Bob Dylan, tra Shakespeare e Montale. “Murder most foul” e l’arte che difende dai «ciechi tempi»
Il 27 marzo del 2020, in piena emergenza, Bob Dylan pubblicò il singolo Murder most foul. Il delitto più efferato – questa è la traduzione italiana del titolo – secondo il cantautore vincitore del Nobel per la Letteratura sarebbe quello consumatosi a Dallas il 23 novembre del 1963 («a day that will live on in infamy»).
Una data questa che sconvolsel’America perché in quel giorno venne assassinato il presidente John Fitzgerald Kennedy.
Gli americani e lo stesso Dylan videro allora morire il loro più importante punto di riferimento e, si sa, quando questo accade tutte le altre certezze sfumano fino a dissolversi e scomparire del tutto; da allora il mondo occidentale sembra essere prigioniero del caos: come se l’omicidio di Kennedy avesse aperto il mitologico vaso di Pandora, scatenando una lunga sequenza di azioni efferate e sconvolgenti. «’Twas a dark day in Dallas, November '63», quel giorno avvolse nelle tenebre una Nazione e il mondo intero.
Non è un caso che il menestrello di Duluth abbia preso ispirazione da una battuta dell’Amleto di William Shakespeare; è un collegamento chiaro e preciso questo: la morte di John F. Kennedy fu identica a quella del sovrano di Danimarca, ucciso dall’usurpatore Claudio. Chi si macchia di regicidio per il Bardo, come Macbeth («Play "Stella by Starlight" for Lady Macbeth», nella canzone c’è un richiamo anche a quest’altra opera famosa di Shakespeare) o Claudio, è condannabile per un duplice motivo: non solo uccide un innocente (Bob Dylan si riferisce al Presidente come «sacrificial lamb») ma viola una legge divina.
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Nell’universo shakespeariano – leggasi non solo l’Amleto, ma anche il Macbeth e il Re Lear – quando viene consumato un atto spietato che contravviene alle leggi naturali che assicurano il delicato equilibrio nell’universo allora quest’ultimo viene a mancare e azioni orribili investono il mondo, facendolo piombare nell’oscurità e nella confusione. Stessa cosa avvenne nell’America degli anni Sessanta.
«Wolfman, oh wolfman, oh wolfman howl/ rub-a-dub-dub, it’s a murder most foul», se Dylan immagina l’ululato di un lupo che accompagna la notizia della morte del Presidente, Shakespeare, nel Macbeth, parla invece di un «obscure bird» che annuncia la morte dello sventurato re Duncan:
lennox: È stata una brutta notte. Dove dormivamo/ il vento ha abbattuto i comignoli e si sentivano/gemiti nell’aria, dicono, strane grida di morte, / e voci terribili che annunciavano conflitti crudeli, eventi confusi/ che sbocceranno a fare i tempi infausti./ L’uccello del buio ha gridato/ tutta la notte. C’è chi dice che la terra/aveva la febbre e tremava.» (Macbeth, ed. Garzanti)
La natura anticipa quegli eventi futuri che sconvolgeranno il mondo macchiatosi di un crimine sacrilego.
«Wake up, little Susie, let's go for a drive/ cross the Trinity River, let's keep hope alive», il menestrello di Duluth sveglia Susie, invitandola a tenere viva la speranza. È sentita fortemente la necessità di trovare una via di fuga che permetta all’umanità di non lasciarsi trascinare dalla furia dei «ciechi tempi». «Freedom, oh freedom, freedom over me», è una preghiera, una supplica questa: bisogna liberarsi dalla follia dei «ciechi tempi».
Se per il Bardo alla fine della tragedia viene ristabilito l’ordine iniziale delle cose – questo richiede però un altissimo prezzo di sangue da pagare – per il cantautore americano la fine sembra essere ben lungi! («The day that they killed him, someone said to me, "Son/ the age of the Antichrist has just only begun"»)
Però una via di fuga è possibile e ci viene presentata nelle ultime strofe: l’arte. Lo struggente e malinconico brano è pieno di riferimenti al mondo del cinema, della musica e della letteratura; ogni forma artistica permette all’individuo di poter creare il bello anche in periodi tetri e nefasti. L’arte consente di far nascere, come disse Nietzsche, una stella danzante dal caos, o un fiore, come invece affermerebbe Baudelaire, dal male del disagio esistenziale. L’arte sublima e migliora; la creatività libera e fa di tutto affinché nessuno debba soccombere alla disperazione che nasce dalla consapevolezza del disordine.
Nel brano I contain multitudes Bob Dylan svela un’altra possibilità: il passato. Nel corso dei vari secoli molti artisti guardarono all’illuminata e illuminante cultura del passato. Baudelaire ci parla di «mille sentinelles» o fari quali Michelangelo, Rembrandt, Goya; Montale nella poesia L’alluvione ha sommerso il pack dei mobili… elenca degli indizi, delle tracce lasciate dal passato che rischiano però di essere cancellate («le sterminate dediche di Du Bos,/ il timbro a ceralacca con la barba di Ezra,/il Valéry di Alain, l’originale/ dei Canti Orfici […]»). Dylan invece cita nel testo Edgar Allan Poe, Anne Frank, William Blake, Beethoven e Chopin. Alla violenza, alle urla, alla confusione, alle barbarie si risponde con la potente e sussurrata voce del passato; per il cantautore americano, così come per Montale, solo attraverso lo studio e la preservazione dell’eredità lasciataci dai secoli precedenti si può resistere al male e si può sperare di costruire (forse) un futuro migliore.
I tempi di Murder most foul non sono tanti differenti dai nostri: il «lento decadimento» e la morte «della fede, della speranza e della carità» sembrano ormai processi irreversibili. In mezzo a tanto clamore la saggia voce lavorata dal tempo di Bob Dylan dolcemente ci ricorda che c’è una speranza, che possiamo essere migliori di quello che siamo stati fino ad ora.
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Con queste parole Eugenio Montale chiude il racconto del signor Stapps della raccolta Farfalla di Dinard:
A mezzanotte il can-can fu interrotto per ascoltare il passaggio del Gilly, e distinsi anch’io, rabbrividendo, lo scricchiolio delle ruote del carretto sulla ghiaia; e più tardi scendemmo verso il centro, io e Antonio, barcollanti e mezzo bruciati, ma convinti che nel mondo una finestra era ancora schiusa, per il fatto che in quella stessa sera e sotto tutti i meridiani molti Stapps avevano senza dubbio reso omaggio alle nugae di una cultura che tentava di sopravvivere ai padroni del momento.
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