“Bollettino di guerra” di Edlef Köppen: memoria e ricostruzione
Articolo pubblicato sulla Webzine Sul Romanzo n. 2/2014.
Bollettino di guerra (Heeresbericht) è il romanzo più noto di Edlef Köppen, nonché l’unica opera dell’autore tedesco tradotta ed edita in Italia (da Luca Vitali per Mondadori). Köppen fu figura di secondo piano; solo in apparenza, per l’appunto, giacché l’attività febbrile e piena di eclettismo di questo scrittore, nato nel 1893 a Genthin, nell’attuale Sassonia-Anhalt, si espresse a più riprese e in una pluralità di forme, nonostante la prematura scomparsa, nel 1939.
Non solo, il suo spirito di adattamento artistico lo vide confrontarsi tanto con la narrativa quanto col saggio, così con il racconto come con la scrittura giornalistica, radiofonica e cinematografica. In questo contributo, dunque, si cercherà di rendere conto, in breve, dell’intreccio strettissimo fra la vita e le opere di Edlef Köppen, con particolare riguardo a Bollettino di guerra; in questo senso, non si potrà non fare la spola tra la vita vera, la storia che ci è stata raccontata spesso (e che dovremmo, almeno in teoria, conoscere) e il romanzo di Köppen, fra documenti e documentazione.
Uscito nel 1930, nel mezzo dei cosiddetti inter-war years, proprio in quel giro d’anni caratterizzato dalla fine del periodo d’oro della Repubblica di Weimar e dal preludio all’ascesa del nazionalsocialismo, il romanzo che abbiamo deciso di analizzare per ricordare questo “(rin)tracciato” d’eccezione rappresenta un ideale contrappunto al più conosciuto e più quotato (non a ragione) Niente di nuovo sul fronte occidentale di Erich Maria Remarque, pubblicato in volume nel 1929.
Non serve molto per definire, nelle linee generali, di cosa parli lo scritto di Köppen: il giovane studente Adolf Reisiger parte volontario al fronte; il resto è, come possiamo immaginare e come ci è stato più volte rappresentato, nei libri, a teatro, al cinema, una sorta di educazione sentimentale. Educazione di certo, in senso potentemente etimologico; sentimentale nella misura in cui l’esercizio della percezione diventa la colonna portante della vita militare, in generale, e di trincea, nello specifico, del giovane e inesperto Adolf.
Si comprenderà quanto debba aver influito l’esperienza personale dell’autore sulla sua narrazione. Edlef Köppen, infatti, figlio di un medico condotto, conobbe presto la passione bruciante per la letteratura, probabilmente già verso i quattordici anni, quando, con la famiglia, si trasferì a Postdam, ove conobbe Hermann Kasack, futuro strenuo oppositore del nazismo e autore che attraversò, di filato, espressionismo, simbolismo e surrealismo. D’altro canto, lo stesso Köppen dichiarò di aver dato inizio alla propria attività letteraria nel 1913, dopo aver terminato la scuola e prima di cominciare i suoi studi universitari in germanistica. È importante ricordare, anche se en passant, alcune delle figure che il giovane e promettente Edlef ebbe modo di conoscere e dalle quali fu influenzato: fra gli altri, Fritz Strich, Heinrich Wölfflin, e più ancora Artur Kutscher, alle cui serate Köppen ebbe modo di conoscere personalità del mondo letterario del calibro di Hanns Johst, Josef Wenter, Josef Magnus Wehner e persino Frank Wedekind.
Con questo carico, culturale e umano, nell’ottobre del 1914 il nostro autore partì volontario senza sapere che avrebbe partecipato, di fatto, a tutta la Grande Guerra, dall’inizio alla fine, nonostante la conclusione delle ostilità giunse proprio mentre si trovava ricoverato in una clinica psichiatrica a Magonza, dopo essersi rifiutato in maniera esplicita di eseguire gli ordini.
