Ben Lerner e “Il mondo a venire”: i confini della non-fiction
Di Ben Lerner, del suo Il mondo a venire e dei confini della non-fictionha parlato qualche mese fa Cristiano de Majo in un articolo per Rivista Studio, con entusiasmo contagioso, come di un nuovo grande scrittore americano, un poeta prestato alla narrativa. Quando iniziai a leggere Un uomo di passaggio, l'esordio narrativo di Lerner, pubblicato in Italia da Neri Pozza, era metà settembre 2014: all’incirca due settimane prima (precisamente il 2 settembre) era uscito in America il nuovo libro dell’autore, intitolato 10:04. Mi sono da subito innamorato di Un uomo di passaggio, l’ho terminato in pochi giorni e preda di un isterismo da OneDirection-fan, ho cominciato a fare ricerche sulla pubblicazione italiana delnuovo libro, quel 10:04 che a sentire de Majo consacrava il suo autore tra i grandi della letteratura di oggi. Scoprii che il titolo sarebbe stato cambiato, da 10:04 a Nel mondo a venire, che il romanzo sarebbe stato pubblicato in Italia da Sellerio con la traduzione di Martina Testa e che sarebbe uscito a febbraio (precisamente il 19). Ora che ho tra le mani Nel mondo a venire, dopo una lettura in apnea di qualche giorno, capisco il fervore di de Majo.
Nel numero del «New Yorker» uscito il 18 giugno 2012, inserito all’interno del classico spazio del settimanale dedicato alla fiction, è stato pubblicato il racconto The Golden Vanity firmato Ben Lerner, in cui un narratore in terza persona riporta le vicende di uno scrittore – nel racconto denominato “l’Autore” – che deve affrontare un’operazione ai denti ed è indeciso se usare un’anestesia parziale o totale (è un sunto infelice per lo spessore letterario della short story, lo so). Al quel, Lerner era già famoso in America: nel 2004 aveva ricevuto l’Hayden Carruth Prize per la sua raccolta di poesie intitolata The Lichtenberg Figures; nel 2006 era stata pubblicata la raccolta di poesie Angle of Yaw, finalista al National Book Award di quell’anno e scritta durante la permanenza nel 2003 di Lerner a Madrid, grazie a una borsa di studio, esperienza dalla quale nascerà anche L’uomo di passaggio, edito negli Stati Uniti nel 2011 con il titolo Leaving the Atocha Station e che sarà – meritatamente – accolto con grande favoredalla critica.
In Nel mondo a venire il protagonista che narra in prima persona è un poeta che ha esordito da poco nella narrativa con un libro che ha raggiunto un inaspettato successo di critica, il che l’ha portato a diventare un nome di alta qualità per il quale nelle aste editoriali i contendenti sono pronti a fare follie. Vediamo questo io narrante, ossia il protagonista (di nome Ben, che fatalità) tra allarmi uragano, cooperative alimentari, malformazioni cardiache, richieste di inseminazione artificiale, amanti, droghe, alcool, isolamento e rivelazioni artistiche, riuscire a buttar giù un racconto, intitolato The Golden Vanity e pubblicato sul New Yorker, da cui ha intenzione di costruire un romanzo. Lo stesso romanzo che è ora fra le nostre mani.
Tecnicamente, la scrittura di Lerner è impressionante: dimostra una notevole padronanza del linguaggio (che possiamo ben apprezzare in italiano grazie anche all’ottima traduzione di Martina Testa); una gamma d’immagini fortissime che si susseguono per tutto il romanzo (il ricordo del discorso del presidente Reagan – in verità opera della sua ghost-writer – in seguito alla tragedia del Challenger, la navetta spaziale che si disintegrò dopo pochi istanti dal decollo, nel 1986, rielaborata da Lerner – bambino al tempo dell’incidente – come evento chiave della sua propensione alla letteratura); scelte lessicali mirate e non sempre semplici (durante la lettura ho accumulato una mezza dozzina di post-it con appuntati termini di cui ignoravo l’esistenza) ma che non influiscono sulla scorrevolezza del testo.
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Perché tutto questo entusiasmo? Perché questo scrittore, dico io, prima con Un uomo di passaggio e ora conNel mondo a venire rappresenta qualcosa di nuovo. Non è solo quel sapore di nuovo che si ha nel venire a contatto con una mente semplicemente geniale, come può essere quella di questo autore. In Il mestiere di scrivere Carver ha partorito due paragrafi a mio parere ottimi per giustificare queste sensazioni e che spiegano perché Lerner rappresenti qualcosa di nuovo: «Ci sono scrittori che di talento ne hanno tanto; non conosco scrittori che non ne abbiano. Ma un modo di vedere le cose originale e preciso e l’abilità di trovare il contesto giusto per esprimerlo, sono un’altra cosa.» In Nel mondo a venire il “contesto giusto” è una realtà che si fa fiction, la storia di come nasce il romanzo che ci apprestiamo a leggere.
È qualcosa di simile allo stile quello di cui sto parlando, ma non è solo una questione di stile. È il tipo di inconfondibile e unica firma che lo scrittore lascia su qualsiasi cosa egli scriva. E ne fa il suo mondo e nient’altro. È una delle cose che contraddistingue uno scrittore. […]
Raymond Carver, Il mestiere di scrivere
Non riesco a fare a meno di scorgere (soltanto scorgere) in Lerner la vitalità, l’ironia (lontana, come fa notare de Majo, da quella derealizzante e nichilista del postmoderno) e le nuove prospettive che, con le sue continue sperimentazioni formali, l’autore apre con questo libro nei confronti della narrativa contemporanea.
Sperimentazioni formali (Nel mondo a venire è racconto breve, poesia, fotografia, arte e cinema, tutti incasellati a meraviglia in una forma al confine tra romanzo, memoir e auto-meta-fiction) quelle di Ben Lerner, strettamente legate a un tema artistico-filosofico centrale che attraversa tutto il romanzo, costituendone la spina dorsale, riassumibile in una frase che sta all’inizio del testo e che ci segue lungo tutta l’opera, «Tutto sarà come ora, solo un po’ diverso», che rappresenta l’intricato e indecifrabile rapporto tra identità e tempo (non poteva mancare, a tal proposito The clock, il film pastiche di Christian Marclay della durata di 24 ore, che dà anche lo stimolo all’io-autore di Nel mondo a venire di scrivere The Golden Vanity); il protagonista, in seguito alla diagnosi di una malformazione cardiaca, si scoprirà sempre lo stesso, solo un po’ diverso; una ragazza che verrà a conoscenza del fatto che il padre con cui è cresciuta, originario di Beirut, non è il suo padre biologico, vedendo così sgretolarsi la convinzione di un rapporto speciale con quella città e il mondo arabo in generale, sarà vista dal narratore come sempre la stessa, solo un po’ diversa dopo aver conosciuto la sua storia.
Cito il premio Pulitzer Jeffrey Eugenides: «Chiunque si interessi alla letteratura contemporanea dovrebbe leggere Ben Lerner». La tentazione, forte, sarebbe quella di usare un imperativo in luogo del condizionale: saggiate i confini della non-fiction, leggete Ben Lerner, leggete Il mondo a venire.
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