Bruciare quadri come forma d’arte? L’opera di Matej Košir
Ha senso bruciare i libri o i quadri? Ha senso rispondere alla violenza con altra violenza? Secondo l’artista visuale Matej Košir, di origini slovene, ma attivo soprattutto in Germania e Svizzera, sembrerebbe proprio di sì.
Košir è, infatti, autore di un’operazione molto particolare e, forse, unica nel suo genere: ha raccolto una serie di dipinti importanti della storia dell’arte, li ha riprodotti in un libro e li ha dati alle fiamme, per poi fotografarli e riprodurli in Arthistory, che non si può considerare un semplice libro fotografico, ma sembra quasi un’operazione politica. I quadri scelti, infatti, rappresentano sempre scene di guerra, o comunque, di ribellione e morti violente. Nell’elenco delle opere “bruciate” compaiono, ad esempio, I disastri della guerra e Il 3 maggio 1808 di Francisco Goya, La morte di Marat di Jacques-Louis David e L’esecuzione di Massimiliano di Édouard Manet.
L’intento dichiarato da Košir è quello di enfatizzare il nostro rapporto con la violenza e soprattutto mostrare la contraddizione insita nel ricorso a quest’ultima, come strategia per controllare la violenza stessa.
Košir non è nuovo a questo genere di esperimenti. Già si è fatto notare, infatti, per alcune opere originali, come la riproduzione in zucchero del David di Michelangelo, per poi ricoprirla di una colonia di formiche, che sono state lasciate libere di muoversi sulla riproduzione della statua, mentre Košir immortalava con una macchina fotografica per tre mesi di seguito tutte le evoluzioni del processo di deformazione della statua. Il valore simbolico della “performance”, sempre ammesso che così si possa chiamare, risiede, secondo Košir, nella volontà di simboleggiare la deformazione della nostra percezione da parte dei media, con la loro capacità di semplificare, prima, e trasformare, poi, qualsiasi messaggio originale, incluso quello dell’artista.
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