana per sé. Mentre Smiley andò a procurargliene una, lo straniero agguantò la rana di Smiley, tenne la bocca della rana forzatamente aperta e la riempì di proiettili per quaglie. Al momento opportuno, la rana di Smiley non riusciva a muoversi – «piantata a terra come un’incudine» – mentre l’altra rana «saltellava vivace». Lo straniero raccolse la sua vincita e andò via, lasciando Smiley sbalordito.

Il narratore non è sicuro di come reagire a questa storia. Wheeler non sorride mai, sebbene l’incidente che va narrando sia ridicolo. Si lascia trasportare «serenamente» attraverso la sua «eccentrica storiella» con la stesso calmo e «pacato tono continuo» – e probabilmente avrebbe continuato a lasciarsi andare alla narrazione per  un tempo imprecisato se qualcuno dall’altra parte del bar non l’avesse richiamato, dando al narratore la possibilità di fuggire. Questo si avvia alla porta, per poi essere riacciuffato da Wheeler all’ultimo momento. Wheeler vuole sciorinare un altro aneddoto, questa volta sulla «mucca gialla con un occhio solo»[4] di Smiley. Il narratore va via sbattendo i piedi e gridando «Oh, maledetto sia Smiley e la sua misera mucca afflitta!»

Gli americani trovarono la storia esageratamente divertente. Per decenni i lettori avevano riso delle storielle del sud-ovest che rappresentavano gli uomini di frontiera come buffoni. Questi ora venivano rappresentati all’opposto: la storia non si fonda sull’ignorante uomo del West che non sa parlare correttamente, ma si centra sull’affettato narratore, il quale viene adescato e travolto da una serie di assurdità che lo lasciano sconcertato, frustrato e ben lontano dall’incontrare quel prete che cercava. Non appena incontra Wheeler, il narratore vede un volto dominato da «dolcezza e semplicità» – dove un osservatore più scaltro avrebbe riconosciuto un truffatore che sta per prendere in giro un damerino di città. Wheeler è di gran lunga il più scaltro dei due, nonostante la mancanza di educazione. Si esprime utilizzando vivide immagini: la mascella di un cane spunta fuori come «il castello di prua di un battello a vapore», e i suoi denti «brillano selvaggiamente come le fornaci». Crea una piacevole melodia con le parole attraverso il ritmo di verbi sincopati, come quando descrive il modo in cui la rana di Smiley «s’alzava sulla sua spalla – così – come un francese, ma non si poteva usare - non si poteva farla muovere...».

Wheeler incarnava quella “razza bastarda” che Crévecoeur disprezzava, eppure penetra nella gabbia della superiorità dell’Est e mostra le sue misteriose doti da narratore. Al contrario, il linguaggio del narratore è piatto, di seconda mano, monotono con i suoi sentimentali luoghi comuni sulla rispettabilità dell’Est. Nel confronto fra Est e Ovest, L’Ovest ha la meglio – non con la violenza, come in The Dandy Frightneing the Squatter, una scenetta di Twain scritta precedentemente in cui vi è uno scontro simile – ma con una truffa all’americana.

Twain ha preso un genere popolare e in seguito l’ha capovolto. L’inversione delle forme del sud-ovest portò a roboanti risa una nazione profondamente abituata alle convenzioni della comicità difrontiera. Ma Jim Smiley rappresentò molto più di un’astuta imitazione della scuola sudoccidentale. Rappresentò anche un momento di transizione per Twain: il momento in cui scoprì il potere letterario della frontiera. Se oggi sembra difficile riuscire a vedere comicità nella storia è in parte perché Twain non ambiva solamente a essere divertente. L’ironia diabolica, la lirica del parlato e il flusso sconclusionato degli eventi non vengono inseriti solo per un puro effetto comico; queste sono le fondamenta che andranno a costruire uno stile narrativo distinto, quello che poi formerà un capolavoro quale Le avventure di Hunckleberry Finn.

Twain si era prefissato di scrivere una storia incredibile e finì col scrivere un’opera d’arte. Utilizzò il velo dell’umorismo per introdurre furtivamente la seria questione dei fini della letteratura americana, sfidando le trincee della superiorità dell’Est che venivano innalzate contro la barbarie dell’Ovest. In Jim Smiley, la frontiera non rappresenta uno stadio inferiore di civiltà che aspetta l’illuminante influenza della costa atlantica, ma un denso e dettagliato universo che chiede di essere compreso alle proprie condizioni. Nei decenni successivi, Twain esplorerà quest’universo con grande precisione – in Roughing It, le sue cronache del Nevada e della California; in Life on the Mississippi, il suo resoconto degli anni come timoniere; e, soprattutto, in Tom Sawyer e Hunckleberry Finn, basati sui suoi ricordi dell’adolescenza a Hannibal, Missouri. La storia della rana salterina aprì la strada a quel filone letterario di cui faranno parte i suoi lavori migliori e lo aiutò a costruire un’eredità ben diversa da quella lasciata dai suoi colleghi umoristi. Twain voleva ottenere ben più che il semplice riso della gente. Ci è riuscito.


[1]Le horse opera sono le prime opere teatrali basate sulle leggende del West. Questo genere sfociò presto nei musical di Broadway. Una volta sviluppatosi il cinema, le “horse opera” diventeranno i famosi film western.

[2]La frase originale è la seguente: "I ladles out my words at randum, like a calf kickin at yaller-jackids; yu jis' rolls em out tu the pint, like a feller a-layin bricks--every one fits." È di George Washington Harris detto "Mrs. Yardley's Quilting". La frase colpisce non solo per le inusuali metafore che sono state utilizzate, ma anche per l’utilizzo intenzionale di solecismi, volti a rappresentare anche nello scritto le particolari inflessioni del parlato.

[3]La frase originale è “good square American literatoor” in cui il sostantivo literature, letteratura, è trascritto così come viene pronunciato nel dialetto di Ward.

[4]Nell’originale, “yaller one-eyed cow”. La frase anche qui presenta volutamente dei solecismi.

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