Bioetica laica e bioetica cattolica, uno scontro dialettico di vitale importanza
Negli ultimi periodi molteplici fatti di cronaca hanno richiamato il termine “bioetica”: si pensi per esempio al caso Eluana Englaro, divenuto di fama nazionale anche per i risvolti politici, oppure a quello di Dj Fabo il quale, grazie all’aiuto del radicale Marco Cappato, ha deciso di seguire la via del suicidio assistito in Svizzera contravvenendo alla legislazione italiana che vieta in modo chiaro e sistematico l’eutanasia. Per comprendere meglio ciò che effettivamente indica la bioetica, è utile analizzare dal punto di vista etimologico il termine: esso deriva dal greco bios-ethos e sottolinea l’importanza di analizzare le azioni dell’uomo sull’uomoponendo uno sguardo attento ai vari valori umani che potrebbero essere lesi. Alcuni sostengono che la bioetica sia nata in Grecia, sull’isola di Khos, dove Ippocrate e i suoi studenti crearono il famoso “giuramento di Ippocrate” e, quindi, la deontologia medica, ancora oggi in vigore; altri, invece, come il bioeticista italiano Maurizio Mori, affermano che questa scienza multidisciplinare, come la definisce Potter, sia nata negli anni Settanta del Novecento negli Stati Uniti d’America, in quanto si crearono delle condizioni favorevoli per la necessità dello sviluppo di questa branca dell’etica: la scoperta del Dna, l’evolversi del diritto umano in seguito anche al processo di Norimberga che si aprì a favore dei diritti lesi agli ebrei e lo sviluppo delle tecnologie, sempre più utilizzate in medicina.
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Nell’opera Bioetica cattolica e bioetica laica (Bruno Mondadori), Giovanni Fornero sostiene che, nonostante la presenza di innumerevoli tipologie di bioetiche (sociobiologista, pragmatica, personalista), si possa parlare di bioetica come uno scontro dialettico tra due paradigmi cui queste si riferiscono: la bioetica cattolica e quella laica. La prima è sostenuta dalla Chiesa di Roma e da tutti gli intellettuali che ne condividono le tesi di fondo; la seconda viene appoggiata da tutti quei pensatori che agiscono in termini bioetici “etsi deus non daretur”, ovvero secondo una laicità in senso forte che esilia dal proprio pensiero l’orizzonte divino e metafisico. Il paradigma cattolico è di indirizzo personalista ontologicamente fondato che considera la vita come proprietas di Dio e, quindi, inviolabile; inoltre, per i bioeticisti cattolici, questa non è vita tout court e nemmeno solo esistenza umana, ma è un sinolo di realtà corporea e spirituale. Di conseguenza questa è sacra e, perciò, chi sostiene questo paradigma favorisce il “principio responsabilità” di Hans Jonas, ovvero la necessità, per quanto riguarda la bioetica, di determinare i limiti entro i quali la scienza può e deve agire: l’uomo non può agire senza vincoli sull’uomo in quanto questi è già stato creato e, quindi, non può avere la presunzione di compiere modifiche sostanziali sulla natura umana. Il prius assiologico di questo paradigma è la sacralità del corpo e delle sue finalità di base: l’autoconservazione e la riproduzione. Di conseguenza tutti gli interventi tecnici che portino a modificare il naturale finalismo del corpo sono da considerarsi illeciti; una cura medica è considerata valida e ottima solo nel momento in cui ripristina ciò di cui l’individuo era costituito in origine. In quest’ottica la libertà umana non può travalicare i limiti imposti da Dio.
Al contrario il paradigma laico rivendica la qualità della vita ed è di indirizzo personalista consequenzialista e necessita la determinazione di canoni e moduli che identifichino il momento in cui un uomo possa essere considerato persona, ovvero portatore di diritti. Peter Singer afferma che un individuo diviene portatore di diritti quando ha una capacità senziente, la sensibilità: in quest’ottica viene superato lospecismo poiché anche gli animali adulti sono portatori di diritto. Chi è in linea con questo paradigma è a favore dell’umanità della morale, sostenendo che le norme etiche non scaturiscono “ex rerum natura”, ma dall’uomo; nasce quindi una nuova concezione di natura intesa come un prodotto storico-culturale convenzionale. Inoltre, coloro che rivendicano quest’ideologia sono fautori del principio di autonomia, ovvero dell’autos-nomos derivante dall’homo faber sui umanistico-rinascimentale; dell’autodisponibilità della vita anche se l’appartenenza di questa è “un’appartenenza socialmente condivisa”, come afferma il bioeticista italiano Schiavone; infine, essi sono sostenitori della conoscenza come progresso in quanto più l’uomo conosce più può nel progresso e, quindi, i bioeticisti laici sono a favore di qualsiasi intervento medico che renda migliore la realtà umana, intesa nella sua globalità in maniera tout court.
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Dopo aver analizzato le peculiarità dei due rami principali della bioetica, è utile sottolineare come, riprendendo le parole di Mori, se si decide di abbracciare un paradigma o piuttosto un altro bisogna fare un vero e proprio “salto gestaltico” da una branca all’altra. In una prospettiva come quella attuale in cui, continuando con le parole utilizzate dal professor Mori in una conferenza riguardante la bioetica, l’uomo sta entrando nella sua terza fase, la “post-storia”, in cui la scienza dominerà tutti i campi del sapere, in cui la tecnologia sarà predominante, bisognerà necessariamente superare i pregiudizi e le considerazioni pre-date riguardo all’utilizzo delle tecniche scientifiche sull’uomo per migliorarne la vita modificandone i vari geni poiché l’orizzonte che si prospetta è caratterizzato da uno sviluppo tecno-scientifico tendente all’infinito e l’unica cosa da fare è accettarlo in maniera indeprecabile per non cadere in ragionamenti retrogradi e atavici che mostrerebbero la volontà di mantenere una “purezza” e una condizione pre-scientifica anacronistiche.
Copyright delle foto in ordine di inserimento: Ramón Salinero, Franck V. e Josh Riemer su Unsplash.
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