L’organizzazione testuale di Bollettino di guerra riecheggia quella sensazione di oscillazione tra incertezza ed esaltazione, fra sofferenza e riconoscenza che, se è cifra distintiva di tutte le guerre, dovette esserlo, in particolare, per il primo conflitto mondiale. Già dall’apertura del primo capitolo, il susseguirsi serrato di “documenti”, dalla disposizione di Guglielmo II del 1914, con la quale «il territorio del Reich, con esclusione dei possedimenti reali di Baviera» veniva «dichiarato in stato di guerra», al “reperto” della visita di idoneità al servizio militare di Adolf Reisiger, fino alla Dichiarazione degli insegnanti delle scuole superiori del Reich e a una lettera della madre di Adolf al figlio partito in guerra, lo stato di conflitto ci viene presentato come ineluttabile e ineffabile. Nel seguito, l’alternanza fra la più consueta narrazione in terza persona, anche se con forte focalizzazione sul personaggio di Reisiger, lettere, comunicati di varia natura, annotazioni “personali” dello stesso Reisiger, porta a coagulazione una messe di azioni e motivazioni che dimostrano il piglio di grandissima, quasi imbarazzante, modernità dell’operazione di ricostruzione che Bollettino di guerra rappresenta (elemento che, assieme al respiro ampio, lo ha fatto avvicinare al ben più vasto e babelico Gli ultimi giorni dell’umanità di Karl Kraus). La vicenda di Adolf Reisiger si snoda a partire dal suo arrivo al Comando del 96° reggimento di artiglieria da campagna, attraverso l’addestramento, talvolta sonnolento, i lavori di fatica, soprattutto per le operazioni di trinceramento, e poi ufficialmente in battaglia, come in un’irresistibile ed esaltante ascesa. Ma l’ebbrezza della guerra lascia ben presto il posto alla tristezza e alla constatazione dell’orrore. La consapevolezza che, giorno dopo giorno, Reisiger/Köppen va acquisendo è questa: si tratterebbe di uno spettacolo ben congegnato e di grande impatto emotivo, se fosse solo uno spettacolo.
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Alla fine della guerra Köppen, dopo essere stato dimesso dalla clinica presso la quale si trovava, evitate conseguenze più gravi da parte della giustizia militare nel marasma della chiusura del conflitto, riprese gli studi, che comunque non riuscirà a portare a termine ma, cosa molto più importante, verso la fine del 1920 intraprese la carriera editoriale di redattore, presso la casa editrice di Gustav Kiepenheuer, la cui fondazione risaliva al 1909 e che nel corso degli anni era diventata punto di riferimento nel campo della letteratura contemporanea. Questa importantissima esperienza lanciò Köppen nel mondo dell’editoria, fino alla costituzione nel 1923, da parte dello scrittore, di una casa editrice tutta sua, dal nome Hadern-Verlag, dedita alla pubblicazione di edizioni di lusso e che però dovette chiudere i battenti già nel ‘24. Dopo una serie di difficoltà economiche, le sue capacità fecero sì che fosse chiamato a Berlino, a occuparsi della sezione letteraria nella programmazione della Funkstunde (erano gli anni del primo grande sviluppo della radiofonia, in Germania come, del resto, anche in Italia); fu questo il primo lavoro che Köppen, animo inquieto e dagli innumerevoli interessi, riuscì a fare fruttare davvero, giungendo pure a condurre i suoi progetti di scrittura, fra i quali Bollettino di guerra.
La lettura del romanzo “autobiografico” di Edlef Köppen richiama alla mente, a più riprese e con grande forza, dimostrando forse certe trame sotterranee di intertestualità, anche involontaria, un’altra lettura, a un tempo profondamente diversa e parecchio consonante, quella dell’importante saggio di Paul Fussell, La Grande Guerra e la memoria moderna, uscito per la prima volta nel 1975 e tradotto in italiano solo nove anni più tardi, nel 1984. Se è vero che Fussell, scomparso nel 2012, non cita Köppen (mentre fa riferimento, diverse volte, a Remarque) e, più che altro, rimane ancorato a una sorta di “anglocentrismo”, il suo percorso nella memoria, all’incrocio tra storia militare, storiografia e storia della cultura, traccia con chiarezza delle direttrici che è possibile esperire in un elevato numero di narrazioni e ricostruzioni legate alla Grande Guerra, dallo stesso Bollettino di guerra, passando per tanto cinema, da La grande illusione di Jean Renoir a Orizzonti di gloria di Kubrick finanche a Una lunga domenica di passioni di Jean-Pierre Jeunet, arrivando a prodotti dell’estremo contemporaneo, tra i quali varrebbe almeno la pena di ricordare la seconda stagione della serie televisiva Downton Abbey.
D’altro canto, il fatto che Bollettino di guerra non sia stato tenuto troppo in considerazione, dal punto di vista critico, nel corso del Novecento, è elemento importante da tenere presente. Il romanzo di Köppen, infatti, dopo essere stato vietato, nel 1933 e, nel 1938, inserito nella lista degli “Scritti indesiderati e dannosi”, pur suscitando molto interesse fra gli addetti ai lavori, di fatto non riuscì a trovare efficaci veicoli critici ed editoriali nemmeno dopo la fine della seconda guerra mondiale; per assistere a un ritorno di interesse nei confronti dell’opera, fu necessario attendere addirittura gli anni Settanta (potrebbe non essere un caso, dunque, la mancata citazione da parte di Fussell?).
Nonostante la fortuna critica a dir poco altalenante, dunque, riuscire ancora a dimostrare l’attualità della memoria nonché l’utilità e la bellezza della ricostruzione è uno dei pregi migliori di Bollettino di guerra di Edlef Köppen.
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