Benvenuti nell’anno dell’insicurezza
Trentacinque morti a Istanbul non producono più paura, ma insicurezza, tentennamento verso il futuro, provvisorietà e sentimenti di avversione al futuro. Questo il dato, dopo che per due anni l’Europa e il Mediterraneo sono stati oggetto di attentati e guerre. Si diffonde un sentimento che ci lega al presente, che non ci fa prefigurare il futuro, che non ci consegna integralmente a quello che avverrà, ma che ci frena, perché impegnati a rintracciare una ragione in tutto questo. C’è una ragione, e sta nel vuoto ideologico colmato dai fideismi, dai monoteismi del terrore, dalla sanguinaria divinità della guerra.
L’Europa è inerme, incapace di prendere una posizione, attendista, stupida. Non c’è Paese Ue, nemmeno la Germania, capace di contrastare questa deriva globale, che stringe la terra nella morsa della precarietà psicologica e della tensione. Siamo quindi usciti dalla paura e siamo entrati nel terreno dei timori più discreti: quelli che producono reazioni sociali ponderate e non estreme.
Il 2016 ci ha consegnato Trump, il 2017 sarà invece un anno di scelte politiche più comunitarie. Lo dice l’economia, che promette sul terreno della realtà, non della finanza. I popoli stanno reagendo, senza più cedere alle lusinghe delle dittature post-democratiche di Putin e di Erdogan, o alle pulsioni autocratiche di figure come Cameron e Renzi. I popoli decidono per sé, chiusi in un comunitarismo obbligatorio per la propria salvezza. I popoli hanno scelto di darsi un’autonoma ricetta per uscire dalla paura di morire.
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Non siamo più nell’era del califfo Al Baghdadi, tanto è vero che i nuovi attentatori sono sempre più schegge di un puzzle molto più variegato e ampio. Siamo nell’epoca dei nuovi equilibri mondiali, dove l’Iran, per esempio, conta molto più dell’Ue, e a ragion veduta. La centralità europea è terminata e questo gli europei lo hanno imparato a loro spese, con un tributo di sangue senza uguali. Il terrore globale ha piegato la vecchia Europa, ne ha rivelato l’inconsistenza politica e sociale, e adesso potrebbe aver esaurito la sua spinta distruttiva.
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Verrà una nuova epoca e si affermerà con la volontà dei popoli e delle genti. Pacificamente? Credo di sì, ma non può che essere un atto di fede. Perché non c’è certezza democratica e pacifica a tenere insieme le prospettive dell’umanità che vive intorno al bacino mediterraneo. C’è una vaga idea di convivenza che si sta riaffermando, con cautela, con grande incertezza, contraddistinta dall’insicurezza e dalla provvisorietà del presente. Buon 2017 ai popoli!
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